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La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.07.2014 Rapiti e Uccisi: le cronache
di Maurizio Molinari, Daniele Raineri, Davide Frattini, Cecilia Zecchinelli

Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Daniele Raineri - Davide Frattini - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Uccisi subito dopo il sequestro - Netanyahu dà il via alla rappresaglia - Trovati i tre ragazzi rapiti a Hebron, sepolti in un campo - Il clan di estremisti filo-Hamas - Musica e kippà: Il mondo dei tre amici»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/07/2014, a pagg. 1-2 e 3, gli articoli di Maurizio Molinari intitolati  "Uccisi subito dopo il sequestro" e "Netanyahu dà il via alla rappresaglia. 'Bestie , la pagheranno' ". Dal FOGLIO, a pag. 1, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Trovati i tre ragazzi rapiti a Hebron, sepolti in un campo"
Dal CORRIERE della SERA , a pag. 7, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "Il clan di estremisti filo-Hamasche allenava una squadra di baby calciatori kamikaze" e l'articolo   di Cecilia Zecchinelli dal titolo Musica e kippà: il mondo dei tre amici"

Di seguito, gli articoli:


Tel Aviv, la veglia per i tre ragazzi uccisi

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " Uccisi subito dopo il sequestro"


Maurizio Molinari

Uccisi subito dopo il sequestro - Netanyahu dà il via alla rappresaglia. 'Bestie, la pagheranno' - Trovati tre ragazzi rapiti a Hebron, sepolti in un campo - Il clan di estremisti filo-Hamas che allenava una squadra di baby calciatori kamikaze - Musica e kippà: il mondo dei tre amici
Gettati fra i sassi su un sentiero sterrato di Wadi Tellem, due leggermente più in vista e il terzo quasi nascosto dietro una roccia. Sono stati trovati così i corpi senza vita di Eyal Yifrach, 19 anni, Naftali Frenkel e Gilad Shaar, entrambi 16 anni, rapiti la notte del 12 giugno scorso mentre facevano l’autostop sull’autostrada 60 a meno di 20 km di distanza.
A scorgere le salme, verso le 17 di ieri, sono stati i volontari di una scuola di Kfar Etzion impegnati a ispezionare, metro per metro, cespuglio per cespuglio, l’area disabitata fra le città palestinesi di Halhul e Karmei Tzur, poco a nord di Hebron. Peter Lerner, portavoce dell’esercito israeliano, non spiega in quali condizioni sono stati trovati i corpi «perché l’indagine scientifica è ancora in corso», ma le prime indiscrezioni trapelate dagli inquirenti suggeriscono che i tre studenti di scuole religiose sono stati uccisi forse già all’indomani del sequestro e i rapitori hanno poi tentato di portare con loro i corpi - al fine di scambiarli con dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane - per poi decidere di abbandonarli frettolosamente per sfuggire ad una caccia all’uomo divenuta sempre più asfissiante.
Le immagini dei blindati di Tzahal, l’esercito israeliano, attorno a luogo del ritrovamento, hanno accompagnato la popolazione a realizzare nel pomeriggio di ieri la consumazione di un dramma collettivo. Per quasi un’ora i principali network non hanno pronunciato la parola «morte» né riportato le notizie sul ritrovamento delle salme trasmesse dalla tv araba Al-Jazeera in una dimostrazione di rispetto unanime per il dolore delle tre famiglie che, in quegli stessi momenti, stavano ricevendo dal premier Benjamin Netanyahu e dai comandi militari la notizia della morte violenta dei figli che avevano sperato di rivedere. A parlare per le famiglie sono stati i vicini di casa negli insediamenti ebraici dove tutti si conoscono. Come nel caso di Eli Yemini, residente a Talmon e amica degli Shaar, che davanti alle telecamere ha detto: «Hanno bisogno di tempo per digerire quanto avvenuto, speravamo di ricevere buone notizie, ma sfortunatamente ciò non è avvenuto».
Il basso profilo e la semplicità delle famiglie dei ragazzi rapiti hanno conquistato Israele durante i 18 giorni del sequestro ed sono continuati anche nelle ore successive alla scoperta della tragedia avvenuta. Simile il comportamento anche dei rabbini con cui i ragazzi studiavano. Adin Even-Israel Steinzaltz, titolare della scuola Mekor Haim e fra i maggiori studiosi di Talmud viventi, ha rifiutato di apparire in pubblico consegnando il proprio dolore ad un comunicato di poche righe dove descrive l’uccisione dei ragazzi con il termine «Kidush Hashem» - la santificazione del nome di Dio - ovvero lo stesso che viene adoperato per ricordare le vittime della Shoah per mano dei nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
E il rabbino Mordehai Malka di Elad, dove la famiglia Yirach vive, si è limitato a dire che «l’unica cosa che ci incoraggia è l’unità che il popolo di Israele ha dimostrato nel corso di questa tragedia», ricordando come «la sola richiesta che ogni famiglia ha fatto, sin dall’inizio di questa vicenda, è che il popolo di Israele non si divida su quanto è successo».
Si spiega così quanto avvenuto domenica sera a Tel Aviv quando migliaia di israeliani di ogni fede politica e credo religioso si sono ritrovati a pregare e cantare assieme per i sequestrati, proprio come ieri sera è avvenuto attorno alle case delle famiglie delle vittime e a Kikkar Zion, nel centro di Gerusalemme, dove gli studenti di molte scuole religiose si sono abbracciati in un pianto composto rendendo omaggio alle vittime. In attesa dei funerali previsti per oggi.
Proprio questo forte sentimento di unità nazionale attorno alle famiglie degli insediamenti in Cisgiordania ha spinto il premier Netanyahu a scegliere di non parlare alla nazione, rimandando a dopo i funerali il discorso sull’uccisione dei tre adolescenti.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " Netanyahu dà il via alla rappresaglia. 'Bestie , la pagheranno' "

«Hamas è responsabile e Hamas pagherà». Il premier israeliano Benjamin Netanyahu punta l’indice contro l’organizzazione fondamentalista palestinese considerandola responsabile di «questo assassinio commesso da esseri bestiali» mentre il capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, arriva a Halhul, luogo dell’omicidio dei tre ragazzi, per far sapere che «migliaia di soldati e di agenti sono mobilitati contro Hamas e per catturare gli assassini di Eyal, Gilad e Naftali».
Fonti militari israeliane affidano ai mezzi di comunicazione locali - tv e radio - un messaggio esplicito a Hamas: «Abbiamo mezzi e informazioni per colpire i vostri leader, il consiglio che diamo è di non lanciare alcun razzo contro Israele perché potrebbe essere l’errore più grande da commettere». In concreto ciò significa che le forze di sicurezza di Gerusalemme sono impegnate in un’offensiva su due fronti contro Hamas: in Cisgiordania per decapitare con gli arresti la struttura dell’organizzazione e attorno alla Striscia di Gaza per schierare reparti armati a sufficienza per iniziare un’operazione di terra se le circostanze lo richiederanno.
«Abbiamo molte informazioni sulle quali lavorare» aggiunge Nitzan Alon, capo delle operazioni nella West Bank, per far capire che la caccia ai due principali sospetti - Marwan Kawasmeh e Amar Abu-Isa - si sta allargando ad altri miliziani islamici. Dall’interno del governo è forte la pressione per una resa dei conti con Hamas. Il viceministro della Difesa Dany Danon chiede di «annientare Hamas» e il ministro dell’Edilizia Uri Ariel propone di «colpire senza pietà i terroristi con i quali siamo in guerra», mentre Zeev Elkin, presidente della commissione Esteri, suggerisce di «demolire le case dei capi di Hamas in Cisgiordania espellendoli verso Gaza».
A sostenere questa tesi è soprattutto Naftali Bennet, il ministro dell’Economia e leader dell’ala destra della coalizione di governo, con cui Netanyahu ha avuto un incontro privato prima di riunire il gabinetto ristretto per decidere le «misure d’emergenza». Per alcune ore Netanyahu ha preso in considerazione l’ipotesi di un discorso alla nazione, che avrebbe accelerato l’escalation militare, ma poi ha preferito diffondere solo un testo scritto, seppur durissimo. Il motivo è che il premier valuta anche un’altra opzione, sostenuta da alcuni suoi stretti collaboratori, ovvero sfruttare l’emozione internazionale per l’assassinio dei tre ragazzi ebrei al fine di accrescere la pressione sul presidente palestinese Abu Mazen per spingerlo a rescindere il patto di unità nazionale con Hamas siglato poche settimane fa.
«Eyal, Gilad e Naftali sono stati rapiti e assassinati in maniera brutale, Hamas è responsabile» tuona Netanyahu per poi aggiungere che «questo è il momento di seppellirli secondo i riti ebraici» guadagnando tempo. L’intento è mettere nell’angolo Abu Mazen per aver scelto il patto con Hamas e la difficoltà del presidente palestinese è testimoniata dall’assenza di reazioni a caldo al ritrovamento delle salme in un’area di Hebron sotto il controllo del suo governo. A parlare invece è Hamas, il cui portavoce Sami Abu Zuhri accusa Israele di «costruire montagne di bugie al fine di montare un’offensiva contro di noi sebbene nessun gruppo palestinese, e tantomeno noi, abbia rivendicato questa azione». «La versione dei fatti di Israele è l’unica di cui si discute e non può essere ritenuta vera», osserva Sami Abu Zuhri, aggiungendo un monito a Netanyahu: «Se ci attaccheranno, non staremo certo fermi, si spalancheranno le porte dell’inferno per tutti i sionisti». Il riferimento è a migliaia di razzi e missili che Hamas avrebbe a disposizione a Gaza per poter lanciare attacchi in profondità contro lo Stato Ebraico.

Il FOGLIO - Daniele Raineri: "Trovati i tre ragazzi rapiti a Hebron, sepolti in un campo "


Daniele Raineri

Oggi i soldati hanno trovato i corpi dei tre ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno a nord di Hebron mentre facevano l’autostop sull’autostrada 60 in Cisgiordania. Naftali Frenkel e Gilad Shaar, di 16 anni, e Eyal Yifrach, di 19, sono stati uccisi e sepolti in un campo a Halhul, forse poco dopo la loro sparizione. Per ritrovarli, l’esercito e le forze di sicurezza hanno montato nelle ultime settimane un’operazione di ricerca gigantesca – Brother’s Keeper – in Cisgiordania e hanno colpito alcuni target di Hamas, il gruppo terrorista palestinese che secondo Gerusalemme è responsabile del rapimento e dell’uccisione dei tre ragazzi. Da quando è iniziata l’operazione militare, sono stati lanciati almeno quaranta razzi sul territorio israeliano dalla Striscia di Gaza. Il governo di Benjamin Netanyahu ha riunito ieri sera d’emergenza il consiglio di sicurezza per discutere la risposta all’assassinio, con il viceministro della Difesa, Danny Danon, che ha chiesto un assalto militare a Hamas, “questa fine tragica” della vicenda del rapimento dei tre adolescenti “sarà anche la fine di Hamas”, ha detto. Il governo è diviso fra ministri che propongono un’azione massiccia contro il gruppo armato e chi invece vuole cercare la solidarietà internazionale. Hamas risponde: “Qualsiasi attacco aprirà le porte dell’inferno”.
La settimana scorsa le autorità israeliane hanno diffuso i nomi di due membri di Hamas sospettati del rapimento, Abu Aysha e Marwan Kawasme, mancano dal loro quartiere Heres di Hebron fin da prima del sequestro e sono ancora latitanti. Uomini di Hamas a Hebron confermano che i due fanno parte del gruppo e i soldati dell’esercito israeliano in queste settimane sono entrati nelle case e hanno sequestrato alcuni oggetti considerati come possibili prove. La polizia israeliana è finita sotto accusa, perché non avrebbe risposto alla chiamata notturna di uno dei tre ragazzi dal suo cellulare, che sosteneva di essere stato rapito. Quando il padre ha dato l’allarme all’esercito e alle forze di sicurezza dello Shin Bet, erano ormai passate cinque ore. Proprio lo Shin Bet ieri si è assunto la paternità delle indagini e del ritrovamento con un comunicato: “Dopo un intenso lavoro d’intelligence, meno di 24 ore dopo il sequestro abbiamo individuato i responsabili, Abu Aysha e Marwan Kawasme. Più tardi, grazie ad altre informazioni d’intelligence abbiamo indicato alle squadre di ricerca l’area su cui concentrarsi, a ovest di Halhul e nord di Hebron. Da allora, lo Shin Bet e le forze speciali dell’esercito hanno condotto ricerche intensive in quell’area”.

Sedici razzi in una notte da Gaza

Il ministro Yaakov Perry dice che il presidente palestinese Mohamed Abbas, detto anche Abu Mazen, dovrebbe revocare immediatamente il patto di riconciliazione con Hamas. La morte dei tre ragazzi arriva nel momento del fallimento del processo di pace tra Israele e i palestinesi. Dopo una mediazione laboriosa e infinita da parte del segretario di stato americano, John Kerry, non soltanto i negoziati non sono cominciati, ma l’Autorità nazionale palestinese ha firmato un riavvicinamento e formato un governo assieme a Hamas. Il gruppo che controlla la Striscia di Gaza si è tenuto molto di lato e non ha preteso ruoli rilevanti, ma la fusione con la Cisgiordania – di cui ora Perry chiede la fine – è effettiva. L’America si trova nella posizione imbarazzante di chi deve continuare a finanziare un governo, quello palestinese, che ora contiene elementi che fanno la guerra a colpi di razzi da Gaza, nella speranza remota di controllarlo in qualche modo e di farlo un giorno sedere al tavolo dei colloqui.
Due giorni fa gli aerei israeliani hanno colpito una cellula di lanciatori di razzi. Tra domenica notte e l’alba di lunedì sedici razzi sono stati sparati su Israele, dieci in una volta unica per ingannare le contromisure israeliane, ma sono caduti su un’area disabitata senza causare danni.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Il clan di estremisti filo-Hamas che allenava una squadra di baby calciatori kamikaze "


Davide Frattini



GERUSALEMME — Il clan Qawasmeh è raccolto in meno di un chilometro, diecimila tra fratelli, cugini, parenti vivono nella zona di Abu Qatila vicino ad Hebron. Due di loro sono i sospetti indicati dagli investigatori israeliani, mancano da casa dal 12 giugno, quando i tre ragazzi erano stati rapiti.
La famiglia estesa è nota all’esercito e agli agenti dello Shin Bet, i servizi segreti. Durante la seconda intifada, quindici membri sono rimasti uccisi, nove di loro autoimmolati come attentatori suicidi. Legati ad Hamas, spesso hanno agito fuori controllo, senza ricevere ordini dai leader del movimento fondamentalista. «Gli attacchi contro gli israeliani — fa notate l’analista Shlomi Eldar sulla rivista digitale Al Monitor — sono coincisi con momenti di tregua, cessate il fuoco che gli oltranzisti non volevano accettare». Anche il sequestro sarebbe stato un atroce piano per far deragliare la ritrovata unità tra Hamas e il Fatah di Abu Mazen. «Israele considera Hamas responsabile — continua Eldar — mentre i palestinesi sanno che il gruppo rappresenta un’area grigia. E’ per questo che il presidente non ha ancora smantellato il governo di concordia appena formato malgrado le pressioni del premier Benjamin Netanyahu da Gerusalemme».
La vicinanza ideologica e di quartiere ha fatto degli Qawasmeh uno dei gruppi più difficili da infiltrare, anche per le forze di sicurezza palestinesi. Lo scettro della violenza è sempre stato trasmesso da parente a parente. Quando Abdullah Qawasmeh è stato eliminato dagli israeliani nel giugno del 2003, il successore è diventato il cugino Basil. Quando Basil è stato assassinato, il comando è andato a Imad, arrestato nell’ottobre di undici anni fa. Marwan, considerato l’ideatore del sequestro, avrebbe accresciuto potere e prestigio proprio dopo l’incarcerazione a vita di Imad. La fedeltà tribale veniva cementata anche con la dedizione sportiva. I kamikaze e i ragazzi scelti per missioni suicide giocavano nella stessa squadra di calcio, chiamata Moschea Jihad: maglietta bianca, per simbolo un pugno che stringe un’ascia, allenamenti dopo le preghiere.
Abdullah era stato freddato dai soldati delle forze speciali dopo aver spedito un attentatore con la cintura bomba su un autobus a Gerusalemme, 16 morti: Mohammad Shabani, che per non essere fermato prima della strage si era travestito da ultraortodosso ebreo, si ritrovava al campetto. Come Ziad al-Fahudi, numero 15, ammazzato mentre cercava di infiltrarsi nella colonia di Kiryat Arba. Con lui c’era Hazam Qawasmeh, vivevano a duecento metri di distanza e giocavano nella stessa squadra della morte.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli:  "  Musica e kippà: il mondo dei tre amici"


Cecilia Zecchinelli


Da solo sul palco, chitarra e vestito da festa, Eyal Ifrah canta ispirato per il cugino al suo matrimonio. Ci è rimasto un video di quel giorno felice, nella primavera scorsa, da lui stesso messo su YouTube. Un altro lo mostra vicino a un amico, davanti a un microfono: si alternano in un brano melodico, le voci sono belle e loro contenti, è l’inizio di giugno. Naftali Frenkel si esibisce invece sul portale di video in una recente partita di ping pong: è bravo e sorride spesso. Ancora Naftali compare in Rete con il compagno di scuola Gilad Shaar in una foto scattata al collegio rabbinico di Kfar Etzion: le kippà chiare in testa, entrambi accucciati, sono in tenuta da calcio e dietro di loro si vede infatti una rete. La data è l’11 giugno 2014, mercoledì. Il giorno dopo, finite le lezioni, Gilad e Naftali si sono diretti alla vicina rotonda sulla statale 60 per cercare un passaggio e tornare a casa più a nord per il weekend. Per caso, lì nello stesso punto, vicino a una fermata degli autobus che ormai non passavano più, è arrivato anche Eyal, allievo di un’altra scuola religiosa della zona. E’ l’ultima informazione che abbiamo di loro, da vivi almeno.
Poi, fino al ritrovamento ieri dei loro corpi, il buio: certo caricati da un’auto (una sospetta è stata trovata già l’indomani, bruciata, più a sud nei pressi di Hebron), certo rapiti, forse — come ha sostenuto dall’inizio il premier Benjamin Netanyahu — prelevati da membri del movimento islamico Hamas.
Le sorti dei due amici Gilad e Naftali, 16 anni, e di Eyal, 19, si sono tragicamente intrecciate in quel momento, mentre facevano l’autostop, che gli israeliani usano tantissimo anche per attraversare i Territori occupati nonostante tutti sappiano che «devono stare attenti». Ma i tre ragazzi erano comunque già legati dall’appartenenza alla stessa «tribù» della moderna Israele. «Kippot srugot», si autodefiniscono in ebraico, ovvero kippà all’uncinetto, per distinguersi da quelle nere e lucide indossate dagli ultraortodossi. «Noi siamo osservanti ma siamo moderni, facciamo il militare ad esempio e gli uomini lavorano anziché solo studiare i testi sacri come gli ultraortodossi», ci aveva spiegato un vicino di Naftali Frenkel a Nof Ayalon, in occasione del primo, emozionante incontro tra le tre famiglie, pochi giorni dopo il rapimento. Simili infatti le tre coppie dei genitori: professionisti i padri, le madri con i foulard in testa, le maniche e le gonne lunghe, ma con l’aria decisa e le vite impegnate, nel lavoro e nel sociale. E tutte con tanti figli: Naftali è il secondo di sette, Gilad ha cinque sorelle, Eyal è il primogenito di sei. Tutti e tre i ragazzi, pur abitando in luoghi diversi, studiavano poi in due yeshiva o collegi rabbinici nella grande colonia di Gush Etzion (Kfar Etzion è un kibbutz al suo interno). Yeshiva in cui la religione ha un peso importante, ma anche tutte le materie laiche, e in cui pur essendo solo per maschi si respira un’aria appunto «moderna». Gli studenti suonano e ascoltano musica, fanno sport, hanno hobby. Nei weekend, tornati a casa, hanno amici e vite normali, da bravi ragazzi. «Gilad ama tantissimo il cinema, ha appena finito un corso di snorkeling ma è pure un abile cuoco, si diverte molto a infornare torte e pasticcini con le sue sorelle che lo adorano», raccontava qualche giorno fa la zia Lehi, parlando ancora al presente nella speranza che l’avrebbe presto riabbracciato. «Eyal ama viaggiare e la musica, compone canzoni, suona e canta. Ed è un tifoso di calcio, in questi giorni starebbe incollato alla tv a guardarsi i Mondiali», aveva aggiunto un’amica di famiglia. E Naftali «l’americano», perché come tutta la famiglia ha doppia nazionalità, i nonni erano di Brooklyn dove lui stesso era di casa, «è un grande sportivo. Il basket in particolare», aveva detto mamma Rachel alle Nazioni Unite qualche giorno fa. Dove le tre madri avevano parlato dei loro figli, «tutti bravi studenti e bravi ragazzi», appellandosi al mondo perché, anche con la preghiera, fossero presto ritrovati sani e salvi.

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