Riprendiamo dal CORRIERE della SERA e da LIBERO, i commenti di Lorenzo Cremonesi e Carlo Panella. Sul valore democratico delle elezioni nei paesi musulmani e l'ennesima gaffe della politica estera di Obama.
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Una democrazia non vive solo di voto. Lezione dalle urne in Egitto e Siria"
Lorenzo Cremonesi
Le recenti elezioni in Siria ed Egitto confermano un principio classico dei sistemi liberali così come maturati in Occidente: quello per cui il voto è un momento certamente necessario, ma non sufficiente a garantire la credibilità democratica dei governi. In Europa lo abbiamo imparato sulla nostra pelle nei lunghi e difficili decenni che hanno caratterizzato la seconda metà del Settecento inglese, la' Rivoluzione Francese, i codici napoleonici, la Restaurazione imposta dal Congresso di Vienna, le repressioni sanguinose delle «Primavere delle Nazioni» a metà Ottocento, sino alle degenerazioni totalitarie fascista, nazista e comunista nel Novecento. Abbiamo cioè appreso che il momento individuale e segreto del cittadino che depone la sua scheda nell'urna necessita di una lunghissima serie di condizioni preparatorie. Le più ovvie sono una solida Costituzione che garantisca l'indipendenza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Mass media indipendenti, libertà di informazione e circolazione delle idee, non soggetta a censure dal potere centrale. Oltre alla possibilità per i cittadini di imporre osservatori al momento del voto e degli scrutini. E accompagnata dalla libertà per le opposizioni di criticare pubblicamente i detentori del potere e i loro apparati militari. Ebbene, tutto questo non c'è stato nella rielezione per la terza volta di fila di Bashar Assad e nella vittoria alla presidenza egiziana dell'ex generale Abdel Fattah el-Sisi. Due risultati scontati, ma proprio perciò privi di qualsiasi valenza democratica. Utili ai due dittatori per legittimarsi agli occhi dei loro seguaci, però vuoti della cultura della dialettica del rispetto per la società civile. Non ci sono conferme indipendenti ai tassi di partecipazione e ai dati del voto diffusi dalle due amministrazioni. Assad dice di vincere mentre in Siria continua la guerra civile e i suoi soldati reprimono, torturano, uccidono i suoi cittadini. El-Sisi a sua volta si impone dopo il sanguinoso golpe militare dell'anno scorso e la messa al bando dei Fratelli Musulmani. La maggior forza dell'opposizione non ha alcuna voce in capitolo e i giornalisti che ne parlano vengono metodicamente perseguitati. Intendiamoci, nulla di nuovo nel mondo arabo. Ma non confondiamo le elezioni con i principi molto più seri della democrazia.
Libero-Carlo Panella: " Le mani di Putin sull'Egitto, un altro schiaffo a Obama"
Carlo Panella
Vladimir Putin continua a lucrare vantaggi sugli errori e sull'inerzia della politica estera di Barack Obama. L'ultimo è un'alleanza stretta, con grandi risvolti economici e militari con l'Egitto del neoeletto presidente Fattah Al Sisi che ieri è stato invitato al Cremlino per la sua prima visita di Stato. Per comprendere l'importanza non rituale di questa novità, è necessario fare un salto indietro sino al 1972, quando il presidente egiziano Anwar al Sadat espulse con una certa ruvidezza i 30.000 "consiglieri militari" sovietici di stanza in Egitto, interrompendo un legame politico-militare strategico per Mosca - come per il Cairo- che era stato impostato da Nasser nel 1956. In quei 16 cruciali anni, in cui era stata combattuta la "guerra dei 6 giorni" contro Israele del 1967, l'Egitto, ben più dell'Iraq e della Siria, era stato il caposaldo strategico della politica mediorientale del Cremlino. Il fronte, assieme all'Indocina, in cui la Guerra Fredda si combatteva duramente in modo assolutamente "caldo". Da allora, soprattutto dopo la guerra del Kippur del 1973, l'Egitto ha ribaltato la sua collocazione internazionale ed è stato il più fedele e utile alleato degli Stati Uniti nei Paesi arabi. Il tuno, compensato con una elargizione annua di 2 miliardi di dollari erogati dal tesoro Usa alle esauste casse del Cairo, in buona parte destinate alle Forze Armate (incluse la voraci tasche dei corrotti generali egiziani). La "primavera araba" del 2011e la detronizzazione di Hosni Mubarak hanno terremotato questi rapporti per una ragione semplicissima: Barack Obama, Hillary Clinton e J. F. Kerry hanno sbagliato tutti i passaggi, hanno quindi perso la fiducia del nuovo rais del cruciale alleato e l'hanno gettato nelle braccia di Putin. All'inizio della rivolta di piazza Tahrir, infatti, la Clinton si schierò a fianco dell'indifendibile Mubarak, definendolo «un caro amico di famiglia». Poi, quando i Fratelli Musulmani vinsero le elezioni politiche e presidenziali, Obama decise di dare piena fiducia a Mohammed Morsi, perché lo considerava un «riformatore moderato». Quando questa immotivata illusione si rivelò fallace, la Casa Bianca iniziò a fare dichiarazioni deliranti. A fronte del colpo di Stato con cui Al Sisi dimise e incarcerò Morsi, uccise nelle piazze duemila Fratelli Musulmani e ne imprigionò altre migliaia, l'unica preoccupazione di Obama fu lessicale. Si rifiutò di definire "colpo di Stato" quello che era indubbiamente un colpo di Stato e si limitò a consigliare «moderazione». Non contrastò Al Sisi, ma non lo appoggiò neanche, nonostante le forti pressioni dell'Arabia Saudita, di cui Al Sisi è una fidata pedina. Risultato: il primo viaggio all'estero di Al Sisi - allora Ministro della Difesa - nel novembre 2013, fu verso Mosca dove concluse con Putin un mega contratto di 3 miliardi di dollari (messi a disposizione dall'Arabia Saudita) per la fornitura all'Egitto di jet da combattimento russi, sistemi di difesa anti-missili, elicotteri Mi-35, missili anti-nave, armi leggere e munizioni. Una fornitura non "tecnica", ma dai pregnanti risvolti politici: se l'aviazione è l'esercito egiziani dipenderanno per forniture, manutenzione e munizioni dalla Russia, invece che dagli Usa è infatti evidente che i generali al potere al Cairo si schiereranno nelle crisi internazionali ben distanti dalle posizioni degli Usa. Tutto questo, in un contesto che vede Putin rafforzato dall' esito della crisi di Crimea, in grado di imporsi come indispensabile interlocutore per risolvere la crisi dell'Ucraina e capace di stringere un mega accordo energetico con la Cina. 11 tuno, all'indomani del fallimento rovinoso del piano di pace di Obama per la crisi Israelo-palestinese, ennesimo suo "storico" impegno disatteso. Un fiasco mediorientale completo, con gravi contraccolpi in tuno il Mediterraneo sulle cui sponde ormai la Russia è sempre più presente e più forte.
Per inviare al Corriere della Sera, Libero la propria opinione, cliccare sulle e-mail sottostanti