Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi,21/06/2014, a pag.19, il reportage di Lorenzo Cremonesi da Bagdad, con il titolo "Barriere di cemento e odio settario, i muri ritornano a dividere Bagdad"
Lorenzo Cremonesi
Bagdad- I muri sono tornati. Li vedi subito viaggiando dall'aeroporto internazionale sulla superstrada che conduce al centro. Guardi verso Abu Ghraib e le regione di Al Anbar, dove sono attestate le avanguardie della rivolta armata sunnita, e ringrazi per la presenza di queste lunghe barriere lungo il percorso. Si trovano sui perimetri delle caserme, ai nuovi posti di blocco militari. Sono tornati a tracciare la divisione tra i quartieri tradizionalmente più violenti, tra i luoghi di incontro nelle aree a popolazione mista. Li stanno ampliando presso la «zona verde», dove sono gli edifici governativi e le ambasciate straniere, attorno agli ospedali maggiori. Hanno alzato quelli che circondano i grandi alberghi a piazza Furdus. Così sono tornati i muri. Non solo quelli fisici, ma soprattutto quelli nella testa degli uomini, che dividono, separano, ingigantiscono le diversità, trasformano il vicino in nemico e stravolgono le città in labirinti di paure. Alti quasi quattro metri, brutti, sgraziati, intrusivi. Barriere in cemento grigio composte di pannelli pesanti sino a mille chili. Sono tornati i muri ed è curioso come all'improvviso gli abitanti di Bagdad si accorgano di loro. Poiché, intendiamoci, questi muri hanno già quasi otto anni. Quando vennero eretti, nel pieno della guerra civile nel 2006-2007, la popolazione li accolse con sollievo. Ogni mese morivano mediamente 3.000 persone, in maggioranza civili, sorpresi nel mezzo di uno scambio a fuoco, vittime degli attentati suicidi, delle auto bomba, o semplicemente di un loro errore per avere infranto i confini non codificati delle nuove divisioni inter-etniche, dell'odio settario e religioso. Poi gli americani, grazie alla cooperazione dei grandi clan sunniti, riuscirono a isolare la guerriglia qaedista e pacificare la regione. Di conseguenza i muri diventarono superflui, persino provocatori. «Perché le barriere? Gli iracheni sono un popolo pacifico che ama l'unità», sostennero tanti già nel 2009 e poi al momento del ritiro militare americano due anni dopo. Fu così che tratti delle barriere più lunghe vennero rimossi, o semplicemente furono tolti alcuni pannelli, aprendo ampi varchi che nei fatti nullificavano l'opera intera. Per qualche tempo sembrò che Bagdad potesse tornare normale, aperta, accessibile. Ma è proprio il riaffacciarsi della guerra settaria a riproporre i muri. In città i posti di blocco sono in media 500 metri l'uno dall'altro. Il premier sciita Noun al Maliki li aveva voluti per garantire il successo delle elezioni parlamentari del 30 aprile scorso. Non sono stati più tolti. Ieri, in occasione della giornata di preghiere nelle moschee per il venerdì musulmano, i quartieri (oltre 400 nell'intero nucleo urbano che supera i 7 milioni di abitanti) parevano tanti microcosmi semi-autonomi. Traffico scarso sulle vie di collegamento, ma forti intasamenti presso le moschee locali. Bagdad è divisa in due parti dal Tigri. Dopo i trasferimenti etnici semi-forzati seguiti all'invasione anglo-americana del 2003, gli sciiti si sono concentrati sulla sponda orientale, i sunniti in quella occidentale. Fanno eccezione i due quartieri tra i più importanti del centro, Adhamiya, sunnita, e Kadhimiya, sciita E' qui che avvengono in genere le stragi più gravi. Ad Adhamiya abbiamo visto numerose milizie armate non govemativè fare la guardia a negozi, centri commerciali e piazze. «Non è vero che la rivolta sunnita è fatta di terroristi. Chi lo afferma dimentica che sette anni fa i nostri leader politici e i capi tribali furono pronti a collaborare con gli americani per battere al Qaeda. Ma poi Maliki ci ha ignorato e perciò ora i sunniti si ribellano. Noi difendiamo la nostra rivoluzione, che combatte contro i nemici settari", sostiene Abu Mohammad, un tecnico petrolifero 42enne. Il quartiere è povero, molto meno sviluppato di Khadimiya. Quest'ultimo si raggiunge attraverso il ponte di Al-Aaimmah, dove il 31 agosto 2005 quasi mille sciiti persero la vita in seguito agli scontri capitale con i sunniti e l'intervento della polizia. Molti saltarono nel fiume per non essere schiacciati dalla fólla. E alcuni vennero salvati in acqua dai sunniti. Un fatto che allora fece sperare nella cooperazione per porre fine al conflitto. Ma così non è stato. Ieri gli sciiti promettevano di «combattere sino alla morte» per fare fronte all'offensiva nemica. «Gli oltranzisti sunniti vanno battuti, a tutti i costi. In ogni casa sciita ci si sta preparando alla battaglia finale. Però Maliki ha sbagliato politica. Non è riuscito a inglobare sunniti e curdi nel suo governo. E' ora che lasci per facilitare la nascita di una coalizione di unità nazionale. Sarebbe gravissimo dovesse tomare premier per il terzo mandato di fila», dice Jabbar, 42enne impiegato. A lui fanno eco, però, più militanti che mai, le frotte di giovani che stanno rispondendo agli appelli del Grande Ayatollah Ali al Sistani per la difesa dei luoghi santi dello sciismo. A Sadr City, il gigantesco quartiere sciita (oltre 2 milioni di abitanti) posto alla periferia orientale, oggi si terrà una grande manifestazione destinata a raggiungere il cuore di Bagdad. Ci stiamo mobilitando in massa. Qui a Sadr City ci sono quasi 5.000 volontari divisi in tre milizie principali Abbiamo armi e preparazione», promettono due trentenni, che però confessano di non essere riusciti ad ottenere un fucile. Poco lontano, nel quartiere misto di Karada, la zona commerciale, le teste di cuoio dei commando presidenziali sembrano molto più pessimiste: «Siamo stati traditi. I nostri comandanti sono scappati di fronte alla guerriglia sunnita nel nord. E i curdi ci sparano contro. In queste condizioni la sorte di Bagdad è più caduca che mai».
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