mercoledi` 20 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
05.06.2014 Sciopero della fame nelle carceri: un'arma contro Israele
il cui uso è facilitato dalla cattiva informazione

Testata: La Repubblica
Data: 05 giugno 2014
Pagina: 20
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «L' Intifada del cibo spacca Israele»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/06/2014, a pag. 20, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "L'Intifada del cibo spacca Israele".
Scuto presenta la detenzione amministrativa come un arbitrio delle autorità israeliane, praticato in modo incomprensibile per chi la subisce. Non accenna all'esistenza del terrorismo. Di fatto i detenuti di cui riporta le dichiarazioni sono membri di "
un piccolo gruppo dell'Olp" - e alcune delle frazioni palestinesi connesse all'Olp non hanno tuttora rinunciato alla violenza - e del gruppo terroristico Hamas.
L'uso dello sciopero della fame da parte di gruppi terroristici per perseguire obiettivi politici ed effetti propagandistici non è una novità. Lo stesso Scuto cita Bobby Sands e lo sciopero della fame dei detenuti dell'IRA. In quell'occasione, Margaret Thatcher fece  una scelta diversa da quella di Netanyahu. Mentre ques'ultimo ha ordinato l'alimentazione forzata dei detenuti, incontrando l'opposizione dei medici israeliani, il premier britannico decise di non inteferire con le decisioni sulla propria vita dei terroristi  dell'IRA.
Che questa differenza nella linea di condotta di due democrazie sotto attacco da parte dei terroristi sia dettata dal diverso peso attribuito a principi morali  drammaticamente in conflitto ( l'imperativo di salvare vite umane e quello di rispettare la sovranità degli individui su se stessi e sul proprio corpo) o semplicemente dalla consapevolezza che la morte anche di un solo detenuto costerebbe a Israele, in termini di demonizzazione e di sfruttamento propagandistico da parte dei suoi nemici, più di quanto costarono 10 morti alla Gran Bretagna, è certo che non vi sia una risposta  al problema posto dallo sciopero della fame che non comporti anche conseguenze negative, sul piano morale e su quello politico.  Allo stesso tempo, però, è anche certo che il biasimo per queste conseguenze negative debba essere attribuito ai gruppi terroristici e al loro disprezzo per la vita umana, non agli Stati che difendono i propri cittadini.

Ecco l'articolo:

  
Fabio Scuto



Benjamyn Netanyahu, Margaret Thatcher

GERUSALEMME. Nessuno vuole un Bobby Sands palestinese. Se solo uno dei duecento prigionieri palestinesi in "detenzione amministrativa in sciopero della fame dal 24 aprile dovesse morire, un'ondata di proteste travolgerebbe la Cisgiordania, scatenerebbe la violenza dei più estremisti, innescando una terza intifada dagli esiti disastrosi. Ormai, al 42esimo giorno di digiuno, sono più di ottanta i prigionieri palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani che però continuano a rifiutare il cibo. Il premier Benjamin Netanyahu, allarmato da questa protesta, spinge perché la Knesset approvi rapidamente una legge che impone l'alimentazione forzata ai detenuti, ma si sta scontrando con la principale Associazione dei medici d'Israele contraria alla legge perché .l'alimentazione forzata è una forma di tortura» e i suoi dottori non si presteranno a questa pratica. I prigionieri che rifiutano il cibo sono tutti "detenuti amministrativi', in cella da mesi o anni, senza accuse e senza aver mai visto un giudice. I palestinesi della Cisgiordania sono sottomessi alle autorità militari israeliane: basta l'ordine scritto di un ufficiale per finire in carcere senza possibilità di appello, con gli arresti che vengono rinnovati ogni sei mesi. Un retaggio del Mandato britannico, che nonostante le proteste interne e internazionali, Israele ha mantenuto: è la famigerata disposizione 1651. Nelle carceri dello Stato ebraico, dati dell'Israel Prison Service, ci sono 5.330 palestinesi, fra loro oltre 200 in "detenzione amministrativa". Ci sono quotidiane dimostrazioni in appoggio alla protesta, le famiglie dei detenuti sostengono questo digiuno nonostante i rischi. «Mio marito è in carcere senza sapere perché e questo incubo deve finire», dice Lamees Faraj del marito Abdel Razeq, militante di un piccolo gruppo dell'Olp, che ha passato in detenzione amministrativa 8 degli ultimi 20 anni. .E' contro il Dna dei sanitari forzare il trattamento su un paziente», spiega la portavoce Ziva Miral dei medici israeliani, l'alimentazione forzata è una tortura, e non possiamo avere dottori che partecipano a una tortura». Dello stesso avviso il Consiglio Nazionale di Bioetica israeliano e la World Medical Association, il coordinamento mondiale delle associazioni mediche nazionali. Nonostante questo coro di critiche, Netanyahu avrebbe detto ai suoi ministri che sarà lui a fare in modo di trovare i medici disponibili per alimentazione forzata. Un po' come fanno, ha osservato il premier, gli americani a Guantanamo Bay con i detenuti jihadisti. Fares Qadoura, uno degli avvocati dei prigionieri, annuncia che se la legge passerà alla Knesset i palestinesi sono pronti a ricorrere prima all'Onu e poi alla Corte di Giustizia dell'Aja. Le famiglie intanto aspettano e temono. Mahmoud, il marito di Amani Ramahi, eletto deputato con Hamas nel 2006, è in cella senza un'accusa da 4 anni. La Ramahi racconta che suo marito le ha fatto arrivare un messaggio dal carcere: "l'intifada della fame sarà a oltranza perché vogliono mettere fine una volta per tutte alla loro sofferenza».

Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sulla e-mail sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT