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Il Giornale - La Stampa - Il Foglio - Correire della Sera Rassegna Stampa
02.07.2014 Dedicato a Eyal, Gilad e Naftali: le cronache
di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Daniele Raineri, Davide Frattini

Testata:Il Giornale - La Stampa - Il Foglio - Correire della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Daniele Raineri - Davide Frattini
Titolo: «Tutta Israele piange i suoi tre ragazzi 'Faremo giustizia' - I tre ragazzi sepolti sulla collina degli eroi - Gerusalemme pensa all'escalation - I versi con la vendetta e i calcoli sulla strategia»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Tutta Israele piange i suoi tre ragazzi: 'Faremo giustizia'", dalla STAMPA, a pag.12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "I tre ragazzi sepolti sulla collina degli eroi", dal  FOGLIO, a pag. 1, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Gerusalemme pensa all'escalation contro Hamas", dal CORRIERE della SERA, a pag.11, l'articolo di Davide Frattini dal titolo
"I versi con la vendetta e i calcoli sulla strategia: il dilemma di Netanyahu".





Immagini dei funerali di Eyal, Gilad e Naftali

Di seguito, gli articoli:


Il GIORNALE
- Fiamma Nirenstein: "Tutta Israele piange i suoi tre ragazzi: 'Faremo giustizia' "


Fiamma Nirenstein

Uno a uno nelle sinagoghe di casa loro, e poi insieme al cimitero di Modiin con Bibi Netanyahu che ha porto loro l'ultimo saluto, Eyal, Gilad e Naftali sono stati seppelliti dal loro popolo unito, religiosi e laici, destra e sinistra. Le loro mamme e i loro padri ne hanno narrato la forza d'animo e le loro tenere passioni di ragazzi speciali, il nonno di Eyal si è detto sicuro che il suo nipote abbia lottato fino all'ultimo con i rapitori per "fargli vedere che noi non abbiamo paura"; il padre ha parlato anche a nome della madre chiusa nel suo dolore e ha detto ai rapitori di non illudersi:"Abbiamo un cuore di carne e di sangue, per questo piangiamo. Ma il nostro cuore è pieno d'amore, ed esso vincerà".
Ofir padre di Gilad, quello fra i tre ragazzi che ha chiamato la polizia dalla macchina dei rapitori, ha detto:"Abbiamo un dolore privato, ma un immenso orgoglio che appartiene a tutto il popolo, per il tuo incredibile coraggio". Il ministro della difesa Boogie Ya'alon ha assicurato che i responsabili verranno presi e condotti di fronte alla giustizia: "Non ci fermeremo e non piangeremo finché non metteremo le mani su di loro" ha detto. Israele è piegato dal dolore e insieme determinato, convinto della necessità di agire. Peres ha detto bene: il popolo intero "scuote la testa", incredulo che quei tre ragazzini che tornavano da scuola possano essere stati uccisi a sangue freddo, che i 18 giorni di ricerche siano fallite sulla crudeltà degli assassini. Ma come reagire, come combatterli? In queste ore la discussione è durissima anche all'interno del gabinetto di Netanyahu: Hamas dopo la scoperta del crimine ha intensificato il lancio di missili sul sud, quasi a invitare una reazione Israeliana, una vera e propria guerra, una nuova operazione Komat Magen che tenda alla distruzione di Hamas nelle sue strutture fondamentali e nella sua leadership.
Netanyahu non pare favorevole a un attacco frontale, e pensa a altre possibilità, come un intervento diretto contro la leadership di Ismail Haniyeh. Hamas è comunque l'obiettivo, e consapevole di questo l'organizzazione terrorista cerca ormai di scaldare l'atmosfera fino al calor bianco per raccogliere il consenso di tutto il mondo palestinese. Purtroppo le prove sono sul campo, nonostante il coraggio di Abu Mazen che ha condannato il rapimento chiedendo di restituire i ragazzi "anch'essi essere umani". Ma quando ieri l'ambulanza ha raccolto i resti dei ragazzi per trasportarli all'obitorio di Gerusalemme, una folla indistinta intorno all'auto l'ha bombardata di sassi e di improperi. Nei giorni scorsi su facebook i palestinesi hanno postato dal West Bank una campagna orrida: una quantità di persone, compresi molti bambini sorridenti, alzavano tre dita in segno di vittoria, per segnalare la loro soddisfazione per il triplice rapimento. Il rapimento per liberare col ricatto i detenuti, spesso terroristi con ergastoli plurimi, nelle carceri israeliane, è stata lodata anche dalle leadership di Fatah, compreso Abu Mazen (nel 2011: "Hamas ha rapito un prigioniero, Gilad Shalit, e l'ha tenuto prigioniero cinque anni: è una buona cosa..."; Jibril Rajoub, un grosso leader, quest'anno:"Se Hamas vuole rapire soldati, noi li incoraggiamo") mentre i ritratti degli "shahid" tappezzano le strade e sono oggetto di venerazione in tutta la società. La cultura dei rapimenti è generalizzata, ed è l'incitamento per cui gli israeliani sono descritti come mostri dalla tv, dai testi, dai giornali, e l'esistenza stessa di Israele è anatema. Netanyahu sa che un attacco frontale a Hamas può suscitare consensi per l'organizzazione terrorista e distruggere Abu Mazen.
Prima cosa, sembra trovare i due rapitori, due attivisti di Hamas che avevano già conosciuto la giustizia israeliana, Amar Abu Eisha e Marwan Kawasmeh. Si comincia anche a capire meglio che i due hanno ucciso i ragazzi quasi subito dopo che erano saliti in macchina probabilmente in relazione alla loro reazione al rapimento. Nella registrazione della polizia della telefonata di Gilad che dice "ci hanno rapito"si sente poi la voce del rapitore che ripete "giù la testa". Si sentono anche degli spari, forse sono gli ultimi istanti di vita dei ragazzi.Una cassetta difficile da ascoltare. Difficile davvero davvero capire come la polizia non abbia preso sul serio questo ultimo grido di aiuto.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "I tre ragazzi sepolti sulla collina degli eroi"


Maurizio Molinari


Centomila israeliani di ogni età, estrazione sociale, fede politica e affiliazione religiosa hanno partecipato alle esequie per i tre ragazzi ebrei uccisi in Cisgiordania dando corpo ad un lutto composto, silenzioso e carico di grinta. Ragazzi con la kippah, donne religiose in gonna e laiche in pantaloni, soldati in servizio e in licenza, persone anziane e mamme con bimbi in braccio hanno percorso a piedi un lungo sentiero di polvere e sassi nelle colline dei Maccabei, a metà strada fra Gerusalemme e Tel Aviv, in una sorta di processione laica verso la spianata del cimitero, sulla cima di una collina circondata da boschi dove questo mosaico di identità ebraiche si è ritrovato nella recitazione dei salmi, del kaddish - la preghiera per i morti - e in sommessi canti di preghiera rimanendo pressoché immobile per quasi tre ore a una temperatura che sfiorava i 40 gradi.
È una cornice che descrive la determinazione di chi ha voluto arrampicarsi fino a Modiin per essere protagonista del sentimento nazionale. «Oggi il popolo di Israele è qui» ha detto il rabbino capo David Lau, dando la parola al premier Benjamin Netanyahu che, rispettando la richiesta delle famiglie, ha evitato i temi politici. «Negli ultimi 18 giorni Eyal, Gilad e Naftali hanno segnato i nostri cuori con la magia dei sorrisi e della gioventù - ha detto il premier - e gli assassini di una crudeltà senza limiti hanno violato l’antico comandamento di non fare del male ai giovani». «Questo è un giorno di lutto nazionale, ed è di tutto il mondo» ha aggiunto Netanyahu con un riferimento alla solidarietà giunta da molte nazioni e testimoniata dalla presenza di alcuni ambasciatori stranieri - incluso l’italiano Francesco Talò - anche loro giunti a piedi, percorrendo il sentiero di sapore biblico.
La sepoltura nella terra dei Maccabei - protagonisti della rivolta nell’Antica Giudea contro gli ellenizzanti - ha dato un sapore epico al dramma nazionale che il presidente uscente Shimon Peres ha riassunto così: «Aspettavamo un miracolo, abbiamo avuto una tragedia». Peres è l’unico che accenna alla punizione dei responsabili: «L’esercito prenderà gli assassini e Israele sradicherà il terrorismo». Ma dal tappeto umano dei centomila non si levano grida né slogan politici, non vi sono cartelli nè striscioni, niente accenni ai responsabili e le uniche bandiere sono quelle nazionali. Prevale una compostezza del dolore che evoca quella con cui i sopravvissuti della Shoah ricordano le vittime dello sterminio. E non deve essere scambiata per debolezza perché cela piuttosto la grinta dei Maccabei.
C’è però anche un’altra Israele, quella della folla di alcune centinaia di estremisti che invade il centro di Gerusalemme, gridando slogan anti-arabi, innalzando drappi con la scritta «sangue da vendicare» per andare a caccia di arabi fino a Jafo Street prima di essere sciolta dagli agenti. Per gli uni come per gli altri è il giorno del dolore che coincide con la pubblicazione da parte della polizia della telefonata che uno dei rapiti fece al centralino di emergenza, chiedendo invano aiuto. Sul fronte politico sono i leader della destra della coalizione di governo a farsi sentire: il ministro della Difesa Moshe Yaalon propone di intitolare agli assassinati un nuovo insediamento mentre il titolare degli Esteri Avigdor Lieberman, sostenuto da Naftali Bennet, invoca un’operazione in grande stile contro Hamas.

Il FOGLIO - Daniele Raineri: "Gerusalemme pensa all'escalation contro Hamas"


Daniele Raineri

Roma. C’è stata un’accesa discussione durante il Consiglio dei ministri israeliano durato tre ore nella notte di lunedì su come reagire all’uccisione dei tre ragazzi rapiti da due membri di Hamas. La destra dell’esecutivo chiede un’operazione militare massiccia per punire Hamas e danneggiare in profondità le capacità del gruppo e anche l’allargamento degli insediamenti; altri – incluso il primo ministro Benjamin Netanyahu – non vogliono correre e preferiscono per ora una risposta più calibrata. Durante la riunione il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha fatto la domanda che in questi giorni è sospesa su tutto il paese: “Vogliamo davvero una guerra con Gaza adesso?”. Il ministro dell’Economia, Naftali Bennet, uno dei più duri, ha risposto che la guerra con Gaza è ormai inevitabile. “E’ meglio se siamo noi quelli che cominciano”. Bennet ha presentato una lista delle otto azioni che Israele potrebbe intraprendere contro Hamas che include un attacco militare, il congelamento dei fondi di Hamas in Cisgiordania, un aumento delle costruzioni israeliane in Cisgiordania e l’istituzione della pena di morte per terroristi processati da una corte militare. Secondo i giornali israeliani, la riunione ha prodotto un documento di dieci proposte che però non saranno necessariamente adottate e quindi è stato inconcludente. Ieri sera c’è stata una seconda riunione straordinaria dell’esecutivo, dopo la celebrazione nel pomeriggio dei funerali dei ragazzi. “Avete insegnato al mondo una lezione: che cos’è il pianto di una madre”, ha detto durante la cerimonia funebre Netanyahu, che davanti a decine di migliaia di israeliani ha parlato di giornata di dolore nazionale. “Anche l’abbraccio più forte della nazione non può eliminare il dolore, l’angoscia che rimarrà nei vostri cuori molto dopo la fine del lutto ufficiale”. Lunedì il primo ministro ha indicato in Hamas il colpevole e ha annunciato: “La pagherà”. Ieri ha aggiunto: “Troveremo chi ha rapito e assassinato i tre ragazzi e chi li ha aiutati. Vivi o morti”. I due assassini sono fuggiti – secondo le informazioni più aggiornate – nella Striscia di Gaza.
Ieri è stato reso pubblico l’audio di due minuti della telefonata fatta il 12 giugno da uno dei tre alla polizia, pochi minuti dopo il rapimento. I sequestratori gridano di stare giù, in israeliano con pesante accento arabo, e un ragazzo tenta di dare l’allarme sottovoce nell’apparecchio: “Siamo stati rapiti”. La radio dentro la macchina passa un’intervista con il deputato Shelly Yachimovich. Poi ci sono rumori confusi, forse colpi di pistola, i due uomini di Hamas hanno scoperto che c’era una chiamata alla polizia in corso e hanno ucciso i ragazzi per poi scappare verso la Striscia. La maggior parte della telefonata registrata è senza voci.
A trovare i corpi dei tre ragazzi è stato un gruppo di volontari che si è fatto dare alcune informazioni di partenza dai militari e però ha deciso di adottare un modello di ricerca poco ortodosso, cercando di immedesimarsi nei rapitori (diverso da quello dei militari, che hanno setacciato la zona ma in file ordinate). Il gruppo, formato da una ventina di civili, ha trovato i resti in meno di due giorni
A Gaza la leadership di Hamas è entrata in modalità “guerra”, è sparita e non si fa più vedere né contattare dai giornalisti, per paura di essere rintracciata dagli israeliani. Aveva già cominciato a farlo durante i 18 giorni di ricerche dei ragazzi, ma adesso teme l’escalation. Il gruppo ha evacuato le sue installazioni militari conosciute – colpite lunedì notte da 34 raid aerei israeliani. Gli osservatori sono concordi nel ritenere che entrambe le parti, Hamas e gli israeliani, sapevano che i bombardamenti non avrebbero fatto vittime. Il gruppo palestinese ha risposto con lanci di razzi, sedici lunedì, almeno altri cinque ieri durante i funerali.
Secondo il sito al Monitor, i ranghi di Hamas sono entrati in contatto con capitali arabe ed europee per creare un fronte diplomatico che faccia pressione internazionale e chieda a Israele di trattenersi da un’operazione militare in grande stile (tra i contattati ci sono sicuramente la Russia, il Qatar, il Kuwait, la Malesia). Lo stesso sta facendo l’Autorità nazionale palestinese. Israele, mentre pensa alla possibilità di una escalation, preme sull’Autorità palestinese perché rompa l’alleanza di governo stretta di recente con Hamas. Per raggiungere questo obiettivo, anche Gerusalemme sta ricorrendo a intermediari internazionali (tra loro: l’Unione europea).

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "I versi con la vendetta e i calcoli sulla strategia: il dilemma di Netanyahu"


Davide Frattini


GERUSALEMME — Usa la parola «vendetta» ma l’annuncia con le parole del poeta Haim Nahman Bialik. Le frasi scelte da Benjamin Netanyahu poche ore dopo il ritrovamento dei corpi dei tre ragazzi, lunedì sera, sono state interpretate e studiate come oltre cento anni fa i versi composti dopo il pogrom anti ebraico a Kishinev. Gli analisti cercano di vaticinare quanto la risposta contro Hamas deliberata dal primo ministro si spingerà lontano, quanto colpirà duro. «Satana non ha ancora creato vendetta per il sangue del bambino piccolo», scrive Bialik. E questo passaggio ha fatto pensare a una rappresaglia massiccia. Poche righe prima il poeta però ammonisce: «Maledetto sia colui che dice: vendicati».
Ai commentatori israeliani più attenti restano le statistiche e gli anni passati a decifrare le mosse di Netanyahu. Chi lo conosce bene ripete che — retorica e proclami a parte — il premier vuole evitare scontri militari prolungati. Lo ha dimostrato nel novembre del 2012 — una settimana di bombardamenti su Gaza per fermare i lanci di missili contro Israele — ed è a quella campagna che adesso in molti ripensano. Allora il ministro della Difesa era Ehud Barak, il soldato più decorato della storia d’Israele. Adesso dalla Kirya, il Pentagono di Tel Aviv, comanda Moshe Yaalon che è stato capo di Stato maggiore durante i periodi più difficili della seconda intifada e ha guidato l’operazione Scudo difensivo in Cisgiordania.
«Netanyahu è un primo ministro efficiente in una situazione come questa — commenta Ben Caspit sul giornale Maariv — perché evita le avventure non necessarie e per natura preferisce mantenere la stabilità». «La rabbia, il desiderio di punire e di vendicarsi non sono un piano strategico», avverte Alex Fishman su Yedioth Ahronoth . Della stessa opinione, sempre sul quotidiano più venduto nel Paese, l’editorialista più noto: «Spero pensi al nemico esterno e non solo alla pressione interna. Israele deve continuare a colpire Hamas, bisogna farlo in modo intelligente e chirurgico» dice Nahum Barnea.
Netanyahu ha raccolto voti anche per l’immagine di uomo forte contro i fondamentalisti, intransigente verso il movimento che ha controllato la Striscia di Gaza dal 2007 fino all’intesa con Abu Mazen, il presidente palestinese, di poche settimane fa. Tra i suoi ministri subisce la pressione di Naftali Bennett, leader dei coloni, che pretende la guerra totale contro Hamas. «Adesso Netanyahu deve mantenere quella promessa elettorale — spiega Amos Harel su Haaretz — ma non vuole restare coinvolto in un prolungato intervento militare».

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