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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.06.2014 Curdi ultimo baluardo contro lo 'Stato islamico', mentre Putin rifornisce di caccia Al Maliki
Intervista di Francesco Semprini al generale Jabar Yawar, cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Francesco Semprini - Lorenzo Cremonesi
Titolo: «'Tenteranno la spallata nel Ramadan Noi curdi siamo l'ultimo baluardo' - Arrivano i caccia di Putin in soccorso di Bagdad. E l'Isis proclama il Califfato»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/06/2014, a pag. 12, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo 'Tenteranno la spallata nel Ramadan Noi curdi siamo l'ultimo baluardo' e dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Arrivano i caccia di Putin in soccorso di Bagdad. E l'Isis proclama il Califfato".

Di seguito, gli articoli:

LA STAMPA - Francesco Semprini:  " 'Tenteranno la spallata nel Ramadan Noi curdi siamo l'ultimo baluardo' "


Francesco Semprini, il generale curdo Jabar Yawar

La situazione sta peggiorando di giorno in giorno, occorre una rapida soluzione politica, e l'affondo militare sarà più semplice». Mentre l'Isis proclama la ricostituzione del Califfato, Jabar Yawar ci apre le porte del suo ufficio, dove arriviamo grazie all'aiuto dell'osservatorio «Agenfor Media». È una sorta di museo militare, con cimeli di ogni genere, piantonato da guardie con le mitragliette strette in mano. «Entri pure», ci dice, mentre guarda l'agenda fitta di appunti. «Cosa voleva sapere?», chiede mentre con il laser punta sulla grande cartina dell'Iraq sulla scrivania.
Generale, ora cosa succederà?
«Quanto accaduto conferma le nostre previsioni. La situazione sta deteriorandosi di giorno in giorno, penso che il peggio debba venire, forse già con il Ramadan. Da un punto di vista tattico non cambia molto per noi, abbiamo attivato una fascia di protezione per evitare che Isis prosegua l'avanzata verso il Kurdistan, e i Peshmerga occupano posizioni che gli iracheni hanno abbandonato».
Cosa intende dire?
«L'Esercito a Mosul aveva le Seconda e Terza Divisione, a Kirkuk la Prima, a Salah ad Din la Quarta, e a Diyala la Quinta. Dopo il 5 giugno queste unità si sono ritirate e l'esercito si è disgregato, armi e armamenti sono finiti nelle mani dei terroristi, ed è venuto meno ogni governo regionale».
E quindi voi vi siete spinti oltre, verso le zone contese...
«Non potevamo fare altrimenti, e non possiamo certo ritornare alla situazione di prima, specie perché Isis tenterà un'altra spallata. Non c'è esercito iracheno, c'è un vuoto politico e militare in queste zone, ed è più facile che gli jihadisti avanzino piuttosto che le forze del governo riconquistino posizioni, almeno ora. Vorrei poi ricordare che i Peshmerga, secondo quanto fissato dai dettami della Costituzione, sono parte delle Forze armate irachene. Ora noi stiamo proteggendo l'Iraq».
Sui fronti caldi come la situazione?
«Abbiamo unità dislocate su tutte le linee contese, talvolta gestiamo checkpoint assieme alle forze irachene. II punto è che il fronte nord da Mosul difficilmente sarà attaccato, non conviene agli jihadisti spingersi verso il Kurdistan, piuttosto si muoveranno verso Est, dove hanno già ingaggiato scontri di artiglieria con le forze Peshmerga. Poi proveranno a guadagnare terreno verso Baghdad, mentre un altro fronte caldo è quello di Rabiah e a sud di Kirkuk».
Cosa succede lì?
«Dai primi di giugno abbiamo avuto attacchi da quelle parti. Ha visto la telefonata che ho ricevuto ora, era per aggiornarmi su combattimenti che stanno avvenendo ora su quella linea».
Alcuni media tempo fa avevano detto che Isis aveva proposto ai Peshmerga un patto di non belligeranza...
«Lo escludo, non ci sono stati contatti tra noi e loro, Isis è il nemico, uno dei peggiori che abbiamo mai avuto».
E ora con la proclamazione del Califfato ancor di più?
«Ricordiamoci che questo può avere anche ricadute pesanti sull'emergenza umanitaria, gli jihadisti stanno facendo sempre maggiori pressioni sulla popolazione a Mosul e a Salah ad Din, costringono le minoranze a fuggire verso il Kurdistan. E chi fa fronte a questa emergenza è il governo curdo e i Peshmerga, che hanno avuto anche diversi caduti dall'inizio di questa offensiva».
Diciamo che avete un po' funzioni da Caschi blu in questa fase...
«Be', data l'assenza del governo iracheno, che ha responsabilità chiare in tutto quello che sta accadendo. Comunque la forza non è l'unica via, o quanto meno non può essere praticata da sola, serve una soluzione politica, e quella militare sarà più semplice».

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Arrivano i caccia di Putin in soccorso di Bagdad. E l'Isis proclama il Califfato"

               
Lorenzo Cremonesi       Vladimir Putin

  BAGDAD — Arrivano i jet russi a dare manforte al governo iracheno contro la rivolta fondamentalista sunnita dell'Isis che proprio ieri ha annunciato la creazione di un «califfato islamico» dall'ovest dell'Iraq all'est della Siria. II gesto di Mosca per ora è più politico che militare. Vladimir Putin scarta Barack Obama, dà uno scossone alle titubanze militari americane e nel contempo ricrea in Iraq quell'asse Mosca-Teheran che ha già dimostrato di essere particolarmente efficiente nel sostenere il regime di Bashar Assad contro la rivolta armata in Siria negli ultimi tre anni. E questo il significato dell'arrivo di almeno cinque Sukhoi 25 all'aeroporto di Bagdad tra sabato sera e ieri. Nelle prossime ore dovrebbero giungerne altri due, quindi ancora almeno sette aerei da combattimento, assieme ad almeno 200 tra tecnici e consiglieri militari russi. «Saranno necessari tre o quattro giorni perché siano operativi», specificano i portavoce del ministero della Difesa iracheno. Pochi, ma certo un aiuto più tangibile dei 300 consiglieri militari inviati da Washington. E più determinato delle incertezze che accompagnano il dibattito americano sull'eventuale utilizzo degli aerei senza pilota in Iraq e sul loro possibile armamento. L'esercito iracheno chiede vengano rafforzate le sue forze aeree in sostegno all'offensiva che sta lanciando sulla zona di Tikrit e a difesa di Samarra. I numeri delle vittime sono incerti, ma potrebbero esservi centinaia di morti, tra cui molti civili. La tensione cresce anche con l'avvicinarsi della prima riunione del nuovo Parlamento iracheno, prevista per domani. Nel tentativo di guadagnare le simpatie dei sunniti moderati, i partiti sciiti e i curdi potrebbero coalizzarsi contro l'eventualità che venga confermato il terzo mandato per il premier sciita Nouri Al Maliki.

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