Sull'incontro in Vaticano riprendiamo i commenti usciti oggi, 09/06/2014, di Bibi Netanyhau sulla STAMPA, Fiamma Nirenstein sul GIORNALE, Maurizio Molinari sulla STAMPA, Amos Oz sul CORRIERE della SERA.
Il commento di IC è la Cartolina di Ugo Volli al link:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=53738
La Stampa-"La freddezza di Netanyahu: non commenta"
Bibi Netanyahu
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accompagnato ieri sera con un silenzio gelido la missione di pace di Shimon Peres in Vaticano. Di fronte al Consiglio dei ministri Netanyahu è tornato ieri a biasimare Abu Ma-zen per il suo recente accordo di riconciliazione con una fazione, quella islamica di Ha-mas, «che invoca la distruzione di Israele». Ha poi avvertito che Hamas potrebbe gradualmente assumere il controllo dell'Anp e ha inoltre intimato al presidente palestinese di provvedere alla smilitarizzazione della Striscia di Gaza (roccaforte degli islamici).
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Il Papa primattore della diplomazia globale"
Fiamma Nirenstein Papa Bergoglio
Papa Francesco è un papa globale, non conosce confini, si lanciain avventure difficili e sorprendenti come del resto ha appena teorizzato per Pentecoste, e ieri ne ha dato prova con la preghiera comune insieme al presidente d'IsraeleShimon Peres e con Abu Mazen, presidente dei palestinesi. Il messaggio mediatico è stato potentissimo, miliardi di telespettatori di tutte le religioni hanno fatto saltare in alto il rating tv, e certo il Vaticano ci contava nel preparare il bellissimo spettacolo storico di quei giardini fioriti in cui si è svolta tantap arte della sto-ria del passato, nel bene e nel male. Il processo di pace si è arenato malamente sulla decisione di Abu Mazen di stringere un'alleanza strategica con Hamas, l'organizzazione terrorista in possesso della Strisciadi Gazaedeterminata alla distruzione di Israele. Un disastro diplomatico patito soprattutto dagli Stati Uniti di Obama e di Kerry, che avevano organizzato nei mesi scorsi una spola disperata rimasta poi senza risultato, povera di strategia. Ed ecco il Papa globale, Francesco, che con l'invito a Roma ha preso fra le mani, se non in mano, la questione più intricata del mondo, quella che fallisce sempre. Dal suo ingresso in Vaticano, primo Papa provenientedalgrande, formicolantemondo dell'America Latina e da quello del pensiero politico gesuita, Francesco dall'inizio ha sentito la Curia come arretrata e asfittica; le sue strategie per riportare la Chiesa a svolgere un ruolo globale come secoli fa, ma senza spada, sono sottili: la sua prima trasferta è stata a Lampedusa, contro le alte onde della sofferenza globale; nel gennaio scorso ha scritto una letteraaivertici economici riuniti a Davos in cui chiedeva di porre fine alla «intollerabile» fame nel mondo. Putin, Obama, Hollande, sono stati nei mesi scorsi suoi interlocutori su questioni cruciali. Il più effettivo esempio dellasua diplomazia internazionale, discutibile quanto attiva, è la vicenda siriana: qui, con la rete di relazioni dirette che un Papa può sempre utilizzaretelefonando a ogni capo di Stato, sia mobilitando il consenso delle masse, che ha riunito a settembre in Piazza San Pietro per una veglia di pace, Francesco si è battuto contro quella che ha chiamato in una lettera al G20 «il futile obiettivo» di un intervento militare. Il Vaticano ha ripetuto più volte che la preghiera di ieri non ha nessun carattere politico, che è solo un modo di ravvivare una speranza che rischia di perdersi. Non è detto che sia una speranza effettiva, ma certo l'incontro si è colorato parecchio da quando il processo di pace è crollato e Abbas, che il Pap a e anche Peres avevano definito «un uomo di pace», ha stretto un patto con Hamas, l'organizzazione terrorista che giura di distruggere Israele e che ha sulla coscienza migliaia di morti di terrorismo. Peres però, salvo poche parole in cui ha detto che Abu Mazen deve scegliere fra il terrorismo e la pace, che non può mettere insieme «acqua e fuoco», ha deciso di partecipare col sorriso sulle labbra, anche se il suo governo non avrà rapporti con Abbas finchè sta con Hamas. L'invito, motivato in termini spirituali nonostante il significato politico che Francesco gli attribuisce, era di quelli che non si possono rifiutare: Shimon Peres conclude in questi giorni il suo mandato come Presidente. La preghiera per lapace, la generosa disponibilità con cui ha fatto finta di nulla dopo che Abu Mazen ha concluso ilpatto con Hamas, èun' apoteosi, il lied della sua vita di novantenne padre della patria. Quanto ad Abu Mazen l'occasione è stata meravigliosa per lui, una totale rilegittimazione dopo l'accordo con l'organizzazione terrorista: nessuna lavanderia può rendere più immacolati dei giardiniVaticani, piùgentiluomini della presenza accanto a lui di due leader amati universalmente. Gli schermi televisivi del mondo intero li hanno promossi tutti pacifisti. Abu M azen ha avuto fortuna. Ma c'è chi spera nel potere dell'immagine, e certo Francesco ledàunposto importante nella sua strategia globale. Se un desiderio di pace di ritorno dai miliardi di telespettatori ipnotizzati dalla realtà virtuale si trasformasse in colloquio, avrebbe ottenuto il suo scopo.
La Stampa-Maurizio Molinari: " Un ruolo forte per l'Italia"
Maurizio Molinari
Per una di quelle coincidenze che a volte accompagnano la diplomazia la preghiera congiunta di Shimon Peres ed Abu Mazen in Vaticano si sovrappone ad un'opportunità di iniziativa italiana in Medio Oriente. Basta affacciarsi nelle cancellerie di Gerusalemme, Ramallah, Amman, Riad, Beirut o il Cairo per percepire grande interesse per le scelte che il nostro governo si accinge a prendere nella regione. II motivo è la sovrapposizione fra tre eventi: il risultato delle elezioni europee che ha indebolito politicamente i governi di Londra e Parigi facendo risaltare di conseguenza la stabilità della leadership di Matteo Renzi, assieme a quella della cancelliera Angela Merkel; l'imminente inizio della presidenza di turno italiana dell'Unione Europea; la crescente sfiducia che circonda l'amministrazione Obama, percepita come sempre più distaccata se non disinteressata a sanare le piaghe del Medio Oriente. Si spiega così la ricerca, da parte dei maggiori attori regionali, di altri interlocutori: il capo del-l'intelligence di Riad va a Mosca per discutere di Siria, il neoeletto presidente egiziano Al-Sisi guarda all'Unione Europea per gli urgenti aiuti economici, il premier israeliano Benjamin Netanyahu inaugura un telefono rosso con Vladimir Putin, le monarchie del Golfo Persico pianificano progetti infrastrutturali di lungo termine con la Cina di Xi Jinping. Che si tratti della guerra civile in Siria, del conflitto israelo-palestinese o dello sviluppo economico oltre Hormuz, gli sguardi tolti da Washington cercano nuovi interlocutori e l'Europa pub avere un'opportunità essendo rappresentata nei prossimi sei mesi da un leader percepito, dagli arabi come dagli israeliani, giovane, politicamente stabile e carico di energia. In altre parole, un vincente. E' nel Medio Oriente sono le percezioni che contano di più. Per un diplomatico arabo di lungo corso di tratta di «una finestra di opportunità per l'Italia» che sul Medio Oriente pub vantare credibilità tanto fra gli israeliani come fra i palestinesi e in Siria pub mettere sul piatto l'essere stata a lungo il primo partner commerciale, presentandosi dunque come una credibile protagonista della ricostruzione, come e quando ci sarà. Resta da vedere come l'Italia potrebbe riuscire a cogliere l'opportunità per riguadagnare sullo scacchiere mediorientale il terreno perduto dall'inizio delle primavere arabe nel 2011 a vantaggio di Parigi e Londra. Quanto avvenuto ieri nei Giardini vaticani suggerisce un approccio concreto ma di basso profilo: non ambire a risolvere in fretta crisi e guerre con radici profonde ma cercare piccoli gesti e singoli momenti capaci di cambiare il clima. Puntando ad invertire un corso degli eventi che, da Aleppo a Gaza, sembra evolvere rapidamente verso il peggio. Fra le carte che la nostra presidenza di turno dell'Ue potrebbe giocare ve ne sono d'altra parte alcune con un chiaro timbro «made in Italy»: dallo stretto legame con la Russia di Vladimir Putin, percepita in Medio Oriente come la potenza più in crescita di influenza, alla tradizionale vicinanza con la diplomazia della Santa Sede, defmita da un alto diplomatico israeliano a Gerusalemme, «efficiente quasi più di quella degli Stati Uniti». Saranno le prossime settimane a dire se l'Italia è in grado di tornare da protagonista sulla sponda Sud del Mediterraneo.
Corriere della Sera-Amos Oz: " Il mio appello ai fanatici: non trascinate Dio nelle dispute immobiliari "
Amos Oz
Ritengo che per circa un secolo il conflitto tra israeliani e palestinesi sia stato sostanzialmente una disputa di carattere immobiliare. Una lunga guerra fondata su una domanda: di chi è la proprietà di questa casa con la terra? fanatici in entrambi i campi stanno disperatamente cercando di trasformare questa disputa immobiliare in un conflitto di religione, tra Ebraismo e Islam, e in qualche modo ci sono riusciti. lo credo che una disputa sulla proprietà possa venire risolta attraverso il compromesso, tramite la partizione della terra, la divisione della casa in due appartamenti più piccoli, in breve: ricorrendo alla soluzione della suddivisione in due Stati. Ma una guerra santa, un conflitto di carattere religioso, è molto più duro da risolvere poiché la disputa su ogni luogo, su qualsiasi singola pietra, diventa la ragione che scatena odio e violenza. Proprio su questo punto credo dunque che i leader religiosi — cristiani, musulmani ed ebrei — dovrebbero ricordare ai fanatici che la vita umana è più santa di qualsiasi luogo sacro; che la testa di ogni bambino — ebreo, arabo o cri- LA VITA, NON I LUOGHI stiano — è più preziosa a Dio che non qualsiasi pietra di qualsiasi patria al mondo. Quando ero bambino mia nonna mi spiegò in parole semplici dove sta la differenza tra un ebreo e un cristiano. Mi disse: «Vedi, piccino mio, i cristiani credono che il Messia sia già stato sulla Terra e che tornerà nel futuro. Noi ebrei crediamo invece che il Messia non sia ancora arrivato e debba arrivare nel futuro». «Su questa disputa disse ancora la mia saggia nonna —non puoi immaginare quante persecuzioni, violenze, massacri e sangue siano stati versati nella storia Perché mai non potremmo semplicemente attendere e vedere con i nostri occhi se il Messia, arrivando infine tra noi, dirà di essere felice di vederci per la prima volta, oppure di trovarci ancora?». La spiegazione della nonna era semplice. Se il Messia ci saluterà contento di rivederci per la seconda volta allora gli ebrei dovranno scusarsi con i cristiani. Ma se invece parlerà della sua visita come della prima tra noi, allora sarà l'intero mondo cristiano a doversi scusare con gli ebrei. In buona sostanza, ritengo mia nonna avesse in tasca la soluzione per la questione dei Luoghi Santi di Gerusalemme. Lasciamo che ognuno preghi il suo Dio a modo suo. Facciamo in modo che non sventolino bandiere a segnare la proprietà dei Luoghi Santi. Alla fine, sarà il Messia a dirci di chi sono, dei cristiani, dei musulmani o degli ebrei.
(A cura di Lorenzo Cremonesi)
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