L' annunciata vittoria elettorale di Bashar Assad e il fallimento della 'dottrina Obama' Cronaca di Viviana Mazza, editoriale del Foglio
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Viviana Mazza - la redazione Titolo: «Dio, Siria e Bashar: l'elezione già vinta - Non fare stronzate non basta»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/06/2014, a pag.12 l'articolo di Viviana Mazza dal titolo "Dio, Siria e Bashar: l'elezione già vinta", dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "Non fare stronzate non basta".
Ecco gli articoli.
Bashar Assad
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza - Dio, Siria e Bashar: l'elezione già vinta
Viviana Mazza
DAMASCO — L'ufficiale Baher, 28 anni, ci accompagna sulla linea del fronte di Jobar, alla periferia orientale della capitale, zigzagando tra casette semidistrutte, alberelli di gelsi dolcissimi e vicoli dove giocano all'aperto i bambini, che appena vedono i giornalisti attaccano a cantare (Dio, la Siria, Bashar e basta». Di sottofondo si alternano gli spari, le cannonate cui i ribelli rispondono con i mortai, e le canzoni patriottiche che suonano dagli altoparlanti per tenere alto il morale delle truppe. Baher si cala in un tunnel: un buco profondo pochi metri che s'apre nel terreno morbido di tufo. Alla vigilia delle elezioni presidenziali di oggi in Siria, il regime considera questa di Jobar la battaglia militare decisiva per Damasco, assai più «calda» di quella scontata alle urne che sancirà la rielezione di Bashar Assad (anche se per la prima volta non corre da solo ma con due altri candidati). Quella di Jobar è una guerra di tunnel. Una volta caduto il quartiere l'esercito avrà la via spianata al controllo finale della periferia ribelle di Ghouta. I miliziani invece hanno scavato una città di cunicoli sotterranei per piantare esplosivi sotto le postazioni militari o per aggirarle nella speranza di giungere al cuore del potere (mentre su Internet c'è ansia per la vociferata e finora smentita distruzione di un'antica sinagoga dedicata al Profeta Elia che sorge proprio a Jobar). Seguendo Baher nel tunnel in cui filtra dall'alto la luce e dal basso l'odore di fogna, si arriva sotto le fondamenta di un palazzo, dove la linea del fronte ha l'aspetto di un soldato in poltrona che fissa tre televisori: vi appaiono i cunicoli scavati dai ribelli. II regime li cerca, li fa esplodere oppure li monitora e li mina, e a volte i nemici acquattati là sotto sono così vicini da potersi insultare, mentre dagli altoparlanti partono gli inviti ad arrendersi. Fuori dai tunnel, nella capitale blindatissima è un'altra invece la battaglia in corso. Quella per la stabilità. I manifesti di Assad onnipresenti sui palazzi, le vetrine, i pali della luce e pagati dagli imprenditori, gridano «Sawa» ( Insieme»), invitano ad arrendersi all'evidenza. Bashar vi appare in mimetica e occhiali da sole oppure in cravatta con lo sguardo rivolto lontano: e molti qui lo voteranno perché vogliono la stabilità più di ogni altra cosa, stanchi di contare i colpi di mortaio e i blackout, di sopportare l'impennata dei prezzi di cibo, vestiti e affitti. «E' l'unico che può portare la sicurezza», dice Ramez, ventenne che vende jeans al mercato di Sahilia. «Rivogliamo l'equilibrio tra religioni , spiegano due ragazzi musulmani inorriditi dall'estremismo islamico. «Meglio tornare al passato», consiglia una mamma velata che mangia il gelato con le figlie. Ma nell'ufficio del Coordinamento Nazionale Siriano, un gruppo di opposizione laico cui aderiscono partiti comunisti e nasseristi, il trentenne Nebras Dalloul non si arrende ad andare alle urne. Il suo gruppo, che aveva partecipato alle proteste pacifiche del 2011 e rifiutato l'uso delle armi contro il regime, ha lanciato ora un boicottaggio del voto: «Che elezioni sono se c'è un'unica voce, mentre i detenuti politici stanno in prigione, la guerra continua e milioni di profughi restano fuori dal paese?», chiede. Ammette che Bashar ha vinto la battaglia per la stabilità, ma lancia un monito: «Ogni spazio di libertà politica sta scomparendo». Ma l'ultima parola oggi ce l'ha Bashar. Vicino a piazza Hejaz una canzone strilla dalla radio. «Vogliamo Bashar, solo Bashar». Le note sono le stesse di un inno rivoluzionario composto a Hama un paio di anni fa. Solo che le parole erano diverse allora: «Vogliamo che Bashar vada via».
Il FOGLIO - Non fare stronzate non basta
Barack Obama
La dottrina di Obama in politica estera ha trovato una sua nuova, formidabile sintesi: “Don’t do stupid stuff”, con la variante casereccia che prevede “shit” al posto di “stuff”, come avrebbe detto lo stesso presidente americano durante un pranzo alla Casa Bianca con un gruppo di giornalisti. Non fare stronzate è il motto dell’America obamiana, che in forma più rigorosa e altrettanto deprimente è il “realismo riluttante” che il New Yorker ha appiccicato addosso al presidente dopo il discorso (orrendo) di West Point, quello che avrebbe dovuto spiegare al mondo la roboante politica estera degli Stati Uniti d’America. Obama si muove con cautela, in concerto con gli altri, non vuole cambiare il mondo, si adatta agli eventi che accadono, anche se sono rivoluzioni, guerre o annessioni territoriali illegittime. Con l’aggravante delle “linee rosse”, ormai diventate una barzelletta, al punto che tutti i leader del mondo che con l’America hanno un rapporto per così dire conflittuale le usano nei loro annunci, dal russo Putin all’iraniano Rohani: tanto le linee rosse possono essere oltrapassate senza troppe conseguenze, nessuno ci bada più. Politico ha pubblicato un articolo pieno di dettagli sul “paradosso di Obama” nel quale spiega come il presidente abbia deciso di fare piccole cose – anche in politica interna – per salvare la sua presidenza, abbandonando del tutto, se mai se n’era preso carico, “la politica della trasformazione”. Non c’è nulla come la situazione siriana che possa spiegare meglio le conseguenze di questo ripiegamento obamiano. Oggi in Siria si vota per le presidenziali, soltanto nelle parti del paese controllate dal regime di Assad. Ci sono due candidati alternativi al rais, alternativi si fa per dire, visto che non li conosce nessuno e comunque sono stati “vetted” dal regime: Hassan al Nuri, ex ministro diventato ricco vendendo spazzole per scarpe, e Maher Hajjar, del Partito comunista, che ha fatto cartelloni elettorali con la sua immagine sotto a un ritratto di Assad. La comunità internazionale non riconosce questa tornata elettorale, ma non è che a Damasco qualcuno sia preoccupato di quel che pensa il mondo. Ora che è chiaro che la strategia americana è semplicemente non fare stronzate, Assad può permettersi di dare il colpo fatale a quel processo di transizione che Obama rivendica come un successo. Cosa che in effetti è una stronzata.