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Corriere della Sera-Ansa Rassegna Stampa
09.06.2014 L'incontro in Vaticano- la cronaca di Paolo Conti, Massimo Lomonaco
con il dissenso della Comunità ebraica di Roma.

Testata:Corriere della Sera-Ansa
Autore: Paolo Conti-Massimo Lomonaco
Titolo: «Santa Marta, porta del mondo. Ma il rabbino non c'è- Dichiarazione di Rav Di Segni»

La cronaca più accurata dell'incontro in Vaticano è quella uscita sul CORRIERE della SERA di oggi, 09/06/2014, a pag.9, con il titolo " Santa Marta, porta del mondo. Ma il rabbino non c'è "di Paolo Conti, pochi squilli di tromba e più attenzione verso i chiaro-scuri che l'hanno contrassegnata.
Segue l'intervista  a Rav Riccado Di Segni a Massimo Lomonaco , ANSA.


Paolo Conti          Riccardo Pacifici          Riccardo Di Segni


Renzo Gattegna

ROMA - Santa Marta centro del mondo. Ancora una volta. Addirittura per la scommessa della pace in Medio Oriente. Ore 16 di ieri, domenica 8 giugno. La piccola via della Stazione Vaticana, isola di tranquillità nel caos della zona romana di porta Cavalleggeri fino all'elezione di papa Francesco, è presidiata dal mattino presto: una trentina tra poliziotti e carabinieri e da una quindicina di auto di servizio. L'intera area (dove, fino agli anni Cinquanta, funzionava un pittoresco mercato di quartiere all'aperto come a Campo de Fiori) recintata dai bandoni gialli dei Vigili Urbani per vietare la sosta privata, pena la rimozione. E' qui la via di accesso più diretta proprio al palazzo di Santa Marta, scelto come residenza ormai anche ufficiale da papa Francesco dopo il definitivo abbandono dell'Appartamento Papale del Palazzo Apostolico, usato solo per le visite di Stato e per il discorso e la benedizione all'Angelus domenicale delle ore 12. Stavolta non si tratta di un incontro di Stato ma di una preghiera interreligiosa, come sottolinea l'assoluta assenza di qualsiasi bandiera e di ogni segnale di riconoscimento sulle auto e sui furgoni delle diverse delegazioni. Solo i due elicotteri della polizia che sorvolano l'area per motivi di sicurezza segnalano a una Roma assolatissima l'eccezionalità di quegli ospiti chiusi in quelle vetture blu e nere. A metà di via della Stazione Vaticana, ad un angolo delle Mura Leonine, si apre l'ingresso del Perugino che collega la Repubblica italiana con lo Stato Vaticano proprio a fianco di Santa Marta. Ed è li che entrano gli invitati sulle auto blu blindate e con i vetri oscurati, tra le 17.15 e le 18, accompagnate da scorte, carabinieri motociclisti, sirene. E' lo stesso ingresso usato da Matteo Renzi il 4 aprile per la sua visita privata in compagnia della moglie e di uno dei loro tre figli. Questa domenica di preghiera voluta da papa Francesco con il presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, sottolinea ancora una volta la centralità internazionale di Santa Marta come luogo dei «veri» incontri di papa Francesco: non l'ufñcialità delle visite di Stato regolate da un rigido protocollo e dai discorsi formali ma i colloqui che davvero premono a Bergoglio che esce dalla «sua» stanza 201, ormai famosa in mezzo mondo, e incontra subito «sotto casa» l'interlocutore di turno. Capitò anche il 17 marzo scorso alla presidente dell'Argentina, Cristina Kirchner, che cosi conobbe anche la cucina di Santa Marta, universalmente riconosciuta non tra le migliori del mondo. Ma l'incontro voluto da papa Francesco ha anche un risvolto negli equilibri interni all'ebraismo italiano. C'è una chiara differenza di valutazioni tra l'Unione nazionale delle comunità ebraiche, guidata da Renzo Gattegna, e la comunità romana, la più popolosa e forte, condotta da Riccardo Pacifici e spiritualmente affidata al rabbino Riccardo Di Segni. Gattegna, appena finito l'incontro, esprime chiare parole di sincera gratitudine al Pontefice: «Una cerimonia significativa, un momento di raccoglimento al quale ho aderito affinché pace e comprensione reciproca possano sempre trionfare oltre ogni divisione politica, culturale e religiosa. Esprimo quindi profonda gratitudine per l'iniziativa di papa Bergoglio». L'assenza del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (dovuta ad «altri impegni») arriva dopo la sua netta critica apparsa su «Pagine ebraiche» di giugno: «Trattandosi di un incontro religioso sfugge il significato della presenza di una figura chiaramente laica come quella di Peres, che non mi sembra un assiduo frequentatore di luoghi di preghiera e che mi sorprenderebbe iniziasse a esserlo a casa del papa. E un'impostazione alla quale guardo non soltanto con perplessita ma che trovo anche pericolosa». E anche Pacifici, appena finita la cerimonia, protesta per l'assenza di riferimenti chiari al mondo ebraico nel discorso di Abu Mazen. Un equivoco poi chiarito e dovuto probabilmente a una differenza nei testi distribuiti alle delegazioni e poi battuti dalle agenzie. Comunque Pacifici sottolinea «come alla base di ogni trattativa politica debbano esserci i valori condivisi e il rispetto nei confronti del prossimo. L'iniziativa di papa Francesco dovrà però essere solo il primo tassello di un lungo percorso». Differenze che arrivano dopo l'uscita dei rappresentanti romani vicini a Pacifici dal Consiglio dell'unione delle comunità ebraiche italiane, guidato appunto da Gattegna.

Riprendiamo l''ANSA da Israele, del 08/06/214, di Massimo Lomonaco, dal titolo "INTERVISTA/ Di Segni,preghiera poteva essere a Gerusalemme"

Massimo Lomonaco

Rabbino Roma auspica successo ma Papa non mediatore super partes
           
 (ANSA) - GERUSALEMME 8 GIU - "Sarebbe stato importante che la
preghiera per la pace avvenisse a Gerusalemme perché è lì la
città santa alle tre religioni e non il Vaticano". Parola del
rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che definisce la sua
notazione sull'evento di oggi a Santa Marta come "un invito
virtuoso" per dare ancor più forza agli obiettivi
dell'iniziativa.
   "Mi auguro - dice Di Segni all'ANSA commentando l'incontro di
oggi - che serva a qualche cosa, che porti veramente a
conseguenze positive per tutti". Ma al di là di questo il
successore del rabbino Elio Toaff non rinuncia a sottolineare
"l'aticipità" del fatto: "l'equivoco che qualcuno potrebbe
vedere nell'incontro - osserva - e' il fatto che sono presenti
politici e religiosi. Ognuno di loro di partenza ha una diversa
competenza: i politici fanno i politici e i religiosi fanno i
religiosi. E quindi da questo punto di vista e' tutto un po'
atipico". Per Di Segni - che in questi giorni e' in Israele dove
oggi ha partecipato ad un convegno all'Universita' Bar Ilan -
c'e' anche un altro problema. "Per un uomo che ha fede, la
preghiera e' uno strumento molto importante. E quindi un grande
valore. Nell'ebraismo non si può fare a meno della preghiera ma
ci si deve affidare anche alle imprese umane. Se la preghiera
viene quindi dal cuore ha senso, altrimenti non si sa se 'in
alto' sono disposti ad accettarla".
   "Prendendo questa iniziativa, papa Francesco - insiste il
rabbino capo di Roma - si esprime secondo modalità ed
espressioni culturali e religiose tipicamente cattoliche che si
incastrano con difficoltà con quelle ebraiche e musulmane. E' il
trialogo a essere difficile da questo punto di vista".
   "La preghiera - rimarca - ha senso se una persona si rivolge
con cuore sincero. Credo pero' che ognuno dei tre mettera' la
sua visione completamente differente. Quando Abu Mazen parla di
ingiustizia e sofferenza, penso abbia un concezione diversa da
quella di Peres".
   Un ulteriore motivo di cautela, a giudizio di Di Segni, e'
legato al fatto che a differenza di Abu Mazen e di Peres, "papa
Francesco riveste un duplice ruolo: quello dell'uomo politico e
dell'uomo di fede. E l'uomo politico rappresenta una serie di
interessi nell'area in questione. Non e' un mediatore al di
sopra delle parti, bensì parte integrante del discorso".
   "Tutti e tre i punti del triangolo - conclude il rabbino capo
di Roma - hanno quindi le loro istanze. Certo e' che se 'il
piano di sopra' le accoglie, allora puo' essere che qualche cosa
succede. Provarci non fa male". (ANSA).

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