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Corriere della Sera - Il Fatto Quotidiano - La Repubblica - Il Manifesto - Il Messaggero Rassegna Stampa
01.07.2014 Rapiti e Uccisi: quelli che provano a scagionare Hamas
rassegna di critiche a cronache e commenti che disinformano

Testata:Corriere della Sera - Il Fatto Quotidiano - La Repubblica - Il Manifesto - Il Messaggero
Autore: Antonio Ferrari - Giampiero Gramaglia - Adriano Sofri - Michele Giorgio - Eric Salerno
Titolo: «L'orrore e la logica di guerra - Il califfato jihadista apre il fronte palestinese - La tragedia nelle trincee del dolore - Ritrovati i corpi dei tre adolescenti israeliani - Morti i tre ragazzi rapiti. Israele sottto choc»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi 01/07/2014, a pag. 6, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "L'orrore e la logica di guerra", dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 13, l'articolo di Giampiero Gramaglia dal titolo  "Il califfato jihadista apre il fronte palestinese", dal REPUBBLICA, a pagg. 1-24, l'articolo di Adriano Sofri dal titolo  "La tragedia nelle trincee del dolore",   dal MANIFESTO, a pag. 7, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Ritrovati i corpi dei tre adolescenti israeliani", dal MESSAGGERO,  a pag. 11, l'articolo di Eric Salerno dal titolo  "Morti i tre ragazzi rapiti. Israele sottto choc"
In tutti questi articoli la responsabilità di Hamas è messa in dubbio. 

Eric Salerno, per esempio, sul MESSAGGERO  scrive: "
Netanyau non ha esitato a incolpare il movimento islamico anche se i leader dell'organizzazione, dopo aver commentato positivamente il rapimento, sostenevano di non esserne coinvolti". Il plauso di Hamas al rapimento in realtà non è un episodio: è parte di una politica di aperto incoraggiamento ai sequestri, come arma di ricatto per ottenere la liberazione di terroristi detenuti in Israele.
 In tre articoli la responsabilità è attrbuita ad altri, sia pure soltanto in forma di ipotesi:  all'Isis  (negli articoli di Antonio Ferrari e Giampiero Gramaglia) o a "
una banda di criminali politici e comuni, magari aderenti a Hamas" -si veda di seguito l'articolo di Adriano Sofri-, che scrive che gli israeliani avrebbero "fatto sentire"  la loro risposta al rapimento come una "punizione collettiva".

Michele Giorgio sul MANIFESTO descrive così la reazione israeliana: "
una decina di morti palestinesi (tra i quali due ragazzi), numerosi feriti, oltre 500 arrestati - inclusi dirigenti, parlamentari e militanti di Hamas - raid incessanti in campi profughi, villaggi e città. Hebron è stata setacciata ininterrottamente", senza spiegare che i morti e feriti sono stati il risultato di aggressioni all'esercito israeliano e che gli arrestati erano terroristi. 

I commenti di Antonio Ferrari e Adriano Sofri sono accomunati da un'identica interpretazione politica degli avvenimenti: l'uccisione dei tre ragazzi israeliani vanifica gli sforzi di pace e rischia di precipitare Israele e la regione mediorentale verso il caos. Sofri paragona le reciproche accuse che nel 1914 portarono allo scoppio della prima guerra mondiale a quelle tra Israele e Hamas, senza indicare quali di queste ultime ritenga più credibili:   "
 lì e qui non si ammise che non ci fosse qualcuno dietro, la Serbia per gli uni, l’Austria e la Germania affamate di guerra per gli altri — Hamas per gli uni, Israele voglioso di guerra per gli altri"
Ferrari  lamenta che "trattenere Israele da una spietata rappresaglia sarà davvero difficile, se non impossibile",
Che Israele, aggredito, abbia il pieno diritto difendersi, che  negoziare con gli alleati degli assassini di Hamas non sia  una strada percorribile per un paese che non intenda arrendersi a chi vuole distruggerlo, non è un'ipotesi presa in considerazione.
Si veda, come critica a  tutte le posizioni "pacifiste" che non colgono la realtà della guerra che Israele si trova a dover combattere, la Cartolina da Eurabia di oggi, Ugo Volli: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=53996  



Il simbolo di Hamas


Di seguito, gli articoli:

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari: "L'orrore e la logica di guerra"



Il Medio Oriente in fiamme rischia ora di diventare un inferno. La scoperta che i tre ragazzi israeliani scomparsi sono stati ammazzati con ferocia, probabilmente poco dopo essere stati rapiti, provocherà, anzi sta già provocando una tragica svolta. Trattenere Israele da una spietata rappresaglia sarà davvero difficile, se non impossibile. E forse per la prima volta da decenni può accadere l’irreparabile. Nel passato, un focolaio di tensione, un conflitto o una guerra regionale azzerava, quantomeno metteva la sordina alle altre crisi dell’area.
Adesso no. Da questo momento non c’è un solo Paese del Medio Oriente che possa ritenersi immune dal contagio della violenza. La feroce esecuzione dei tre giovanissimi ragazzi ebrei, che studiavano in un insediamento vicino a Hebron, può provocare un vero collasso. Ha ragione chi ritiene che il triplice sequestro e il triplice assassinio sia stato compiuto non soltanto dai nemici della pace, ma da qualcuno che voleva far saltare l’accordo di governo inter-palestinese fra i laici dell’Anp e i fondamentalisti di Hamas. Tuttavia, invece di accusare Israele di aver organizzato una spietata provocazione, accusa che pare decisamente impropria, bisognerebbe domandarsi qual è il ruolo che hanno avuto nella vicenda gruppi o gruppuscoli assai più oltranzisti di Hamas.
È probabile che questa nuova tragedia sia legata alla brutale sfida che i nipotini di Al Qaeda, che la stessa Al Qaeda non riconosce considerandoli «troppo feroci e disumani», stanno portando in tutto il Medio Oriente: dalla martoriata Siria, sconvolta dalla guerra civile, dal Libano, dai sottoscala del fanatismo palestinese e dall’Iraq. Soprattutto dall’Iraq, che i fanatici dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) stanno già trasformando in un califfato. Anzi, nei tanti califfati già proclamati in tutte le regioni del Paese strappate al controllo del potere centrale. In poche settimane, la storia sembra costretta a piangere. È stato distrutto quel che avevano costruito, all’inizio del secolo scorso, i due mediatori, l’inglese Sykes e il francese Picot, spartendosi con freddo cinismo coloniale le spoglie mediorientali dell’impero ottomano in disfacimento. L’unico passo di oggi, che pareva caricarsi di speranza, e cioè l’accordo inter-palestinese tra i laici e un movimento Hamas che pare diventato più realista di tutti i fanatici che lo contestano, rischia insomma di finire in macerie ancor prima di diventare davvero esecutivo.
È chiaro che tutto questo favorisce anche l’estrema destra israeliana, che sostiene e condiziona il governo di Benjamin Netanyahu, con il rischio di disegnare un ardito schema di opposti estremismi. È chiaro che Netanyahu reagirà duramente all’assassinio dei tre giovanissimi ragazzi ebrei. Non sarà quindi una reazione ponderata, se ben conosciamo l’asprezza, seppur ammantata di astuzia politica, del primo ministro. Il rischio è che, invece di colpire i veri responsabili, si colpisca ancora una volta, indiscriminatamente, la popolazione civile palestinese di Gaza. Magari proprio coloro che sono sta nchi di Hamas, degli estremisti islamici più feroci, e vorrebbero solo vivere in pace.

Il FATTO QUOTIDIANO - Giampiero Gramaglia: "Il califfato jihadista apre il fronte palestinese"


Giampiero Gramaglia

 Il ritrovamento, nei pressi di Hebron, dei cadaveri dei giovani coloni scomparsi il 12 giugno uccide le speranze di un esito non cruento del loro sequestro, esaspera le tensioni fra israeliani e palestinesi, crea spaccature nei Territori. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu convoca d'urgenza una seduta di emergenza del gabinetto per la sicurezza, proprio per discutere dei "drammatici sviluppi". C'è chi ipotizza, dietro il crimine, un disegno delle milizie jihadiste che hanno insediato, tra l'Iraq e la Siria, un nuovo califfato. La nascita del califfato può incendiare tutta la Regione, investire la Giordania e attizzare le frizioni nei Territori, dove i qaedisti starebbero reclutando combattenti per le loro milizie, alimentando cosi i contrasti tra Hamas, il cui premier Ismail Haniyeh ha annunciato il 23 giugno la Terza Intifada, ed al Fatah. Con il rapimento dei tre giovani coloni e, ora, la loro esecuzione', i jihadisti - se sono davvero loro dietro tutto ciò - fanno leva sulla frustrazione e sul risentimento di parte dei palestinesi verso leader quasi rassegnati al ristagno delle trattative con Israele e poco inclini a riprendere la lotta contro l'occupazione. Non a caso, tutto ciò avviene all'inizio del Ramadan, il mese del digiuno sacro ai musulmani, quando i proclami esaltati della Guerra Santa trovano terreno più fertile. Per proclamare la nascita del loro califfato e l'insediamento del primo califfo, Abu Bakr al Baghdadi, le milizie jihadiste dell'Isis, lo Stato islamico d'Iraq e Siria, hanno proprio atteso l'avvio del Ramadan. E se l'annuncio  viene a coincidere con una controffensiva dell'esercito regolare iracheno, che tenta di riprendere Tikrit, la città di Saddam, e altri centri a nord di Baghdad, presi dagli insorti nell'avanzata acceleratasi dopo il 9 giugno, altrove le milizie restano all'offensiva: nelle ultime 48 ore, decine di lealisti sarebbero caduti in scontri alle porte della capitale. Il califfato islamico si estende sulle regioni conquistate dai combattenti qaedisti, a cavallo tra Iraq e Siria, dove gli integralisti continuano a ricorrere agli strumenti del terrorismo: loro, probabilmente, l'autobomba esplosa domenica a Duma, un sobborgo di Damasco, facendo decine di vittime. In un messaggio radio diffuso su intenet, l'Isis, che adotta ora il nome di Stato islamico, per evitare ogni riferimento alle frontiere acquisite, indica il proprio capo al-Baghdadi come califfo e, quindi, leader della umma dei musulmani, la comunità dell'Islam in tutto il mondo. Abu Bakr era il nome del primo califfo, insediato al potere nel 632 d.C., alla morte di Maometto. Nel messaggio, Abu Mohammas al-Adnani, portavoce dell'Isis, spiega che il califfato sunnita copre da Aleppo, nel nord della Siria, a Diyala, nell'Est dell'Iraq, regioni già occupate dalle milizie, forti di decine di migliaia di combattenti contro i regimi di Damasco e di Baghdad. "Musulmani, respingete la democrazia, la laicità, il nazionalismo e tutta l'altra immondizia occidentale. Tornate alla vostra religione", è il proclama di al-Adnani. In questo scenario, si muovono potenze regionali, come, in primo luogo, l'Iran, a fianco degli sciiti d'Iraq, e Israele, preoccupato di subire una sorta d'accerchiamento jihadista, e le Grandi Potenze, come la Russia, che ha fornito a Baghdad 12 aerei militari Sukoi Su-25 (5 già consegnati), mentre gli Stati Uniti si sono finora limitati a inviare circa 300 esperti militari e dei droni, aerei senza pilota. L'unico dato positivo pare essere l'imminente arrivo nel porto di Gioia Tauro della nave danese che ha lasciato nei giorni scorsi il porto siriano di Latakia con un carico di componenti chimici letali, se assemblati

LA REPUBBLICA - Adriano Sofri: La tragedia nelle trincee del dolore


Adriano Sofri

Tre ragazzi, Gilad, Naftali ed Eyal, due sedicenni e uno diciannovenne, usciti dalla loro scuola religiosa, sono stati rapiti mentre di notte facevano l’autostop — pochi gesti sono così inermi e fiduciosi nel prossimo sconosciuto come fare l’autostop — e trucidati. È un crimine vile e ripugnante .
Infelice chi non sa sentire come proprio il dolore delle famiglie di quei ragazzi e della loro gente, per odio o pregiudizio, o perché non sa uscire dalla trincea del dolore proprio. Per guardare il filmato della festa di Purim, appena tre mesi fa, in cui Eyal in divisa recitava il salvataggio di un ostaggio rapito.
Tutto quello che avviene nel vicino Oriente, e più ancora fra Israele e Palestina, è come predestinato a essere inghiottito dal suo contesto, a eludere subito il confronto fra l’umano e il disumano, per diventare di colpo una mossa nella partita senza fine su una scacchiera in cui le caselle non sono più bianche né nere. Ci sono tre vittime, tre ragazzi ebrei, e ci sono gli uomini che hanno colto l’occasione per dare sfogo alla loro infame violenza. Questo è successo. Ed è successo che nella ricerca dei rapiti, nel giuramento di riportarli alle loro case, il governo israeliano ha dispiegato una forza di 8 mila militari, ha compiuto più di 400 arresti («una gran parte di Hamas o del Jihad islamico», dunque una parte no), ha fatto cinque vittime fra i palestinesi, ha fatto sentire la propria risposta come una punizione collettiva alla popolazione palestinese. Non importa ora osservare che la reazione israeliana sia stata inefficace rispetto al salvataggio dei rapiti: non poteva esserlo, se davvero erano stati assassinati subito, e comunque non si può essere efficaci di fronte a nemici pronti a uccidere ostaggi inermi. L’angoscia diffusa che Israele si trovasse di nuovo di fronte a un ricatto esasperante come quello dei cinque anni di sequestro di Shalit, aggravato dall’età e l’ingenuità dei rapiti di Hebron, era in realtà ottimistica: questa volta non si mirava ad atterrire e scambiare prigionieri al tasso di uno contro mille. Netanyahu ha attribuito immediatamente la responsabilità del rapimento — dunque ora dell’assassinio — a Hamas, in toto, ha detto di averne le prove inconfutabili, e ha orientato di conseguenza la propria reazione, e avverte adesso di voler a maggior ragione orientarla così, a distruggere Hamas. Ieri sera alla tv israeliana Carmi Gilon, un ex capo dello Shin Beth, ha detto una necessaria ovvietà: che annientare Hamas vorrebbe dire annientare centinaia di migliaia di persone. Israele fa i conti con molte condizioni esterne — a cominciare dalla collaborazione di Abu Mazen, indispensabile alla sua sicurezza — e interne. Il nuovo presidente, eletto dalla Knesset a succedere, dal 24 luglio, a Shimon Peres, Reuven Rivlin, è una singolare personalità: compagno di partito, il Likud, di Netanyahu, che ha fatto di tutto per sventarne l’elezione, è un falco vegetariano con una lunga passione democratica-radicale, che lo ha portato a osteggiare le discriminazioni contro i cittadini arabi di Israele e ad auspicare uno Stato solo, binazionale, per le due comunità. Viene dal vecchio Yishuv, l’insediamento ebraico precedente al 1882, da un padre traduttore del Corano e delle Mille e una notte, parla l’arabo, è immune al sionismo più retorico, ma attaccato al sogno della Grande Israele.
È solo un aspetto di una situazione in straordinario movimento, benché il pessimismo e almeno lo scetticismo pretendano di aver sempre ragione su quella scacchiera dalle righe cancellate o ricalcate. La tragedia conclusa ieri col ritrovamento dei corpi mostra come nella più studiata delle sceneggiature quanto sia complicata, meticolosa e paziente la ricerca della pace, e quanto sia svelta di mano e facile la voglia della guerra. Un ulivo messo cerimonialmente in terra nei giardini del Vaticano, a rincorrere migliaia di ulivi sradicati in terra santa. Mettete a confronto l’azione probabilmente improvvisata dei rapitori del 12 giugno — Hamas? O una banda di criminali politici e comuni, magari aderenti a Hamas? — con l’incontro nei giardini del Vaticano fra papa Francesco, Shimon Peres, Abu Mazen e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, definito un evento “storico”. Una lentissima ragnatela strappata di colpo, magari da una ditta artigiana di assassini. Si è tentati, almeno per ipotesi, di paragonare i diari della fine di giugno del 1914 a Sarajevo con la cronaca di oggi. Lì si ammazzò un arciduca erede all’impero, qui degli scolari di Yeshivà spensieratamente in cammino: lì e qui non si ammise che non ci fosse qualcuno dietro, la Serbia per gli uni, l’Austria e la Germania affamate di guerra per gli altri — Hamas per gli uni, Israele voglioso di guerra per gli altri. Fa impressione la sequenza. Il 23 aprile Fatah e Hamas firmano l’accordo che porta, il 2 giugno, alla costituzione di un governo di unità nazionale palestinese. Il governo israeliano reagisce interrompendo i colloqui di pace con l’Autorità Nazionale Palestinese, che avrebbero dovuto concludersi, nel calendario originario, il 29 aprile. Il 27 aprile, giorno in cui in Israele si celebra il ricordo della Shoah, Mahmud Abbas, alias Abu Mazen, presidente dell’Anp, dichiara che «l’olocausto è stato il più odioso crimine contro l’umanità dei tempi moderni». L’8 giugno l’incontro ai Giardini Vaticani, preparato poco fa dalla visita di papa Bergoglio in Israele e Palestina. Il 16 giugno Abu Mazen deplora il rapimento ma anche le «violazioni israeliane che ne sono seguite»; il 18 giugno dichiara che «gli autori del rapimento dei tre giovani israeliani mirano a distruggere l’unità dei palestinesi, e dovranno renderne conto». Si moltiplicano lanci di razzi dalla striscia di Gaza contro Sderot e incursioni dell’aviazione israeliana sulla striscia. Sul Golan, un ragazzo israeliano di 15 anni, figlio di un manutentore di reticolati, muore colpito da un proiettile sparato dalla Siria. Infine le notizie di ieri, e quelle di domani.
Bring back our boys , chiedevano i cartelli dei giovani israeliani. La sequenza diventerà più eloquente se le si affiancheranno le date di altri avvenimenti, per cerchi via via più larghi. Della Siria, del califfato islamico, fino a quello stato nigeriano del Borno in cui le vittime di ieri erano molte decine, e le centinaia di ragazze scolare — Bring back our girls — sono ancora schiave e maneggiate da Boko Haram. Oppure, nel cerchio d’acqua che si apre verso di noi, le 30 creature umane arrivate a Pozzallo in una stiva, morte, come ha scritto con amara disperazione Wlodek Goldkorn, “in una camera a gas”.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio: Ritrovati i corpi dei tre adolescenti israeliani


Michele Giorgio


GERUSALEMME I corpi dei tre ragazzi ebrei Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel, scomparsi in Cisgiordania il 12 giugno, sono stati ritrovati ieri nei pressi del villaggio di Halhul (Hebron), in campagna, con le mani legate, non sepolti e seminascosti da cespugli. Sono stati uccisi subito dopo il rapimento avvenuto mentre facevano l'autostop. Nelle passate due settimane non sono mai giunte rivendicazioni attendibili del sequestro, ma Israele ripete che la responsabilità è tutta di Hamas e al momento sono ricercati due militanti del movimento islamico, Amer Abu Aysha and Marwan Kawasme. I due non hanno più fatto ritorno a casa, ad Hebron, dal giorno della scomparsa dei tre ragazzi israeliani, due studenti della yeshiva Makor Chaim, nel kibbutz religioso di Kfar Etzion, e un altro istituto religioso nelle colonie nel centro di Hebron. «Quello che più temevamo è tragicamente successo», ha commentato il presidente eletto di Israele, Reuven Riviin. In quello stesso momento rinforzi militari arrivavano nella zona del ritrovamento dei corpi per aggiungersi alle centinaia di soldati che hanno preso il controllo di Halhul compiendo raid e perquisizioni. Ad un certo punto sono divampate le proteste degli abitanti e per molti minuti sono andati avanti scontri violenti tra militari e palestinesi. Una notte carica di tensione è scesa su tutta l'area. Nei discorsi della gente c'era un solo argomento: la reazione di Israele all'uccisione dei tre ragazzi. Si prevede durissima. Il gabinetto di sicurezza presieduto da Benyamin Netanyahu si è riunito ieri sera alle 8.30 italiane con l'intenzione di decidere subito nuove e più devastanti operazioni militari. Eppure la reazione è già avvenuta nelle passate settimane: una decina di morti palestinesi (tra i quali due ragazzi), numerosi feriti, oltre 500 arrestati - inclusi dirigenti, parlamentari e militanti di Hamas - raid incessanti in campi profughi, villaggi e città. Hebron è stata setacciata ininterrottamente. A questo punto è logico attendersi che gli attacchi militari si concentrino sulla Striscia di Gaza già presa di mira in questi giorni e dove vive il resto della leadership di Hamas nei Territori occupati. Gli ultimi raid dell'aviazione israeliana, che hanno fatto tre morti tra i palestinesi e feriti anche tra i civili, tra i quali un bambino, si sono alternati con nutriti lanci di razzi palestinesi. E uno scenario destinato ad amplificarsi con il rischio che possa sfociare in una nuova massiccia offensiva, aerea e forse anche di terra, contro la Striscia È anche possibile che Israele per ritorsione tenti di eliminare fisicamente i dirigenti di Hamas a Gaza Le parole ascoltate in questi ultimi giorni non lasciano dubbi sulla intenzione del governo Netanyahu di usare il pugno di ferro. II ministro degli esteri Lieberman ha esortato esecutivo e comandi militari a rioccupare Gaza Le reti televisive israeliane ieri sera ipotizzavano l'adozione immediata di 2-3 provvedimenti. Israele potrebbe deportare a Gaza decine di dirigenti e militanti di Hamas e demolirne le case, ha indicato il capo della Commissione parlamentare per gli esteri e la difesa Zeev Ellin (Likud). Da parte sua Netanyahu ha ammonito che «Israele è pronto ad estendere le operazioni, a seconda delle necessità». L'avvertimento è stato indirizzato non solo ai gruppi armati palestinesi a Gaza ma anche all'Anp di Abu Mazen alla quale il premier israeliano ha chiesto perentorio di «annullare» il governo di consenso nazionale con Hamas presieduto da Rami Hamdalah. «Da quando è stato formato il governo di unità palestinese con l'or-ganizzazione terroristica Hamas», ha affermato Netanyahu, l'Anp si «addossata di fatto la responsabilità di impedire spari verso il nostro territorio«. Parole che indicano che la reazione di Israele per l'uccisione dei tre ragazzi potrebbe colpire anche l'Anp a Ramallah, non con le armi ma con pesanti sanzioni economiche e politiche per costringerla a rinunciare alla riconciliazione con Hamas che già vacilla da giorni sotto l'onda d'urto delle operazioni militari ordinate da Tel Aviv. La leadership politica di Hamas sente che nelle prossime ore, nei prossimi giorni, dovrà affrontare una situazione eccezionale, con conseguenze al momento incalcolabili. «A Gaza si è creata una situazione di vuoto politico. Non è più sotto la responsabilità del passato esecutivo né è ancora sotto quella del nuovo governo di unità palestinese», ha provato a spiegare il lancio di razzi il vice leader politico di Hamas, Mussa Abu MarzuK Ha-mas, ha aggiunto, potrebbe dunque vedersi obbligato a riassumere il controllo della Striscia, per garantirvi la sicurezza. Parole che sono apparse un accoglimento indiretto dell'aut aut lanciato da Netanyahu che ha intimato ad Hamas di fermare i lanci di razzi o a prepararsi a pagarne le conseguenze

Il MESSAGGERO - Eric Salerno: "Morti i tre ragazzi rapiti. Israele sottto choc"


Eric Salerno


Li hanno cercati per diciotto giorni e notti. Ieri pomeriggio le truppe, accompagnate da scout specializzati e cani addestrati, hanno battuto le campagne tra Hebron e Halhul, nella Cisgiordania occupata. È stato sotto un ammasso di pietre fresco, su un terreno dove l'erba fatica a crescere, che hanno trovato i corpi dei tre studenti israeliani - Eyal Yifrah (19 anni), Gilad Shaar (16) e Naftali Fraenkel (16). Erano stati sequestrati da due palestinesi che indossavano gli abiti neri e lunghi di ebrei ortodossi. La scoperta ha messo fine a una fase del dramma. Le autorità hanno avuto la conferma di ciò che sospettavano fin dall'inizio della tragica vicenda: i tre erano stati uccisi subito dopo il loro rapimento. Probabilmente perché i terroristi, per quanto organizzati, non sono stati capaci di nasconderli, come avrebbero voluto, per poi cercare di scambiarli con prigionieri palestinesi in carcere.
Israele oggi è in lutto. Come tante altre volte in questo lungo conflitto tra due popoli in lotta per la stessa terra. La notizia è arrivata nel tardo pomeriggio, ma gli israeliani l'hanno saputo ufficialmente dopo il resto del mondo. Erano state due televisioni arabe ad annunciare il ritrovamento. Quella israeliana era rimasta silenziosa per consentire alle autorità di avvertire le famiglie e convocare una riunione urgente del governo. E anche far sapere che sono stati cacciati gli agenti di polizia che non avevano dato credito alla telefonata con cui una delle giovani vittime, con voce concitata, annunciava di essere stato rapito e chiedeva aiuto. I tre ragazzi erano allievi di una scuola religiosa e si erano fidati dei due palestinesi vestiti da ebrei ortodossi che offrivano un passaggio in auto per tornare a casa dalla loro yeshiva, come facevano tutte le settimane. Quando si è accorto che qualcosa non funzionava, uno dei giovani è riuscito a fare una telefonata Soltanto ore dopo, gli agenti di polizia hanno segnalato la chiamata ma i cellulari avevano smesso di funzionare. Le forze di sicurezza israeliane controllano la Cisgiordania con mezzi di alta tecnologia e attraverso una conoscenza del territorio e della popolazione consolidata in oltre quaranta anni di occupazione militare. Non è stato difficile, per lo Shin Bet, arrivare a casa di due giovani noti per la loro attività anti-israeliana. Marwan Qawasmeh e Amar Abu Aisha sono considerati gli autori materiali del rapimento e, a questo punto, dell'uccisione dei ragazzi israeliani. Sono scomparsi dal giorno del rapimento e sono tuttora irreperibili. Erano stati rilasciati l'anno scorso nello scambio di prigionieri che portò alla liberazione di Gilad Shalit e come altri erano tornati a militare in Hamas. Netanyahu non ha esitato a incolpare il movimento islamico anche se i leader dell'organizzazione dopo aver commentato positivamente il rapimento sostenevano di non esserne coinvolti. E ieri sera, aprendo la riunione straordinaria del governo, il premier ha nuovamente accusato il movimento che controlla Gaza. «Hamas è colpevole. Hamas la pagherà».

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