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Il Giornale - Corriere della Sera - L'Unità - Il Manifesto - Avvenire - L' Osservatore Romano Rassegna Stampa
24.06.2014 Ragazzo israeliano ucciso al confine con la Siria, Israele risponde bombardando le forze di Assad
Analisi di Fiamma Nirenstein, Davide Frattini. Nostro commento ai titoli di altri quotidiani

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - L'Unità - Il Manifesto - Avvenire - L' Osservatore Romano
Autore: Fiamma Nirenstein - Davide Frattini
Titolo: «Il caos in Siria sconfina in Israele: ragazzo ucciso - I raid in Siria: tre fronti aperti per Israele»

 Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/06/2014, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Il caos in Siria sconfina in Israele: ragazzo ucciso" e dal CORRIERE della SERA,  a pag. 14, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "I raid in Siria: tre fronti aperti per Israele".
Mentre la dinamica dei fatti ha visto da prima Israele attaccato da oltre il confine siriano, con il lancio di un razzo che ha ucciso un quattordicenne israeliano, e solo dopo la risposta contro le truppe di Assad, i titoli della maggior parte dei quotidiani di oggi riferiscono, della conseguenza, ma non della causa. Inoltre, non specificano che ad essere colpiti sono stati militari, non civili. Per esempio: L'UNITA a pag.12 pubblica un articolo dal titolo "Raid israeliani sulla Siria. Dieci vittime. Assad protesta", Il MANIFESTO, a pag. 7 pubblica un articolo di Michele Giorgio dal titolo "Nove raid aerei israeliani, almeno 10 morti", AVVENIRE a pag. 18 pubblica l'articolo dal titolo "Israele bombarda la Siria. Raid dei caccia: 10 morti", sottotitolo "Partite per Gioia Tauro le armi chimiche", catenaccio: "La reazione dopo l'uccisione di un 14enne sul Golan. Netanyahu: «Colpiremo chi ci colpisce» Mogherini: possibile il trasbordo in Italia già nel fine settimana" , L'OSSERVATORE ROMANO pubblica a pag. 3 un articolo dal titolo "Raid israeliani in Siria", occhiello: "Come ritorsione per l'uccisione di un quattordicenne nel Golan".
Segnaliamo poi come solo Fiamma Nirenstein riporti con la necessaria cautela il numero dei soldati siriani uccisi nell'azione israeliana, che è stato fornito da un 
"osservatorio per i diritti umani" che è  "situato a Londra" e di cui  è "difficile" verificare la "credibilità".



Di seguito, gli articoli:

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein:  "Il caos in Siria sconfina in Israele: ragazzo ucciso"


Fiamma Nirenstein   nel riquadro il ragazzino ucciso

Il terremoto mediorientale bussa rumorosamente alla porte di Israele dal confine siriano, e lo Stato ebraico risponde senza sottintesi: non toccate i nostri confini. La premessa è tragica, ovvero il primo morto israeliano causato da proiettili siriani, ed è un ragazzino di 14 anni, arabo israeliano, Muhammed Fahmi Krakara. Appena iniziata la vacanza estiva ha chiesto al padre, un tecnico addetto alle strutture di sorveglianza fra il Golan e la Siria, di accompagnarlo. Il povero padre ha accettato, e ambedue, insieme a un terzo operaio, sono stati raggiunti verso le undici di mattina da un missile Nun Tet, molto preciso e di grosse dimensioni, mirato al camion su cui sedevano, e che ha ucciso Muhammed, ferendo lui e l'altro lavoratore. Il bellissimo volto del bambino, che campeggia su tutti i giornali, ha suscitato l'emozione di Netanyahu: in un messaggio ha promesso alla famiglia di non lasciare impunito l'attacco e ha poi aggiunto che se necessario, agirà con più forza. Ma chi è stato? Le forze di Assad o quelle dei ribelli ormai legati all'Isis, l'organizzazione qaidista che in Siria si chiama Jabat al Nusra? Israele ha utilizzato la logica classica: responsabile è il governo al potere, e così ieri notte l'aviazione israeliana ha bombardato nove postazioni strategiche, carrarmati, batterie di artiglieria, depositi e basi militari al confine, in zone controllate da Assad. Dalla Siria le fonti governative tacciono, Assad ci pensa due volte, ma un osservatorio per i diritti umani (situato a Londra, difficile verificarne la credibilità) denuncia l'uccisione di dieci soldati siriani. Nel passato Israele è stato più volte accusato di essere alleato coi ribelli, e di converso, i ribelli di essere traditori della patria. Non è la prima volta che Israele attacca obiettivi siriani dopo essere stato colpito, ma non lo aveva mai apertamente dichiarato, e anzi quando gli Stati Uniti avevano rivelato a marzo un attacco a depositi di missili destinati agli Hezbollah, Israele aveva manifestato il suo disappunto. Adesso il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha dichiarato che in caso di attacco «risponderemo aggressivamente contro ogni provocazione e violazione della nostra sovranità». Che cosa sta succedendo? E del tutto evidente a Israele anche il fronte dei ribelli è molto pericoloso, sempre più attratto dall'integralismo islamico dell' Isis e dalla facilità delle sue conquiste che cambiano i confini del Medio Oriente. Israele, la preda prelibata, è oltre il confine. Le truppe dei pazzi dell'Isis hanno già distrutto il confine Irak-Siria, stanno attentando con successo a quello Giordano, hanno già disfatto il bordo fra la Siria e il Libano. Prima era la Siria l'occupante del Libano, e oggi sono gli Hezbollah, sciiti libanesi, a estendere il loro braccio armato in Siria. In altri termini, non ha esagerato Israele a prendersela con Assad? Il pericolo non è fra i ribelli? La risposta è che il fronte di Assad-Iran-Hezbollah resta per Israele il più aggressivo, almeno per ora. Israele ha riaffermato l'inviolabilità del suo confine di fronte a loro. Gli Hezbollah, milizia terrorista che ha combattuto accanto a Assad dall'inizio, hanno perduto già 500 uomini, ma vogliono in cambio un confine aggressivo contro Israele. Nasrallah, nel suo ultimo discorso ne promette la distruzione, il suo scopo e il suo ostacolo principale verso il grande califfato sciita che ormai comprende Irak e Siria. Israele deve evitare innanzitutto di avere un confine con l'Iran, anche se capisce che il resto è jihad islamica, e che anche Hamas ne fa parte.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "I raid in Siria: tre fronti aperti per Israele" 

 
Davide Frattini                Israele,Alture del Golan

Un mese fa il Medio Oriente sembrava un posto diverso. Almeno — ricordano gli analisti israeliani — al governo che litigava di tagli alle spese militari con il parlamento e pure con qualcuno dei suoi ministri. La calma apparente rafforzava i sostenitori di una riduzione del budget per l'esercito, i generali sembravano in ritirata. Sono bastati trenta giorni e lo Stato ebraico deve affrontare tre fronti allo stesso momento. Non che prima fossero tranquilli, piuttosto sopiti o lontani dall'attenzione. Il rapimento in Cisgiordania di tre ragazzi, le ricerche senza sosta, gli scontri con i palestinesi. Il rischio che i fondamentalisti di Hamas rispondano intensificando i lanci di missili dalla Striscia di Gaza. Il razzo che domenica ha ucciso un giovane arabo israeliano al confine con la Siria e la reazione dell'aviazione (nove obiettivi bersagliati, le basi di Bashar Assad bombardate, dieci soldati siriani morti). Nord, Centro, Sud. La televisione del regime di Damasco ha aspettato ore prima di ammettere che i jet israeliani avevano colpito, il ministero degli Esteri ha minacciato rappresaglie con enfasi ma senza entusiasmo. Bashar è impegnato in altre battaglie, in una guerra per la sopravvivenza, non può permettersi un conflitto più ampio. Anche gli sciiti di Hezbollah — che dal Libano appoggiano militarmente il clan del leader siriano — sono più preoccupati dall'avanzata degli estremisti sunniti nel Levante che dal cercare un altro scontro con Tsahal. Così la tempesta più minacciosa rischia di arrivare dal fronte palestinese. I colloqui di pace saltati, il sequestro, il ritorno delle incursioni notturne e degli arresti in Cisgiordania. Le vittime collaterali potrebbero diventare l'Autorità di Ramallah e il suo simbolo Abu Mazen. Che ha deplorato il rapimento e ha promesso di cooperare con il governo di Benjamin Netanyahu. Non ha condannato con lo stesso impeto — lo accusano Hamas e i ragazzi che sono tornati in strada a battagliare con gli israeliani — le quattro vittime palestinesi dei raid. La sinistra (e non solo) avverte Netanyahu. Il presidente è considerato un interlocutore, il leader che può sfatare il pessimismo del «non c'è nessuno con il quale dialogare», alimentato dal doppio linguaggio di Yasser Arafat ai tempi delle trattative: se Abu Mazen crolla, resta la violenza

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