Israele e il mondo di fronte alla barbarie del rapimento di Eyal, Gilad e Naftali il reportage di Fiamma Nirenstein, il commento di Maria Giovanna Maglie, la disinformazione del Manifesto e di Internazionale
Testata:Il Giornale - Libero - Il Manifesto - Internazionale Autore: Fiamma Nirenstein - Maria Giovanna Maglie -Alessandro Portelli - Haggai Matai Titolo: «Nella città dei ragazzi rapiti. 'Prova terribile, ma sono forti' - Cara Michelle, perchè taci sui rapiti israeliani - Tra terrore e uccisioni di routine - Il rapimento che indebolisce i palestinesi»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 20/06/2014, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Nella città dei ragazzi rapiti. 'Prova terribile, ma sono forti ", da LIBERO, a pagg. 1-17, l'articolo di Maria Giovanna Maglie dal titolo "Cara Michelle, perchè taci sui rapiti israeliani", dal MANIFESTO, a pag. 7, l'articolo di Alessandro Portelli dal titolo "Tra terrore e uccisioni di routine", da INTERNAZIONALE, a pag. 23, l'articolo di Haggai Matar dal titolo "Il rapimento che indebolisce i palestinesi". L'articolo di Fiamma Nirenstein è un reportage dalla Yeshiva Beith Romano di Hebron, dove studia Eyal Yfrach, uno dei tre ragazzi rapiti. Leggendolo si coglie l'umanità dei "coloni" demonizzati da quasi tutti i mezzi di informazione. L'articolo di Maria Giovanna Maglie denuncia la mancanza di reazione del mondo al rapimento di tre ebrei israeliani e in particolare il silenzio di Michelle Obama, che è invece molto attiva nella campagna #bringbackourgirls, per le studentesse rapite in Nigeria da Boko Haram. La demonizazione degli ebrei di Hebron è particolarmente evidente nell'articolo di Alessandro Portelli pubblicato dal MANIFESTO . In realtà i disagi della popolazione araba di Hebron non sono la conseguenza della presenza di una comunità ebraica, ma della volontà dei gruppi terroristici di sterminare questa comunità, come avvenne nel pogrom del 1929, e della conseguente necessità di difenderla. Inaccettabile è anche il paragone di Portelli tra i tre ragazzi rapiti e coloro che prendono parte a violenze e scontri contro l'esercito e i civili israeliani. INTERNAZIONALE rivela una volta di più il suo pregiudizio scegliendo, dalla stampa israeliana, un solo articolo a commento del rapimento, che esprime una posizione assolutamente minoritaria e non rappresentativa. Stando al giornalista Haggai Mattai il governo israeliano utilizzerebbe in modo pretestuoso la vicenda, per colpire Hamas. Una tesi complottista che contrasta con l'ampiezza degli sforzi israeliani per ritrovare e liberare i sequestrati.
In alto a destra, Eyal Yfrach, Gilad Shaar, Naftali Frenkel
Di seguito, gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein - Nella città dei ragazzi rapiti. 'Prova terribile, ma sono forti'
Fiamma Nirenstein
Gerusalemme. Hevron anche stavolta eccelle nel dramma, nella difficoltà, nella cupezza. Qui e nei dintorni è l'epicentro della disperata ricerca dei tre ragazzi israeliani rapiti. Arriviamo alla Yeshivà, il collegio religioso dove studia Eyal Yfrach, uno dei ragazzi rapiti ormai otto giorni fa. "Eyal ti aspettiamo" è scritto sulla porta della sua stanza. E' scritto storto, con inchiostro nero, nello stile incurante delle cose di questo mondo che ha la Yeshiva Beith Romano, un'affermazione di volontà ebraica come tante a Hevron, dopo migliaia di anni di su e giù fra espulsioni e presenza. Qui Abramo comprò la tomba per Sara, qui sono sepolti i Patriarchi nel castello che costruì Erode il Grande, un santuario dove c'è stato un macello continuo e alternato di musulmani e ebrei, sacro a tutte le religioni. Quando hai attraversato le strade semideserte, toccato con mano il fatto che tutti stanno chiusi in casa, palestinesi e ebrei, mentre si aggirano fra le mura sbrecciate solo alcune pattuglie di soldati, arrivi a Beit Romano, un palazzo che appartenne quasi da due secoli a una famiglia ebraica italiana, e ora ospita in maniera spartana, come tutto qui, 320 ragazzi. Sono parte dei 1000 ebrei che vivono fra 250mila palestinesi. Una scelta estrema. Il compagno di stanza Miki e un altro amico, Or, raccontano con coraggio il carattere di Eyal. Usano l'aggettivo "forte" per descriverlo, e di nuovo, al plurale, per spiegare come saranno loro qualsiasi cosa accada, sono a Hevron, studiano dove studiarono i padri dei loro padri, qui resteranno. "Eyal è qui solo da un mese e mezzo, prima di andare nell'esercito vuole capire qual'è il suo compito nel mondo. Sa benissimo, chissà dove, che lo scopo dei suoi rapitori è una minaccia per tutti gli ebrei: se ne devono andare da Israele. E' una prova terribile, ma Eyal è forte". Ogni tanto Miki sbaglia i verbi, parla al passato invece che al presente del suo amico. Ma si corregge:"Lo aspettiamo ogni minuto, entrerà da quella porta" e indica la terrazza dove un gruppetto di soldati sorveglia. Miki e Or con gli altri studenti si aggirano nelle stanze conventuali, il loro fisico e l'atteggiamento è da ragazzini sportivi, glabri, moderni, figli di mamma; per quanto possono mantengono il ritmo, studio con un po' di palestra nel mezzo. Ci volle un anno prima che la famiglia di Gilad Shalit e tutta Israele ricevessero da Hamas la prova che il ragazzo rapito era vivo. Qui, dopo sette giorni, lo spokesman dell'esercito, Peter Lerner, indica i principi generali dell'operazione. L'ipotesi è che siano vivi e nel West Bank, l'epicentro dell'indagine è Hevron con un allargamento alla Samaria, Benyamina, Jenin, dove la reazione dei palestinesi è stata dura. Diecimila soldati che frugano, entrano di notte negli appartamenti delle 7 grandi città del West Bank e nei sui 430 villaggi rurali per ora riescono nel secondo scopo che Lerner ci indica. Il primo, è trovare i ragazzi. Il secondo smontare Hamas, uomini, soldi, armi. Hamas non ha rivendicato il rapimento, ma si dice orgogliosa di esserne sospettata e lo esalta. Forse, piccoli pezzi di verità vengono rivelati a porte chiuse ai genitori di Naftali Frenkel, di Gilad Shaar e di Eyal Yfrach. Gli incontri a porte chiuse come quello di ieri con Shimon Peres certo servono anche a comunicare qualche traccia trovata a Hevron, a Halhoul, a Jenin... Ma qui a Hevron si capisce come una grande esercito possa essere beffato da pochi fanatici: lo si vede nel paesaggio scabro e impietoso, nell'intrico di vicoli e di legami protettivi, i terroristi potrebbero essere insospettabili signori nessuno arruolati in Giordania. I soldati col viso dipinto di nero calcano il terreno coltivato a ulivi e vigna, indossano cappelli mimetici, quelli sui tetti hanno il mitra imbracciato, quelli che si preparano a perquisire le case durante la notte ricevono un briefing dal Capo di Stato Maggiore: "L'operazione è difficile" -dice Benny Ganz - "piena di pericoli. Coraggio, è come se stesse salvando vostro fratello. Ricordatevi quando perquisite le case che molti palestinesi non c'entrano, comportatevi bene". Trecento persone sono state fermate, cinquantadue terroristi liberati nello scambio Shalit. Abu Mazen con gesto coraggioso, ha detto che i rapitori "ci vogliono distruggere" e che quei ragazzi sono "esseri umani". Ma su Facebook si è formato un gruppo "Three Shalits" che mostra, e fa mostrare anche ai bambini, tre dita per la gioia di aver rapito i tre teenagers. Armi, strumenti di incitamento, computer, transazioni finanziarie... molte cose sono venute alla luce in questa buia notte di Hevron. Sembra non essere rimasto più molto da frugare. Ma dove sono i ragazzi?
LIBERO - Maria Giovanna Maglie -Cara Michelle, perchè taci sui rapiti israeliani
Eyal Yifrah, Gilad Shayer e Naftali Frenkel. Com’è che per tre ragazzini israeliani rapiti da terroristi arabi non vedo mobilitazioni speciali, indignazioni planetarie, campagne a colpi di tweet e vip? Non che cambi niente, le ragazze rapite in Nigeria restano in mano ai terroristi, ci vuol altro che un cartellino in mano a Michelle Obama, un bel tweet «Bring back our girls», e via di nuovo a fingere di coltivare pomodorini e zucchine rigorosamente organici nell’orto presidenziale; ci vuol altro che le telefonate propagandistiche di Matteo Renzi e le magliette della nazionale di calcio con i nomi dei due marò esibite dal ministro Pinotti per far tornare a casa Latorre e Girone; ci vuol altro anche per i tre ragazzini israeliani rapiti da Hamas. Pure, disturba, e anche in questi tempi di disillusione un po’indigna, il double standard, l’abitudine volgare di distinguere tra le cause politically correct sulle quali gettarsi in sfoggio di propaganda senza pudore, dalla first lady dell’ordine mondiale all’ultimo consiglio comunale, e quelle meno per bene, un po’ scomode, sulle quali far partire infami distinguo, richiami severi mascherati da solidarietà, richieste alle vittime che alla fine dei conti a dirla tutta assomigliano a quelle dei rapitori terroristi. Funziona così quando viene intaccato il tabù dell’ipocrisia mondiale pacifista, funziona sempre così quando c’è di mezzo Israele. Non è tanto una questione di comune antisemitismo, so di dire una cosa scomoda, sul quale tra brutti libri, pessimi film, pellegrinaggi ai lager che furono,e abbastanza inutili Giornate della Memoria, il senso di colpa cambia forma, si acqueta e vince pure gli Oscar; è che l’antisemitismo quello profondo si è convertito in causa palestinese, ha preso le vesti di critica e pregiudizio verso lo Stato di Israele, comanda le organizzazioni internazionali e le commissioni europee, lambisce e anche penetra tanti ebrei d’occidente, ha caratterizzato la pessima presidenza di Barack Obama in uno strappo terribile con la tradizione degli Stati Uniti. Un alibi stantio, ché io posso anche non poterne più di sentir ricordare retoricamente l’Olocausto, figuriamoci la Resistenza, e vorrei non essere additata per questa saturazione a pubblico scandalo, ma mai dimentico che quello Stato piccolo e guerriero è l’avamposto d’Occidente in territorio nemico, che lo sterminio di ieri si riscatta oggi in Medio Oriente. Invece che ci tocca leggere? Che, lancio Ansa del 18 giugno, «Amnesty chiede immediato rilascio 3 ragazzi rapiti », ma subito dopo che «Israele sospendai mmediatamente le punizioni collettive ». Che sono in realtà due misure indispensabili: la chiusura del distretto diHebron e del valico di Erez tra Gaza e lo Stato israeliano, che serve a impedire il trasferimento dei tre ragazzi nella Striscia, e la detenzione dei membri dell’organizzazione terroristica Hamas, dai quali si possono ottenere informazioni vitali. Seguono da articoli di quotidiani vari,ma vi raccomando di non perdervi leperle di Avvenire, informazioni che negano qualsiasi coinvolgimento di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, peccato che il governo da lui messo in piedi di Fatah-Hamas qualche agevolazione di circolazione ai terroristi islamici l’ha certamente fornita; altre che sostengono che il nuovo ostacolo alla pace siano non il terrorismo o i sequestri,ma la costruzione di nuove case a Gerusalemme. Peccato anche che, l’ho visto ricordato solo su Repubblica, a Hebron circoli un manuale di Hamas di 18 pagine, titolo «Guida per il rapitore», con suggerimenti e consigli per rapire israeliani e ottenere in cambio la liberazione di detenuti palestinesi. Quanto alla Nigeria, senza un adeguato pagamento o un’azione di forza, le 276 studentesse della scuola di Chibok rapite dai Boko Haram il 14 aprile scorso non saranno liberate, e la campagna di buonismo mondiale servirà soltanto ad alzare il prezzo del riscatto e a far diventare più famosi in Africa i talebani neri. Impazzano, va detto, da anni, nell’indifferenza dell’Occidente: hanno massacrato cristiani, bruciato le chiese in cui li hanno sorpresi a pregare, hanno ucciso migliaia di nigeriani, e due italiani, Franco Lamolinara e Silvano Trevisan, sono nelle loro mani Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri,i due preti italiani rapiti il 4 aprile, con la suora canadese Gilberte Bussier. Il gruppo di fanatici islamici Boko Haram sconfina allegramente dalla Nigeria in Camerun. Sono terroristi in nome e per conto dell’islam, come quelli che hanno rapito i tre ragazzi israeliani, come quelli che Israele non rinuncia a combattere.
IL MANIFESTO - Alessandro Portelli - Tra terrore e uccisioni di routine
Tre ragazzi israeliani scomparsi - quasi certamente rapiti - nei pressi di Hebron, nella Palestina occupata. Letteralmente, non ci dormo la notte. (...) A Hebron c'ero stato meno di una settimana prima del fatto, e quello che ho visto fa rabbrividire. Qui I'occupazione israeliana non si è limitata a edificare un insediamento coloniale (Kiryat Arba, sulla collina di fronte a Hebron), ma ha preso direttamente possesso di una parte della città stessa. Hebron è dove si dice sia sepolto Abramo e dove David sarebbe stato proclamato re. Con questa motivazione, poche centinaia di estremisti religiosi israeliani si sono insediati dentro la città, e adesso il venti percento del territorio urbano è direttamente sotto controllo israeliano, occupato da settecento coloni religiosi e altrettanti soldati. I ventimila arabi che abitavano in questa parte di Hebron sono andati via oppure sono diventati invisibili. Non possono nemmeno passare per le strade principali, riservate esclusivamente ai coloni (qui le chiamano «strade sterilizzate»). I vecchi mercati sono macerie abbandonate, le strade laterali sono chiuse da muri, i negozi sono sbarrati, le porte delle case che danno sulla strada sono sigillate per impedire ai loro abitanti di calpestare le strade proibite (se vogliono uscire di casa, devono passare dal tetto e scendere con la scala sul retro), quei pochi che restano sono frequentemente aggrediti, insultati, sputati dai coloni protetti dai militari. Per strada vedo solo plotoni di soldati accompagnati dai coloni. E una città fantasma segregata. Mi accompagna un esponente di Breaking the Silence, l'organizzazione dei soldati israeliani che hanno deciso di rendere pubbliche le violenze, gli abusi e i crimini commessi dalle forze di occupazione. Si definisce ebreo ortodosso, e dice di non essere un pacifista. Di Hebron occupata conosce ogni sasso, ogni porta. Mi decifra alcune delle scritte che vediamo sulle porte e sui muri - quella che più mi impressiona dice «arabi al gas». Recentemente, racconta, un gruppo di giovani palestinesi ha cercato forme di protesta non violente. Si sono messi d'accordo con un'organizzazione di donne ebree di Gerusalemme che in solidarietà sono venute a Hebron, si sono cambiate in abiti tradizionali palestinesi e così vestite si sono incamminate per una strada «sterilizzata». Le hanno arrestate immediatamente. E poi, qualcuno rapisce quei tre ragazzi ed è logico che si scateni l'inferno. Mentre scrivo sono a New York e mi capita per mano il Wall Street Journal, uno dei migliori esempi di giornalismo anglosassone. Centoventi righe ben documentate e precise sulle azioni e le dichiarazioni di Netanyahu e del governo israeliano in risposta alla crisi. Nel mezzo dell'articolo, una frase: «Gli arresti hanno provocato scontri e dimostrazioni nella West Bank, che hanno lasciato almeno un palestinese morto». Non una sillaba di più. Chi era, in che modo è stato «lasciato morto», che diavolo significa - per un giomalismo così attento alla precisione e ai fatti - 'almeno» un morto? Mi viene in mente un fulminante dialogo delle Avventure di Huckleberry Finn. «Si è fatto male qualcuno?» «Nossignora; è morto un negro». II rapimento di tre ragazzi israeliani - su questo non ci piove - è un atto terroristico e un delitto. Ammazzare «almeno» un arabo è routine. L'atto terroristico è una notizia, ha conseguenze immediate, gravi e clamorose. La routine non è una notizia, non merita titoli e approfondimenti. Ma la routine scava profondo, e nel tempo gli effetti possono essere terribili per tutti. A Kiryat Arba - spaziosa, bianca di pietra e verde di alberi - c'è un giardino. In cima al giardino, un tempo c'era un monumento e un sacrario. Sono stati rimossi, ma rimane una tomba. È la sepoltura di Baruch Goldstein, che il 25 febbraio del 1994 irruppe nella parte musulmana della Tomba di Abramo e ammazzò ventinove palestinesi prima di essere sopraffatto. La scritta sulla tomba recita: «Al santo Baruch Goldstein, che ha dato la vita per il popolo ebraico, per la Torah e per la nazione di Israele». Sulla tomba sono deposti dei sassi, segno tradizionale di pietoso e devoto omaggio. Dei tre ragazzi, purtroppo, nessuna notizia
INTERNAZIONALE - Haggai Matai - Il rapimento che indebolisce i palestinesi
Israele - Le ultime operazioni israeliane in Cisgiordania vanno ben oltre il tentativo di ritrovare i tre ragazzi scomparsi il 12 giugno nella zona di Hebron (Israele sostiene che Naftali Frenkel, Gilad Shaar ed Eyal Yifrach siano stati rapiti da Hamas). È un attacco politico e militare contro Hamas, perfettamente inserito nella linea del governo israeliano, che ha poco a che vedere con le ricerche dei ragazzi, anche perché non esiste un collegamento evidente tra Hamas e il rapimento. Negli ultimi giorni le operazioni militari si sono estese a Betlemme e Nablus, nell'Area A (la parte di Cisgiordania dove l'amministrazione e la sicurezza sono affidate all'Autorità Nazionale Palestinese). I soldati hanno arrestato alcuni dipendenti di un'organizzazione benefica di Hamas, alcuni giornalisti legati al gruppo islamico e il capo del Consiglio legislativo palestinese. In totale sono state fermate duecento persone. I militari hanno anche sequestrato computer e armi. Le ricerche dei ragazzi si concentrano, invece, nell'area di Hebron. L'esercito e il governo di Israele hanno cambiato atteggiamento: nei primi due giorni di indagini davano la colpa all'Anp e al suo presidente Abu Mazen, ma ora l'attenzione si è spostata su Hamas. Le autorità israeliane hanno cominciato a rilasciare dichiarazioni positive sulla collaborazione dell'Anp e di Abu Mazen, senza accennare al fattoche Hamas fa parte del nuovo governo di unità nazionale palestinese. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fallito miseramente nel suo tentativo di mobilitare il resto del mondo contro il nuovo esecutivo palestinese, che ha ricevuto il supporto della comunità internazionale e perfino un "regalo d'incoraggiamento" dell'Unione europea sotto forma di milioni di euro. Netanyahu si è trovato con le mani legate. Non poteva boicottare la nuova Autorità palestinese e nemmeno inviare migliaia di soldati nell'Area A per arrestare i parlamentari di Hamas senza motivo. Poi è arrivato il rapimento, e le regole del gioco sono cambiate. Per inviare la propria opinione a Giornale,Libero,Manifesto e Internazionale, clccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it lettere@liberoquotidiano.it redazione@ilmanifesto.it mailto:posta@internazionale.it