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Il Giornale-Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
10.06.2014 Israele e il Papa, Riconoscimento a Napolitano, L'opinione di David Grossman
di Fiamma Nirenstein, Paolo Valentino, Fabio Scuto

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein-Paolo Valentino-Fabio Scuto
Titolo: «Il Papa non ha fatto magie ma ha difeso Israele-E Israele rende omaggio a Napolitano 'si è opposto a terrorismo e negazionismo'-Grossman: La preghiera, un lampo di luce ma noi israeliani siamo ormai sfiduciati»

Israele e il Papa, Israele e Napolitano, l'opinione di David Grossman, sono i tre argomenti di oggi, 10/06/2014, che coinvolgono lo Stato ebraico, che riprendiamo da IL GIORNALE, CORRIERE della SERA, LA REPUBBLICA:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein. "Il Papa non ha fatto magie ma ha difeso Israele"


Fiamma Niresntein         a destra, il Papa davanti alla tomba di Herzl

 Troppo facile dire, come ha fatto il giornale israeliano Ha 'aretz, che il Papa, Shimon Peres e Abu Mazen si sono presi una giornata di pace senza combinare nulla mentre il Medio oriente brucia. Ma gli incontri non sono magici: neppure quello fra Clinton, Rabin e Arafat, così smagliante, nuovo lo fu. Ma se restiamo coi piedi per terra, i significati non mancano: il Papa ha voluto un incontro sul Medio oriente, ma anche un incontro fra le tre religioni, grande ambizione in tempi di persecuzione di cristiani, e di antisemitismo. Non si è trattato del solito, spesso pretestuoso dialogo interreligioso: qui si è parlato di guerra, della necessità dell'uomo di abbandonare la violenza. Certo, lo si è fatto secondo stereotipi, i palestinesi hanno fatto la parte dei moderati dopo l'accordo con Hamas, ma si intravedeva l'incongruenza, l'aggressione dei cristiani dall'Arabia Saudita alla Siria. Benedetto lo affrontò col discorso di Ratisbona, non andò; questo Papa lo fa a modo suo. Non ignora, anche nella preghiera, che l'islam politico copre il mondo di attentati terroristici, e che semmai è irritato dalla visita di Abu Mazen. Il Papa, dal suo punto di vista, ha avuto successo: le diocesi nel mondo hanno creato una mobilitazione capillare fiancheggiate dai media. ll Cardinale Vincent Nichols, in Inghilterra, ha invitato gli ambasciatori israeliano e palestinese; iniziative sono state prese in Irlanda, a Hong Kong, in Malesia, a Singapore, nel Bruni e a Timor... Gli angoli più strani del mondo si sono uniti al Papa globale. Non è affatto scontato che le tre religioni preghino insieme, specialmente i musulmani che considerano le altre religioni superate dall'islam. Tuttavia l'incontro ha suggerito che si possa parlare: ogni simbolo, ogni immagine (importante anche per gli ebrei) che potesse costituire un impedimento teologico sono stati eliminati. L'onda mediatica è stata enorme e priva di minacce, aggressioni, critiche. Netanyahu ha taciuto dimostrandosi diplomatico: Abu Mazen ha appena stretto un'alleanza con Hamas, che solo ieri notte ha di nuovo sparato un missile da Gaza. Israele è scioccata dalla sua mossa, ed egli ha avuto fortuna a legittimarsi nell'evento Papale. Non si può tuttavia dire che Francesco abbia voluto favorirlo. E evidente il suo interesse ad apparire giusto con i contendenti, perché questo è ciò che garantisce il buon mediatore. Ma considerare che la fermata davanti al muro di Betfemme che impedisce ai terroristi l'ingresso ma che i palestinesi vogliono rendere simbolo di apartheid, abbia segnalato una preferenza verso i palestinesi, non funziona. Il Papa ha deciso, primo nella storia, di visitare la tomba di Theodor Herzl, fondatore del sionismo, attribuendogli un significato spirituale alla presenza del popolo ebraico qui, riconoscendo che Israele è la sua patria. Del resto aveva nella sua prima enciclica riconfermato che «il patto degli ebrei (sulla terra) con Dio non è mai stato revocato» e ha dedicato parole fortissime all'antisemitismo. Francesco parla volentieri delle comuni origini di ebraismo e cristianesimo. Il Papa ha anche mostrato il suo apprezzamento per il fatto che in Israele «lavora e vive una varietà di comunità cristiane», sa che è l'unico Paese mediorientale in cui i suoi da 34mila nel '49 sono diventati 161mila nel 2013, mentre intorno emigrano o sono perseguitati. Per la Chiesa l'incontro è stato un'occasione di mostrare vitalità, universalismo, con una evidente tendenza a fare da arbitro, vedremo il seguito.

Corriere della Sera-Paolo Valentino: " E Israele rende omaggio a Napolitano 'si è opposto a terrorismo e negazionismo' "


Paolo Valentino

Settimana tutta medio-orientale per l'Italia, eletta crocevia diplomatico delle più importanti trattative in corso sulla regione. Dopo la preghiera per la pace di domenica in Vaticano insieme a papa Francesco, il presidente israeliano Shimon Peres e il leader palestinese Abu Mazen hanno proseguito la loro visita romana incontrando separatamente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro degli Esteri, Federica Mogherini. Domani e giovedì toccherà poi agli inviati di Mosca e Teheran dar vita nella nostra capitale a un cruciale round di negoziati sul programma nucleare iraniano: gli incontri di Roma, cui prenderà parte il capo della diplomazia persiana Javad Zarif, seguono la ripresa della trattativa Usa-Iran di ieri a Ginevra e servono a preparare la prossima e forse decisiva tornata negoziale della formula 5 1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti più la Germania) in programma a Vienna dal 16 giugno prossimo. Il clou della giornata di ieri è stato il conferimento da parte di Shimon Peres a Giorgio Napoli-tano della Medaglia d'Onorificenza Presidenziale, il più alto riconoscimento civile d'Israele. Era la prima volta che un capo di Stato israeliano la consegnava personalmente all'estero. «Nel corso gli anni il presidente Napolitano — si legge nella motivazione — ha dimostrato un perseverante impegno per il benessere e la sicurezza dello Stato di Israele e, da lui ispirato, il Partito Comunista Italiano ha adottato posizioni nuove e indipendenti riguardo al Medio Oriente». Egli «diede voce con fermezza alle posizioni sulla questione dei prigionieri politici sionisti ebrei nell'ex Urss, la cui richiesta di emigrare in Israele era stata respinta». Parole che suonano come un risarcimento del passato migliorista di Napolitano, che nel Pci si ritrovò spesso in minoranza proprio per le sue aperture su temi controversi e le sue posizioni autonome e filo-occidentali Quanto all'oggi, recita ancora la motivazione, if presidente italiano «ha condannato ogni manifestazione di terrorismo, ha ospitato vari incontri tra israeliani e palestinesi nel tentativo di cercare una soluzione al conflitto sulla base di un mutuo riconoscimento e ha offerto agli israeliani l'opportunità di presentare la loro posizione alla sinistra italiana». Ancora, egli è una «figura guida in Europa nella lotta al negazionismo della Shoah e all'antisemitismo ed è consapevole del legame spesso esistente tra sentimenti antiebraici e anti-israeliani». Nella cerimonia al Quirinale, cui hanno preso parte anche il ministro Mogherini e il presidente delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, Peres ha sottolineato che «Israele tende la mano perla pace ai palestinesi nostri vicini» e che occorre «trovare una soluzione concordata e accettata da entrambe le parti». Nel ringraziarlo, Napoli-tano ha colto lo spunto per ricordare a Peres che «la pace è parte del suo retaggio» e che «oggi dobbiamo dire con convinzione: è giunto il tempo di far pace». II presidente della Repubblica ha infine spiegato che la sua costante relazione con lo Stato e il popolo ebraico e la sua determinazione a combattere l'antisemitismo e gli attacchi contro Israele, sono «parte integrante del mio impegno antifascista». Al termine dei due colloqui con Peres e Abu Mazen, il ministro Mogherini ha detto che «c'è una forte domanda di presenza politica europea nella regione mediorientale e l'Italia farà la sua parte durante il semestre di presidenza della Ue».

La Repubblica-Fabio Scuto: " Grossman: La preghiera, un lampo di luce ma noi israeliani siamo ormai sfiduciati "


Fabio Scuto      David Grossman

 GERUSALEMME- Un lampo di speranza, una breve luce che si accende nel buio. Difficile non dare una valenza positiva alla preghiera comune in Vaticano fra Papa Francesco il presidente israeliano Shimon Peres, il palestinese Abu Mazen e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo. Ma le parole di David Grossman, tra i più grandi scrittori contemporanei e "voce' di generazioni di israeliani che alla pace non hanno mai smesso di credere, costringono ad un bagno di realtà «perché gli israeliani sono sfiduciati su un possibile accordo di pace». «Che certamente-dice l'autoredi Vedi alla voce: amore- non ci sarà non con un governo come quello che abbiamo attualmente».
Che cosa ha provato quando ha visto questi tre grandi vecchi insieme nei giardini del Vaticano?
«E stato senz'altro un avvenimento fuori dal comune, che dà un minimo di speranza che il processo di pace possa in qualche modo riprendere. In un periodo in cui gli europei e gli americani, dopo il fallimento del segretario di Stato Usa John Kerry, hanno deciso di tirare i remi in barca e di aspettare che siano gli israeliani ed i palestinesi a rivolgersi a loro dopo che avranno trovato un accordo, l'iniziativa del Papa, per quanto non più che dichiarativa, è consolante. Francesco è una persona molto intelligente, ha influenza ed è riuscito a ricavarsi uno spazio in cui poter agire. Ma in Israele questo evento non ha avuto molta risonanza: Haaretz, il giornale politicamente più rilevante, vi ha dedicato appena quattro righe...».
Perché gli israeliani hanno mostrato così scarso interesse?
«Sono sfiduciati: hanno perso la speranza che qualcosa possa veramente cambiare, che si possa arrivare ad un progresso, ad un accordo di pace. In questi anni abbiamo visto troppe speranze andare in fumo».
Questo è stato probabilmente l'ultimo atto rilevante di Peres, che fra un mese terminerà il suo incarico presidenziale. Peres è stato ed è ancore il motore dietro il processo di pace negli ultimi 25 anni. Sarà possibile riempire il vuoto che lascerà?
«È vero, Peres è la persona che ha maggiormente spinto in direzione di un accordo con i palestinesi, ma di fatto anche lui non ha avuto successo. Tutte le volte che sembrava avesse fatto un passo avanti, il primo ministro Netanyahu ha fatto in modo di bloccarne l'iniziativa..
Netanyahu, il grande assente in questo incontro...
«Ritengo che il premier non creda veramente alla possibilità di un accordo con i palestinesi e tantomeno nella soluzione dei due Stati. Non si tratta solo dell'accordo con i palestinesi:la sua è una visione del mondo cupa, difensiva, in cui non c'è posto per la fiducia necessaria ad andare avanti per arrivare ad un'intesa. Non che non abbia precedenti storici su cui basarsi, gli ebrei sono stati perseguitati per migliaia di anni, ma proprio in questo periodo la situazione potrebbe essere favorevole. Dei Paesi vicini ad Israele, che ne invocavano la distruzione, è rimasto solo l'Iran. Tutti gli altri, Siria, Egitto, Iraq adesso sono troppo impegnati nelle loro faccende interne per aprire un nuovo fronte».
Nel governo ci sono forze, come il "Focolare ebraico", che propugnano il ritiro unilaterale da una parte dei Territori occupati e l'annessione dell'altra parte. «Sarebbe veramente un disastro, la fine dello Stato ebraico e democratico. Lei pensa davvero che la maggioranza ebraica cederebbe ai cittadini arabi il comando dell'esercito o dell'aviazione o dei servizi di sicurezza? Si arriverebbe probabilmente ad uno sviluppo mostruoso di tali apparati, destinati a controllare la parte araba della popolazione, sempre sospettata di qualcosa. No, l'unica soluzione è la separazione, i due Stati. Ci sentiremo a nostro agio, protetti e sicuri nel nostro paese solo quando i palestinesi avranno il loro».
Che ne pensa dell'iniziativa di Netanyahu di proporre ad Elie Wiesel di candidarsi alla presidenza, in mancanza di un candidato più vicino al premier? «Con tutto il rispetto e l'ammirazione che ho per Wiesel, non credo che una persona che non è vissuta qui con noi, che non abbia vissuto ciò che abbiamo vissuto noi, che non abbia avuto contatto con la realtà e la gente d'Israele possa essere un presidente adatto. Il presidente deve essere uno che è stato e sta qui con noi'.

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