A Varsavia il messaggio di Obama all' Europa: 'la libertà non è garantita' l'analisi di Fiamma Nirenstein e il discorso del presidente americano
Testata:Il Giornale - La Repubblica Autore: Fiamma Nirenstein - Barack Obama Titolo: «Obama all'Europa: 'La vostra libertà non è garantita' - Cara Europa la libertà non è garantita per sempre»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 05/06/2014, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Obama all'Europa: 'La vostra libertà non è garantita' " e da REPUBBLICA, a pagg. 1-19, il testo del discorso di Barack Obama a Varsavia, pubblicato con il titolo "Cara Europa la libertà non è garantita per sempre".
A destra, Barack Obama e il presidente ucraino Petro Poroshenko a Varsavia
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein - Obama all'Europa: 'La vostra libertà non è garantita'
Fiamma Nirenstein
È una specialità del presidente Obama il reset continuo per altro spesso basato sulla parola «vibrante»: l'Ucraina, ha detto Barack Obama incontrando a Varsavia l'omologo eletto dall'Ucraina Petro Poroshenko, che proprio domani assumerà l'incarico, sarà una vibrante democrazia se l'America le sta dietro, e lo farà, ha promesso. Poi, ha enunciato il suo avvertimento alla Russia festeggiando i suoi 25 anni dalle prime elezioni libere dal comunismo. Ha avvertito Putin, il convitato di pietra di questo G7 da cui è escluso e in cui si parla solo di lui: ogni partner della Nato sarà protetto, la Polonia non sarà sola, e non solo la Polonia, ma anche la Lituania, la Lettonia, la Romania. Queste non sono parole» ha aggiunto. Dopo tutto è il presidente degli Usa. Ma l'attacco del discorso è sembrato chiamare gli alleati europei a svegliarsi, a tornare al progetto di un esercito unico o di finanziare la Nato in agonia: «La libertà non è garantita in Europa». Come dire: non ve ne accorgete? Per la verità proprio quando gli Usa avevano appena esposto il reset della politica verso la Russia, uno dei centri della politica estera di Obama, due dozzine di politici di primo piano dell'Europa centrale e orientale gli scrissero perché intervenisse per fermare l'invasione russa della Georgia: «C'è nervosismo nelle nostre capitali - diceva la lettera - la Nato appare più debole» perché «la Russia persegue un'agenda adatta al 19esimo secolo». Obama lasciò perdere. L'Europa chiese di intervenire, ma Obama non rispose ancora una volta, e in molti la sensazione oggi è che il messaggio sia troppo tardo per essere funzionale, e anche troppo contrastante col discorso di West Point, in cui Obama si pregia di rifiutare l'uso dell'esercito, umiliando gli uomini ai suoi ordini e accomunando in un'accusa pretestuosa quanti a volte sono purtroppo costretti a usarlo per mancanza di alternative possibili. Se Obama, cinque anni fa, si fosse fatto avanti, forse oggi Putin non sarebbe così spavaldo e deciso. E se Obama non abbracciasse continuamente cause che nelle sue mani sembrano avvizzire, come quella dei Fratelli Musulmani in Egitto, o Erdogan in Turchia, o adesso, ultima sorpresa stupefacente dopo che nel 2008 aveva dichiarato che mai avrebbe parlato con Hamas, la decisione di sostenere il governo palestinese di cui l'organizzazione terrorista è parte, il mondo sarebbe più stabile e giusto. Più di tutto, brucia che sia derivata da un accordo con Putin la decisione di Obama di rinunciare a rispettare la sua «linea rossa» che prometteva aiuto militare ai ribelli siriani quando Assad avesse usato le armi chimiche. La sua rinuncia ha portato a un ulteriore uso delle armi chimiche a alla grottesca rielezione di Assad come presidente. Di fatto, anche stavolta, l'incontro di Obama con i leader europei è rimasto chiuso agli aspiranti come la Moldova, la Georgia, e l'Ucraina. Obama ha deciso di non visitarla e non ha mai promesso naturalmente nessun aiuto militare. Le uniche armi sono le parole, per esempio quelle di una bozza del comunicato finale del G7,che dichiara «inaccettabile» l'azione della Russia in Ucraina, e si dice pronto a «intensificare azioni mirate». Insomma, per ora Putin è concretamente minacciato dalle sanzioni della Merkel.
LA REPUBBLICA - Barack Obama - Cara Europa la libertà non è garantita per sempre
Barack Obama in Polonia
Signor presidente, signor Primo ministro, signora sindaco, capi di stato e di governo, passati e presenti — compreso colui che scavalcò il muro dei cantieri navali per guidare uno sciopero che divenne movimento, il prigioniero diventato presidente che cambiò questa nazione: grazie Lech Walesa per la tua leadership eccezionale!
Venticinque anni fa, in questo stesso giorno, assistemmo a una scena fino ad allora ritenuta impensabile. Qui, per la prima volta, si andò alle urne e il popolo di questa nazione fece la sua scelta. Il regime comunista pensava che un’elezione avrebbe confermato il suo potere, o indebolito l’opposizione. Invece i polacchi andarono alle urne a milioni e quando si contarono i voti si prese atto di una vittoria a valanga per la libertà. Una donna che votò quel giorno ha detto: «C’era la sensazione che in Polonia stesse per iniziare ad accadere qualcosa. Sentimmo di nuovo il sapore della Polonia ». Quella donna aveva ragione: quello fu l’inizio della fine del comunismo, non soltanto in questo paese, ma in tutta Europa. Le immagini di quell’anno sono sigillate nella nostra memoria. La gente inondò le strade di Budapest e Bucarest. Ungheresi e austriaci tagliarono i fili spinati alle frontiere.
I MANIFESTANTI si presero per mano attraverso i paesi Baltici. Cechi e slovacchi uniti nella loro Rivoluzione di velluto. I tedeschi di Berlino est si arrampicarono in cima a quel muro. Abbiamo assistito tutti agli straordinari progressi fatto da allora. Una Germania unita. Nazioni in Europa centrale e orientale diventate democrazie orgogliose. Un’Europa più integrata, più prospera, più sicura. Non dobbiamo mai dimenticare che la scintilla originaria di un simile cambiamento rivoluzionario, del fiorire di così tante speranze, scoccò qui. La faceste scoccare voi, popolo polacco.
Qui si fece la Storia. La vittoria del 1989 non era scontata. Fu il culmine di secoli di battaglie per la Polonia, combattute talvolta in questa stessa piazza. Generazioni di polacchi alzarono la testa e infine ottennero l’indipendenza. I soldati resistettero all’invasione, da est e da ovest. I Giusti tra le Nazioni — e tra loro Jan Karski — avevano rischiato il tutto e per tutto per salvare gli innocenti dall’Olocausto. Gli eroi del Ghetto di Varsavia si rifiutarono di arrendersi senza combattere. I Liberi polacchi in Normandia e i polacchi dell’esercito che, anche quando questa città fu ridotta in macerie, ingaggiarono un’eroica insurrezione.
Noi oggi ricordiamo in che modo voi, quando discese la Cortina di ferro, non accettaste mai il vostro destino. Ricordiamo quando un figlio della Polonia ascese al Trono di San Pietro, e ritornato in patria, qui a Varsavia, ispirò un’intera nazione con le sue parole: «Non può esserci un’Europa giusta senza l’indipendenza della Polonia». E oggi vogliamo ringraziare per il suo coraggio la Chiesa Cattolica, vogliamo ringraziare lo spirito impavido di San Giovanni Paolo II. Noi ricordiamo bene anche in che modo vinceste 25 anni fa. A fronte di percosse e pallottole voi non vi allontanaste mai rispetto alla forza morale della non-violenza. Nelle tenebre della legge marziale, i polacchi accesero candele alle loro finestre. Quando il regime finalmente acconsentì a parlare, voi abbracciaste il dialogo. Quando fissarono quelle elezioni — anche se non furono del tutto libere — voi partecipaste. Come disse un esponente di punta di Solidarnosc a quei tempi, «Noi abbiamo deciso di accettare ciò che era possibile ». La Polonia ci ricorda oggi che talvolta anche i più piccoli passi avanti, seppure imperfetti, possono finire coll’abbattere muri, possono alla fine trasformare il mondo.
Si tratta di una storia meravigliosa, ma la storia di questa nazione ci rammenta che la libertà non è garantita. E la storia ci mette in guardia dal non prendere mai per scontato questo progresso. In quello stesso giorno in cui 25 anni fa i polacchi si recavano a votare, i carri armati soffocarono le proteste democratiche pacifiche in Piazza Tienanmen dall’altra parte del mondo. I benefici della libertà devono essere conquistati e rinnovati da ogni generazione, inclusa la nostra. Questo è dunque il compito al quale dobbiamo tornare a dedicarci noi oggi.
Lo facciamo insieme perché crediamo che i popoli e le nazioni abbiano il diritto di determinare il proprio destino. E ciò include il popolo ucraino. Defraudati da un regime corrotto, gli ucraini rivendicano un governo che si metta al loro servizio. Bastonati e insanguinati si rifiutano di desistere. Minacciati e perseguitati si sono messi in fila per andare a votare. Hanno eletto un nuovo presidente con elezioni libere, perché la legittimità di un leader può venire soltanto dal consenso popolare.
Gli ucraini adesso si stanno imbarcando nella difficile strada delle riforme. Ho incontrato questa mattina il presidente neo-eletto Poroshenko, e gli ho detto che proprio come le libere nazioni offrirono aiuto e supporto alla Polonia nella vostra transizione verso la democrazia, così noi faremo adesso con gli ucraini. L’Ucraina deve essere libera di scegliere il proprio futuro da sola e per sé sola. Poiché il popolo ucraino aspira a quella stessa libertà, quelle stesse opportunità, quello stesso progresso che noi stiamo celebrando qui oggi. Gli ucraini sono i discendenti di Solidarnosc, uomini e donne come voi, che osarono lanciare una sfida a un regime fallito.
Grazie Polonia per il tuo trionfo, non quello delle armi, ma quello dello spirito umano, la verità che ci spinge ad andare avanti. Non c’è cambiamento senza rischio. Non c’è progresso senza sacrificio. Non c’è libertà senza solidarietà.
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