Per Iraq e Siria ora l'America ha un strategia, ma potrebbe essere troppo tardi Analisi di Guido Olimpio
Testata: Corriere della Sera Data: 28 giugno 2014 Pagina: 12 Autore: Guido Olimpio Titolo: «Droni e dollari La strategia americana (forse tardiva) per Siria e Iraq»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/06/2014, a pag. 12, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "Droni e dollari. La strategia americana (forse tardiva) per Siria e Iraq".
Guido Olimpio Un drone americano
WASHINGTON — Un occhio in Iraq e l’altro in Siria. Perché le due crisi sono collegate. Inevitabile che la Casa Bianca provi a manovrare lungo questo binario. I droni Usa, armati di missili, hanno iniziato da ieri a pattugliare lo spazio aereo sopra a Bagdad, una protezione ulteriore per l’ambasciata e i consiglieri militari. Se serve sono pronti a colpire i militanti dell’Isis. E non è detto che tra qualche settimana i velivoli senza pilota non intervengano anche nel territorio siriano contro gli estremisti. E’ uno dei piani operativi previsti dal Pentagono, a sostegno della componente moderata della ribellione impegnata contro il regime. La presenza dei droni sarebbe complementare al programma di aiuti da 500 milioni di dollari presentato dalla Casa Bianca al Congresso. Un pacchetto che prevede l’addestramento di insorti siriani fidati e la fornitura di armi. L’obiettivo è quello di integrare e quindi sostituire l’azione clandestina della Cia. L’intelligence, da oltre un anno, ha aiutato una parte dei ribelli, ma senza esagerare. Il materiale bellico è stato inviato «a piccole dosi», spesso rallentato da contrasti con gli interlocutori locali e dalla prudenza imposta dall’amministrazione Obama, sempre preoccupata di assistere la parte sbagliata. Non sono mancati neppure scontri con gruppi di pressione americani che, in modo autonomo, avevano cercato di spedire migliaia di Kalashnikov all’Esercito libero. Un’iniziativa che sarebbe stata poi bloccata dimostrando la complessità dell’intrigo siriano. Un ginepraio rimasto tale. Chi segue il dossier sostiene che la Casa Bianca avrebbe dovuto muoversi prima rafforzando la componente pragmatica della ribellione. Non lo ha fatto, l’Isis ne ha approfittato. Ma proprio il successo degli eredi di al Zarkawi ha contribuito a mantenere le paure sull’affidabilità degli interlocutori. La domanda è la solita: di quali gruppi ci si può fidare? Molti si offrono, non tutti danno garanzie. E la moltiplicazione delle sigle, così come i cambi di campo non aiutano. Il Dipartimento di Stato di John Kerry - ieri in Arabia Saudita — è disposto a rischiare molto, Obama - insieme agli 007 — molto meno. Il secondo aspetto riguarda i tempi. Secondo indiscrezioni non è detto che il programma di riarmo sia spedito. Forse inizierà solo il prossimo anno. Un’eternità. Nel mentre può accadere di tutto. Quindi c’è la questione del «dove». La Cia ha usato una base in Giordania, ora è possibile che si ripeta lo schema. Però, avvertono fonti diplomatiche, serve convincere re Abdallah, grande alleato di Washington ma timoroso di esporsi a eventuali ritorsioni. Amman ha sempre collaborato con gli Usa. I servizi giordani, efficenti e preparati, lo hanno fatto con discrezione. Non amano essere esposti. A Washington ritengono che comunque la Giordania abbia tutto l’interesse al potenziamento della componente della guerriglia «moderata». In futuro questi insorti possono diventare lo scudo o il cuscinetto contro possibili azioni dell’Isis nel regno. I militanti radicali sono vicini, ci sono segnali di infiltrazioni, i kamikaze che esplodono in Libano mostrano scenari pericolosi.
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