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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.06.2014 L'amazzone (pentita) di Gheddafi 'Ora lotto per i diritti delle donne'
di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 giugno 2014
Pagina: 17
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «L'amazzone (pentita) di Gheddafi 'Ora lotto per i diritti delle donne'»

 Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/06/2014, a pag.17, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " L'amazzone (pentita) di Gheddafi 'Ora lotto per i diritti delle donne' "


Lorenzo Cremonesi   Donne libiche

DAL NOSTRO INVIATO TRIPOLI — In Libia sono ormai tanti a chiedere ad alta voce il «ritorno di un uomo forte». Che sia un «nuovo Gheddafi» nella veste dell’ex generale Khalifa Haftar, il quale dalla Cirenaica ha dichiarato guerra totale alle milizie islamiche, oppure un governo centrale riorganizzato sul modello di quello che in Egitto vorrebbe il neopresidente Abdel Fatah Al-Sisi poco importa. Ciò che conta è che il caos degli ultimi tre anni vede la critica crescente contro gli effetti delle «primavere arabe». Ma non è questo il caso di Shahrazad Magrabi, ex dirigente di punta nell’amministrazione del regime di Muammar Gheddafi diventata oggi un’entusiasta attivista per la difesa dei diritti civili e in particolare per l’emancipazione delle donne. «Dieci anni fa nessuno mi avrebbe torto un capello se avessi scelto di camminare in bikini e sola per le vie di Tripoli. Oggi al contrario mi è capitato di venire offesa e persino minacciata da qualche estremista religioso per non aver indossato il velo. Ma non importa. Occorre non farsi confondere dalle apparenze. La libertà sostanziale che vige adesso in Libia offre infinite possibilità di miglioramento rispetto al clima di terrore e blocco totale che ha immobilizzato il Paese nel quarantennio della dittatura», racconta nell’ufficio del «Libyan Women Forum», l’organizzazione non governativa che dirige nel cuore della capitale.
Da «amazzone» del dittatore linciato alle porte di Sirte nell’ottobre 2011 a militante fiduciosa nelle sorti della rivoluzione. È un percorso tortuoso, non privo di ripensamenti e contraddizioni. «Il caos che regna in Libia mi spaventa. Per questo motivo io stessa al momento sostengo Haftar. Ma lo considero un leader temporaneo. Il futuro non gli appartiene. Lui avrà il compito di imporre la legge, poi saranno i partiti nati dalla rivoluzione del 2011 a costruire il domani della nostra democrazia», osserva. Shahrazad non nasconde le sue origini privilegiate. «Sono nata a Tripoli 61 anni fa da una famiglia agiata, che mi ha permesso di studiare nelle migliori università inglesi e americane. Le mie competenze mi resero indispensabile al regime dopo il colpo di Stato nel 1969. Allora Gheddafi era un leader giovane, sino alla metà degli anni Settanta, confesso, ne fui affascinata. Voleva tecnici libici e io fui ben contenta di collaborare. Ma poi il suo potere divenne totale, viziato, accentratore, ingiusto», ricorda. Ciò non le evitò di accettare incarichi importantissimi. Diventò in breve uno dei personaggi chiave nei rapporti tra dittatura e grandi compagnie petrolifere straniere. Dal 1980, dopo le statalizzazioni forzate, gestisce la sezione economica del «Zuetina», il gigantesco consorzio energetico nazionale. Ma negli anni Novanta quelle che lei chiama «le perversioni sessuali di Gheddafi e della sua cerchia» divennero un incubo. «Come donna quel clima mi terrorizzava. Gran parte di ciò che è stato detto e scritto sulle prigioni segrete nelle università, nelle ville miliardarie, nelle caserme e nei ministeri, dove Gheddafi, i suoi figli e i loro amici violentavano le ragazze più belle a loro piacimento, salvo poi pagare lautamente il silenzio dei famigliari o torturare a morte chi protestava, è semplicemente, terribilmente vero», dice tagliente.
Quanto all’anarchia attuale delle milizie, i morti, i furti, le violenze le ingiustizie generalizzate, lei replica con la conoscenza di chi le cose le ha viste davvero dall’interno. «Anche ai tempi di Gheddafi la gente spariva. E le rapine del regime, la tortura, il terrore erano la norma. Semplicemente non se ne poteva parlare. La censura imposta dalla dittatura dà sempre la falsa impressione della quiete. Adesso pare peggio perché nessuno censura i media. La Rete è aperta a tutti. In verità oggi è ancora molto meglio di ieri. E, soprattutto, abbiamo la possibilità di cambiare»

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