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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.06.2014 Il rischio di una nuova intifada
l'analisi di Fiamma Nirenstein, la disinformazione di Cecilia Zecchinelli

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «I ragazzi rapiti e il nuovo rischio di un'Intifada - Ramallah in lutto, monta la rabbia da Terza Intifada»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/06/2014,  a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "I ragazzi rapiti e il nuovo rischio di un'Intifada" e dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "Ramallah in lutto, monta la rabbia da Terza Intifada", preceduto da un nostro commento.


 Ramallah: contro i soldati israeliani durante le ricerche dei tre ragazzi rapiti 

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein - I ragazzi rapiti e il nuovo rischio di un'Intifada


Fiamma Nirenstein


Oltre la tragedia, il dilemma: quanto si può cercare, come sta facendo Israele, i tre ragazzi rapiti senza sollevare la solita furiosa protesta internazionale? La popolazione palestinese del West Bank, disturbata e ferita dalle perquisizioni e dai fermi israeliani, è infuriata contro Hamas che, anche dopo aver scelto l'unità con Abu Mazen, ha usato il terrorismo, o insorgerà contro gli israeliani che perquisiscono casa per casa, scendono in ogni pozzo, ogni notte fermano uomini di Hamas nei villaggi indiziati? Che succederà adesso, dopo che in una serie di scontri generati dalla presenza dei soldati nelle strade sono rimasti uccisi due giovani palestinesi ? Si spezzerà l'unità Hamas-Fatah, o vedremo una nuova Intifada ? Il filo è molto sottile, quasi spezzato, e i ragazzi rapiti non si trovano, ciò che obbliga Israele a continuare le ricerche. Netanyahu annuncia prove sulla responsabilità diHamas, si sa chi sono i rapitori, spariti da casa. Ma perché è successo tutto questo? All'inizio, Abu Mazen porta a casa l'unità, grande obiettivo della sua presidenza; Hamas, padrone di Hebron, popolare a Ramallah, ambisce a tutto il potere. Khaled Mashaal, leader di Hamas residente in Qatar che non controlla Gaza, si avventura alla conquista del consenso nel West Bank, la casa di Abu Mazen. Qualcuno ordina il rapimento. Ma il calcolo risulta sbagliato: perché l'opinione palestinese approva il rapimento, ma Israele spezza la soddisfazione con una reazione molto dura. Abu Mazen si dissocia da Hamas, e chiede di restituire i ragazzi. Gesto innovativo, coraggioso, che riesce a conquistare l'opinione internazionale. Meno convincente quando lui chiede a Netanyahu di condannare i soldati che hanno sparato alla stessa stregua: i soldati non agiscono certo come terroristi. Abu Mazen è sotto attacco, le accuse di essere un traditore gli piovono addosso. Un membro del Comitato Rivoluzionario di Fatah, Amin Maqbul, dichiara che Abbas ha condannato Hamas «per evitare ai Palestinesi i pericoli dell'aggressione israeliana e evitare la pressione internazionale». La strada porta comunque a una possibile rescissione del patto Abbas - Hamas. Tutto può succedere adesso: la piazza palestinese può rivoltarsi contro Abu Mazen, oppure espellere Hamas dal West Bank. Hamas ieri ha spedito da Gaza un terrorista dato che dove opera l'esercito non può muoversi, ma il giovane è stato arrestato; un ragazzo israeliano di 15 anni è stato ucciso da un missile proveniente dalla Siria sul Golan, si pensa che l'abbiano lanciato gli hezbollah. Estate molto calda da queste parti, il fiato dell'Isis e quello dell'Iran che arroventano Iraq, Siria, Libano arriva fino alla Moschea di Al Aqsa.

L'articolo di Cecilia Zecchinelli descrive una "escalation antipalestinese" che non esiste. L'esercito israeliano è impegnato nella ricerca dei tre ragazzi rapiti, e sta colpendo Hamas, un'organizzazione terroristica, non genericamente i "palestinesi". Vi sono poi scontri e morti provocati da aggressioni contro i soldati israeliani, che si difendono.
La possibilità, su cui insiste Zecchinelli, che alle operazioni israeliane segua un nuovo ciclo di violenze è reale, e segnalata anche da Fiamma Nirenstein nel suo articolo.
Proprio per questo l'informazione non dovrebbe fornire la falsa impressione che Israele colpisca indiscriminatamente i palestinesi, provocandone la reazione violenta. Per esempio riportando acriticamente e senza contraddittorio dichiarazioni come quelle di  Qaddura Fares, membro di Fatah e capo dell' "Organizzazione per i prigionieri palestinesi",  che critica la condanna da parte di Abu Mazen del rapimento dei tre ragazzi israeliani , affermando che i  soldati israeliani "uccidono" e "distruggono case", o  riportando senza commenti le ipotesi più fantasiose raccolte nelle vie di Ramallah, come quella secondo la quale il sequestro sarebbe staro "orchestrato da Israele".

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli - Ramallah in lutto, monta la rabbia da Terza Intifada


Cecilia Zecchinelli


RAMALLAH Avvolto nella bandiera nera della Jihad islamica, su una barella d'acciaio, il corpo di Mohammad Tarifi è portato in alto da un gruppetto di uomini: tra i negozi e i caffè chiusi per lutto, girano intorno a piazza Manara, il centro della «capitale» palestinese occupato nella notte, per ore, dall'esercito israeliano accolto con lanci di pietre e vasi da fiori. Tarifi, 30 anni, è stato centrato da un cecchino, è morto dissanguato. Vicino a Nablus un 27enne diretto in moschea, disabile mentale, non si è fermato all'alt dei soldati che gli hanno sparato. È la quarta vittima dall'inizio dell'«Operazione Guardiano del fratello», lanciata il 13 giugno dal premier Netanyahu per ritrovare i tre studenti ebrei scomparsi nella colonia di Gush Etzion a nord di Hebron. Di loro non c'è traccia né si conoscono le «prove inoppugnabili» con cui Israele accusa Hamas di averli rapiti. Le ricerche continuano ma soprattutto continua la repressione del movimento islamico, secondo obiettivo dichiarato che pare ora preponderante, della stretta sui Territori: irruzioni in 1600 case, oltre 400 arresti, villaggi e quartieri «sigillati», raid su Gaza. La mobilitazione israeliana, iniziata a Hebron, è la più ingente dalla seconda Intifada «Anche qui in centro a Ramallah gli israeliani non sparavano così da almeno dieci anni», dice il 27enne Muaffa, guardando il funerale che fa l'ennesimo giro in piazza Manara, dove nel 2002 un soldato uccise il fotografo italiano Raffaele Ciriello. «Ma la rabbia della gente è anche contro il presidente Abbas, che non fa niente. Questa notte le pietre se le è prese pure la polizia palestinese che non è intervenuta». Alla domanda se ci sarà una terza Intifada, cosa che molti pensano, risponde che «è possibile, non siamo pronti ma peggio di così...». Haya, universitaria, è d'accordo: «io ne ho paura ma con la scusa del rapimento, che tutti pensiamo sia stato orchestrato da Israele, Netanyahu ci sta massacrando. E riuscirà a dividere Hamas e Fatah che hanno appena formato il governo d'unità. La gente reagirà». Tra le tante persone intervistate in questi giorni sono soprattutto gli anziani a frenare. «Abbiamo visto i bei risultati della seconda Intifada, ora siamo stanchi e senza speranze», dice Abu Ali, avvocato 70enne. «Israele ci ha preso tutto ma ha il mondo con sé, America, Europa, gli Stati arabi. Vuole espellerci tutti anche se ci metterà 50 anni. E in queste condizioni parliamo di Intifada? Senza una leadership?». Al di là dei morti, delle decine di prigionieri in sciopero della fame, delle nuove colonie, è la leadership il problema chiave dei palestinesi. Mahmoud Abbas ha condannato tre volte pubblicamente il rapimento dei giovani ebrei, pur dicendo di non aver visto prove su Harnas, e ha sottolineato la sua collaborazione nelle ricerche e per la sicurezza nei Territori dove i servizi dell'Autorità lavorano a fianco degli israeliani. Dichiarazioni e azioni che gli hanno rivoltato contro la piazza palestinese, non solo di Hamas o della Jihad, ottenendo in risposta da Netanyahu altri attacchi personali e l'escalation antipalestinese. Una risposta velatamente condannata dagli Stati Uniti, dall'Onu. Ma pure dall'opposizione israeliana, politici e intellettuali: il ministro della Giustizia Tzipi Livni ha condannato «la reazione eccessiva» al rapimento la cui soluzione resta «il primo obiettivo dell'operazione», ha chiesto che «il coraggio di Abbas sia riconosciuto» e il dialogo riprenda per nuovi negoziati. Sui media israeliani, intanto, emergono indiscrezioni sul fatto che la stretta contro Hamas fosse in preparazione già dalla nascita del governo d'unità palestinese a inizio giugno. «Abbas ha sbagliato nelle parole, più "tenere" con Netanyahu perfino di quelle della sinistra israeliana», dice Qaddura Fares, capo dell'Organizzazione per i prigionieri palestinesi, membro di Fatah, noto per non risparmiare critiche al partito. «Ha agito così per evitare un'escalation ulteriore e dimostrare al mondo che il vero ostacolo alla pace non siamo noi ma il governo israeliano. Abbas non ama la violenza, ma cosa può pensare la nostra gente quando lo sente condannare il rapimento di tre israeliani mentre i soldati uccidono, distruggono case, e su Facebook la proposta di ammazzare un palestinese ogni ora fino a quando non troveranno i ragazzi ha avuto 20 mila adesioni?». Fares non esclude che i rapitori siano palestinesi, anche di Hamas. «Ma non con l'approvazione dei leader, in caso una cellula indipendente», dice, mentre in Fatah altri pensano che i responsabili siano criminali comuni, arabi o ebrei, per riscatto o vendetta. «Non so se il governo di unità reggerà, ma spero che al prossimo congresso di partito ci sia un cambio di dirigenti e di strategia, meno remissiva. Per ora Hamas si sta rafforzando e c'è il serio rischio di un'Intifada che l'Autorità farà di tutto per evitare. Ma che nemmeno Netanyahu vuole. Per lui è meglio una "mezza guerra" come questa. La calma, come una vera sollevazione, lo esporrebbero a troppe critiche da parte della comunità internazionale». La calma ora sembra però lontana e nuovi fronti potrebbero aprirsi per Israele: sulle alture del Golan, occupate dal 1967, è avvenuto ieri l'incidente più grave dall'inizio della guerra in Siria. Un arabo israeliano di 15 anni è stato ucciso, il padre e un uomo feriti, su un'auto del ministero della Difesa israeliano vicino al confine siriano dove lo Stato ebraico sta erigendo un muro. Non è chiaro da chi sia partito il colpo, se dai ribelli o dai lealisti a Assad che in marzo avevano già ferito quattro soldati israeliani, causando un raid aereo sulle postazioni dell'esercito siriano. Ma Israele è convinta che quello di ieri sia stato «un attacco intenzionale».

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