Iraq: verso lo scontro settario sunniti-sciiti Reportage di Lorenzo Cremonesi, Vincenzo Nigro, analisi di Carlo Panella
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Libero Autore: Lorenzo Cremonesi - Vincenzo Nigro - Carlo Panella Titolo: «Viaggio a Abu Ghraib. Dove c'era il carcere ora è terra di nessuno - Tra le guerriere della città assediata 'Bagdad ha paura ma la difenderemo' - L'Iraq sbatte la porta in faccia a Obama»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/06/2014, a pag. 13, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Viaggio a Abu Ghraib. Dove c'era il carcere ora è terra di nessuno", da REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Vincenzo Nigro dal titolo "Tra le guerriere della città assediata 'Bagdad ha paura ma la difenderemo", da LIBERO a pag. 16 l'articolo di Carlo Panella dal titolo "L'Iraq sbatte la porta in faccia a Obama".
Il premier iracheno Nouri Al Maliki
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Viaggio a Abu Ghraib. Dove c'era il carcere ora è terra di nessuno"
Lorenzo Cremonesi
Abu Ghraib — Terra di nessuno è più o meno dove finiscono i posti di blocco affidabili, il traffico si fa quasi nullo, sul lato della strada neppure un negozio aperto. Terra di nessuno è il ragazzino che racconta di aver appena visto un camionista fermato da uomini armati, ucciso pochi secondo dopo, quindi abbandonato cadavere sul selciato e gli assassini partirsene indisturbati sul suo mezzo. Terra di nessuno è la fine della sicurezza, non sapere cosa attendersi dal prossimo incontro, echi di spari isolati, l'assenza di autorità e confini certi: un misto di banditismo, guerriglia e milizie in lotta tra loro. Questa è la terra di nessuno che domina adesso le campagne e i villaggi alle periferie di Bagdad. I rappresentanti del governo di Nouri al Maliki annunciano trionfanti che la «controffensiva è cominciata», che i «terroristi sono accerchiati» a oltre 150 chilometri a nord della capitale, attorno nella zona di Samarra. Lo stesso premier sciita si sente tanto tranquillo da dirsi contrario al governo di unità nazionale, pur se suggerito dagli Stati Uniti assieme a larga parte della comunità internazionale, e invece deciso a perseverare nella formazione di una coalizione che rispecchi il suo personale successo alle elezioni del 30 aprile. Maliki controlla quasi 100 seggi sui 328 del parlamento, sulla carta potrebbe tornare a dominare una cordata di partiti solo sciiti. In verità è sufficiente viaggiare un paio d'ore in auto lungo un grande semicerchio che dista tra i 20 e 40 chilometri nord-ovest dalla periferia della capitale per cogliere quanto l'emergenza sia ormai incombente. Prima tappa, Abu Ghraib, a occidente. Questa è la porta della città verso Al Anbar, la regione sunnita per eccellenza che il governo ha perso già nell'autunno scorso. Per raggiungerla si sfiorano Amiriya, Ghazaliya e Al Khadr, tre quartieri tutti sunniti controllati agli ingressi da massicci posti di blocco militari. Vi transitano solo i residenti muniti di regolare permesso. «Sappiamo che qui dentro sono già pronte cellule armate di guerriglieri sunniti. Stanno nascoste. Scatteranno all'attacco solo quando arriverà l'ordine di unirsi alle colonne in arrivo da fuori», spiega Muthanna (non vuole si pubblichi il cognome), noto responsabile di un'agenzia privata irachena che si occupa di garantire la protezione delle compagnie straniere. Noi proseguiamo sulla strada vuota per altri 15 chilometri, entriamo nella municipalità di Abu Ghraib. Ma poco distante dal nucleo urbano i militari fanno passare. Poco più avanti c'è il famoso carcere. Era il luogo delle torture per i prigionieri di Saddam Hussein, tuttavia il suo nome è legato allo scandalo degli abusi perpetrati dagli americani contro i baathisti nel 2004. Il governo Maliki lo aveva riaperto. Ma la seconda settimana di aprile ha dovuto spostare d'urgenza i suoi 2.400 detenuti. Si rischiava un assalto in grande stile con fuga di massa dei prigionieri. Da allora le avanguardie dello Stato Islamico del Iraq e del Levante sono arrivate anche qui. Adesso domina la guerriglia Cinque o sei taxisti locali si occupano di portare cibo e aiuti agli abitanti. Chi ha i documenti in regola può utilizzarli. Ma non trasportano giovani uomini, solo donne, vecchi e bambini. «Settimana scorsa avevo sul tetto una bara con il cadavere di un soldato curdo. La famiglia lo chiedeva per la sepoltura. Mi hanno però fermato i guerriglieri islamici e volevano uccidermi. Per fortuna qualcuno ha riconosciuto il mio nome, che è quello di un clan sunnita di Falluja. Allora mi hanno lasciato andare, ma la bara è stata scoperchiata, il cadavere lasciato in pasto ai cani», racconta uno di loro. Tre colleghi tuttavia puntano il dito contro l'esercito di Maliki: «Sono soldati per finta. In realtà trionfa la corruzione. Chiedono soldi ai posti di blocco, e proteggono le milizie sciite che uccidono, buttano fuori i civili sunniti dalle loro case. Sta fiorendo il mercato dei rapimenti. Chiedono 30.000 dollari sull'unghia per la liberazione. Se non paghi sei morto». Ad Abu Ghraib mancano elettricità e benzina L'acqua arriva dai pozzi privati. Le incertezze della terra di nessuno sono ancora più pesanti oltre il villaggetto di Taji, sulla superstrada del nord che corre lungo il Tigri e punta a Tikrit e Mosul, le nuove capitali della rivoluzione sunnita. Salendo verso nord, a destra stanno gli sciiti, a sinistra i sunniti C'è caldo, immondizie ovunque, polvere. In una zona di baracche dove i camionisti cercano un panino e pezzi di ricambio a buon mercato tre quarti delle botteghe sono serrate. «Chiudiamo a mezzogiorno. Ieri pomeriggio qui hanno sparato», dice Mahmoud Farham, 51 anni, gommista. Il proprietario di un minuscolo alimentari fa l'elenco delle località attorno alle quali sono stati visti piombare sparando i gipponi dei jihadisti: Sabalbur, Dur Sikek, Tarmiya. Rafed Bandar, 40 anni, capo tribale della cittadina di Dujail, una sessantina di chilometri da Bagdad, ci spiega che la guerriglia jihadista non ha ancora il controllo fisso del territorio, attacca e si ritira, saggia il terreno. «Domenica pomeriggio sono arrivati in sette gipponi una quarantina di uomini. La battaglia è durata sino al tramonto. Noi eravamo pronti e si sono ritirati. Ma c'è paura. Torneranno. Sono forti, pronti a morire, non si arrendono mai».
LA REPUBBLICA - Vincenzo Nigro: "Tra le guerriere della città assediata 'Bagdad ha paura ma la difenderemo' "
Vincenzo Nigro
La paura di Bagdad è già dentro la città, già dentro il suo popolo. Nella testa di ogni uomo e donna di questa distesa di asfalto e cemento tagliata dalle acque marroni del Tigri. La paura è figlia di una certezza: la guerra non ha bisogno di entrare dentro la città, i miliziani dell’Isis non hanno bisogno di attaccare con una colonna di blindati, con le bandiere nere al vento. La città ormai è già divisa in due, fra sciiti e sunniti. È la gente è spaventata dall’avanzata dei miliziani jihadisti, che stanno seminando il terrore poco più a nord. La guerra è già dentro la città, colpita da una raffica di attentati. Il più grave nel quartiere sunnita di Mahmudiyah, a sud di Bagdad, dove un kamikaze si è fatto esplodere uccidendo 12 persone. E per la prima volta da quando è sotto il controllo dei Peshmerga curdi, anche Kirkuk, nel nord del Paese, è stata colpita dagli attacchi degli islamisti. Gli uomini che ci avevano portato a Sadr City, il mega-quartiere popolare sciita, ci presentano una donna: è venuta da Najaf, dove ha creato una Ong che si occupa di donne nel cuore dell’Iraq sciita. Najaf è una città santa, la base di Moqtada Sadr, il religioso che ha appena ricostituito il suo esercito battezzandolo “l’Armata della Pace”. Lei lavora con donne vedove o divorziate per aiutarle a sopravvivere e mandare avanti le loro famiglie. Shukria Kadum ha 45 anni, la sua fondazione si chiama “El Foudala”. E’ venuta a Bagdad spinta dalla macchina di propaganda dei sadristi per dire che lei e molte sue compagne non hanno paura, sono pronte a imbracciare il kalashnikov per difendere «il popolo (sciita) contro i terroristi (sunniti) che ci minacciano». «Sono quasi professionale nell’uso delle armi leggere», afferma la donna col chador nero senza nessun imbarazzo, «perché quando ero giovane e c’era ancora Saddam, il nostro movimento ci preparò a difenderci dal dittatore». «Siamo pronte a combattere, nella mia Ong ci sono 3000 donne, e già 45 si sono dette volontarie». Quindi: una donna vedova, che aiuta le sue compagne a sopravvivere in una società conservatrice dura e difficile come quella sciita. Che viaggia senza paura fino a Bagdad per propagandare la sua voglia di combattere in una guerra civile. Nella hall del Baghdad Hotel due avvocati sciiti commentano invece i due fatti del giorno, il premier Al Maliki che ha detto di non essere assolutamente disposto a varare un governo di unità nazionale. E poi i terroristi di Al Qaeda in Siria (Al Nusra) che chiedono alleanza ai colleghi dell’Isis vittoriosi in Iraq. Col particolare che fino a ieri Al Nusra e Isis in Siria si combattevano e si tagliavano le teste fra loro peggio di quanto provavano a fare con il regime di Assad. L’accordo sembra essere tattico, e mira a saldare il fronte jihadista nella battaglia contro le forze governative irachene e siriane. Ebbene, i due civili avvocati sciiti quasi esultano per il “tanto peggio tanto meglio”. «Dobbiamo arrivare alla resa dei conti, dob- biamo preparaci allo scontro finale, non ci sarà altra soluzione, con i sunniti non dobbiamo fare nessun governo, e se il mondo vede che sono tutti inquadrati sotto il segno di Al Qaeda forse ci aiuterà! ». In sé la sparata di Al Maliki è quella di un politicante prevedibilmente aggrappato alla poltrona: vede che il fallimento dei suoi 8 anni di governo viene denunciato da tutti, innanzitutto dagli altri partiti sciiti, poi dagli americani che lo aiutarono a salire al potere, vede la freddezza e la cautela degli stessi iraniani. Ma anche lui ha paura, di esser fatto fuori, prima politicamente e poi chissà cosa. Per questo attacca, denuncia che «il tentativo creare un governo na- zionale è un golpe contro la Costituzione ». Questo mentre i miliziani dell’Isis continuano a colpire il suo esercito. Altro segnale che la confusione aumenta è il racconto di due dottori, due specialisti che si occupano di oncologia pediatrica. Sono molto vicini all’Italia, il loro progetto nella Medical City di Bagdad è stato rafforzato dalla Ong italiana Intersos che dopo il 2003 ha mandato qui il suo leader per un progetto di collaborazione anche con strumenti di telemedicina sponsorizzati dalla Telecom. Verificano a distanza le diagnosi del cancro ai bambini e si scambiano informazioni e protocolli sul modo migliore per curarli. «Ringraziamo la Sapienza di Roma, ha aiutato anche me quando sono stata colpita da un cancro al seno », dice la dottoressa Salma Abbas. Parla della cooperazione sanitaria anche il dottor Walid Abdul Kasam che con lei partecipa al progetto di Intersos. Ma improvvisamente il discorso si sposta su Bagdad e sui suoi cittadini. Innanzitutto sul fatto che più della metà degli iracheni da anni avrebbe bisogno di massicce cure psichiatriche. «Abbiamo paura, mille paure. Dal 2003 in poi è stato devastante per tutti noi», dicono i due medici, «e adesso c’è questo ritorno annunciato della guerra settaria che devasta le famiglie, gli amici, le nostre coscienze, i nostri cervelli ». Da qualche anno la dottoressa Salma si è spostata dalla casa in cui aveva sempre vissuto, da un quartiere sunnita a una zona sciita, che è la confessione a cui appartiene. «Ma noi per anni ci siamo incrociati nei matrimoni, abbiamo vissuto insieme, abbiamo famiglie miste… il fatto è che i sunniti non vogliono accettare di dividere il potere, non voglio accettare che noi siamo il 60 per cento di questo paese, vorrebbero continuare a comandare solo loro come è avvenuto per centinaia di anni… non abbiamo paura che la guerra arrivi da fuori, ma che esploda qui, dentro la città, fra tutti noi».
LIBERO - Carlo Panella: "L'Iraq sbatte la porta in faccia a Obama"
Carlo Panella
Il premier iracheno manda letteralmente a quel paese Barack Obama e liquida sprezzantemente la sua richiesta di formare un governo di unità nazionale, premessa indispensabile per un impegno militare americano in Iraq. Una mossa che segnala non solo i catastrofici errori dell’amministrazione Usa, ma anche la decisione definitiva di al Maliki di consegnarsi in tutto e per tutto alla protezione militare dell’Iran degli ayatollah, allargando definitivamente il solco dalla componente irachena sunnita. Il tutto mentre arriva la pessima notizia che i terroristi siriani di al Nusra, legati ad al Qaida, hanno siglato un accordo con i dirigenti dell’Isil con cui, sino a ieri, si sono ferocemente combattuti. Una foto postata su Internet mostra due comandanti che si stringono la mano, garantendo così reciprocamente il passaggio nello strategico valico frontaliero tra Abu Karmal in Siria e Al Qaim in Iraq. Ma le pessime notizie non si fermano qui, L’Isil ha conquistato ieri il giacimento petrolifero di Ujil, vicino a Kirkuk, e ha rifornito le sue casse di ben 400milioni di dollari prelevati nei forzieri di una banca di Mosul, secondo quanto affermato da Nickolay Mladenov, rappresentante speciale di Ban Ki-moon e capo della missione Onu nel Paese.Da parte sua la Cia stima che l’Isil «si sta sempre più rafforzando sia sul terreno militare, che come armamenti razziati nei depositi militari che come finanziamenti ». J.F.Kerry non ha commentato ieri la decisione di al Maliki di disattendere totalmente le richieste pressanti che gli aveva presentato a Baghdad tre giorni fa.È evidenevidente l’imbarazzo degliUsa, anche perché al Maliki con sfrontatezza inaudita ha definito la richiesta americana e della comunitài nternazionale «una eventualità che rappresenta un golpe contro la Costituzione e un attentato alla democrazia». Non solo, al Maliki ha anche duramente polemizzato con i curdi e con i sunniti accusandoli di “intelligenza con i terroristi”: «Chi preme per un esecutivo di emergenza vuole attentare alla Costituzione ed eliminare il giovane processo democratico derubando gli elettori del loro voto». Ha poi aggiunto, riferendosi implicitamente ai partiti sunniti: «Si sono ribellati alla Costituzione per unirsi agli jihadisti dell’Isil ».Uno sfregio alle richieste di mediazione con i sunniti avanzate dagli Stati Uniti, che pagano così la demenziale decisione di Barack Obama di disinteressarsi totalmente di quanto avveniva in Iraq dopo aver stoltamente ritirato tutte le truppe nel 2010. Si crea così una situazione paradossale: arrivano in queste ore a Baghdad i 300 “berretti verdi” americani che Obama ha dislocato per garantire la difesa di una capitale araba il cui governo rifiuta con spregio le richieste politiche della Casa Bianca. L’Iran, da parte sua intensifica la sua presenza militare a protezione di un governo iracheno che sino ad ora era solo “simpatizzante” verso Teheran e che oggi invece ha fatto il grande passo e ha deciso di infeudarsi agli ayatollah. Agli 88 caccia Shukoi forniti di fretta e furia all’aviazione di Baghdad, aggiunge ora armamenti di ogni tipo, droni e soprattutto la presenza determinante sul suolo iracheno dei pasdaran della “Brigata al Qods”, comandata da lgenerale Qassim Suleimaini che già ha avuto un ruolo determinante nel salvare il trono a Bashar al Assad.A questo aiuto si somma la decisione di Vladimir Putin di fornire al governo al Maliki armi pesanti e missili a lunga gittata Scud. Si va dunque verso un sensibile spostamento della collocazione internazionale dell’Iraq che da una posizion etutto sommato equilibrata, si schiaccia ora sull’asse Teheran- Mosca affidando loro la conduzione di un contrasto al terrorismo islamico sempre più vigoroso. Da Bruxelles J.F. Kerry - che dimostra una capacità di essere ininfluente che non ha precedent i- ha messo in guardia i paesi mediorientali, riferendosi esplicitamente a Siria a Iran, «dall’intraprendere azioni militari in Iraq, perché potrebbero alimentare le già presenti divisioni settarie». Incurante di queste richieste, l’aviazione siriana, secondo la Cnn, ha effettuato ieri bombardamenti a tappeto nella regione di Anbar, cuore della rivolta sunnita, uccidendo 57 civili. Chi ipotizzava un fantascientifico accordo tra Usa e Iran politically correct per contrastare l’avanzata dei terroristi islamici è servito: la totale mancanza di strategia mediorientale di Obama ha gettato Baghdad nelle braccia degli ayatollah che trasformeranno l’Iraq in un campo di battaglia per una guerra di religione tra sciiti e sunniti.
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