Cinque anni di torture al prigioniero americano dei taleban: ecco il 'Male' del terrorismo islamico Cronaca di Guido Olimpio
Testata: Corriere della Sera Data: 03 giugno 2014 Pagina: 13 Autore: Guido Olimpio Titolo: «Lo strano caso del soldato Bowe ballerino, sognatore, ex ostaggio»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/06/2014, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "Lo strano caso del soldato Bowe ballerino, sognatore, ex ostaggio". Bowe Bergdahl, eroe o disertore ? Dopo la sua liberazione la questione ci interessa poco. Ci hanno colpito invece le tecniche di tortura - a quanto se ne sa finora soltanto di carattere psicologico - messe in atto dai taleban in Afghanistan. Il povero Bergdahl in 5 anni di prigionia ha quasi disimparato a parlare inglese, è in condizioni a dir poco precarie, un uomo in pratica distrutto che dovrà ricostruire la propria personalità a causa dei trattamenti subiti. Bowe Bergdahl ha conosciuto, come il "Male", la tremenda e felice invenzione con la quale Domenico Quirico dopo il suo rapimento in Siria ha definto il terrorismo islamico.
Bowe Bergdahl
Ecco l'articolo di Guido Olimpio:
Guido Olimpio
WASHINGTON — Avamposto Mest. I mezzi blindati disposti in cerchio come i carri del Vecchio West. Filo spinato. Una torretta e qualche tenda. Un buco nell’Afghanistan. È qui che il 30 giugno 2009 il soldato Bowe Bergdahl, allora 23 anni, scompare. O diserta, come accusa un commilitone: «A fine del turno di guardia lascia elmetto e fucile, quindi abbandona, non visto, la piccola base. Si tiene solo una piccola bussola». Forse, come aveva confessato ai suoi compagni, per arrivare a piedi sino in India. Bowe non ci arriverà mai, sarà catturato dai talebani. Difficile dire se sia andata proprio così. Nei documenti di Wikileaks raccontano che lo avrebbero sorpreso mentre era in una latrina improvvisata. Il tempo ed un’eventuale inchiesta potranno svelare i dettagli di una storia dove il militare è tutto. A cominciare dalla sua vita avventurosa. Bowe cresce a Hailey, 6 mila anime raccolte in un angolo dell’Idaho. Il padre, Robert, ha comprato un pezzo di terra e ha costruito la casa. Poi l’ha riempita di libri, a migliaia, e per molto tempo non ha avuto neppure il telefono. Fa il muratore, d’inverno ripara gli sci, si dedica alla famiglia. Oltre a lui, la moglie Jani, una figlia e Bowe. I due non vanno a scuola, all’insegnamento ci pensano i genitori. Anni spensierati. Non c’è cosa che Bowe non faccia. Caccia e pesca fin da piccolo, si arrampica in montagna, trekking, tiro, kayak, motocross, arti marziali e poi quello che non ti aspetti: il balletto. Lo descrivono idealista. Ama quel mondo semplice, però sogna di spingersi oltre l’orizzonte. E infatti compie un lungo viaggio in barca a vela in Atlantico, visita l’Europa. Lo spirito inquieto di Bowe lo porta a guardare agli uomini in divisa. Li ammira prima ancora di conoscerli. Cerca di entrare nella Legione francese, però rinuncia quando scopre che deve rinunciare al passaporto americano. Prova allora con l’Us Army. Arruolato. Nel 2008 diventa un soldato di un reparto di fanteria. È convinto di poter aiutare il prossimo e non solo di dover combattere. Sarà la destinazione Afghanistan a fargli scoprire l’altra faccia. Dopo i primi mesi pieni di entusiasmo, Bowe manda una serie di e-mail al padre. È disgustato dalla guerra, rimane sconvolto quando una veicolo investe un bambino, pensa che le pattuglie mandate a cercare le bombe siano uno sforzo inutile. Ora quei messaggi sono usati da quanti pensano che sia scappato. Resta che il 30 giugno 2009 diventa un prigioniero. I talebani ingaggiano la partita. Fanno trapelare la voce che Bowe si sarebbe trasformato in un loro istruttore. Uno scenario alla Homeland , la serie tv dove un soldato americano catturato collabora con i terroristi. Poi correggono: ha finto di aiutarci solo per tentare una fuga subito sventata. Dietro questa cortina di verità e bugie si tratta. Interviene un ex agente della Cia, un veterano di patti con il diavolo. Quindi la parola passa ai diplomatici. Un primo contatto nel 2010 a Monaco, segue la mediazione del Qatar. Negoziati lenti, che spesso si arenano. Nel mezzo molti video diffusi dai talebani dove appare la «conversione» di Bowe. Cambia d’aspetto spesso. Rasato, quindi con la barba. Il Pentagono lo «segue» e lo promuove al grado di sergente. A Hailey, Robert e Jani conducono la loro campagna. Il padre si fa crescere la barba, studia la lingua pashtu, vive eternamente connesso a quanto avviene tra i monti afghani. Atteggiamenti a volte strani, però comprensibili quando hai un figlio nelle mani di un gruppo estremista. Il prigioniero, infatti, sarebbe finito alla formazione Haqqani ma sul suo destino decidono l’imprendibile Mullah Omar e capi locali. È seguendo questa strada, con l’aiuto dei qatarioti, che Washington arriva all’intesa nonostante una legge del Congresso vieti accordi di questo tipo. Cinque dirigenti talebani escono dalle gabbie di Guantanamo in cambio di Bowe. Il baratto è accolto con sdegno dai repubblicani. Sono state violate le regole e premiati i ricattatori. Obama è sotto attacco. Non lo aiutano i sospetti di tradimento sul militare e i colpi dei commilitoni: comprendiamo tutto, però non lo chiamate eroe e ricordate che per cercare di salvarlo sono morti almeno 6 militari. Bowe non può rispondere. Lo curano in un ospedale americano in Germania. Ha ferite psicologiche profonde, «non si fida di chi vuole aiutarlo», non ha ancora parlato con i familiari. Nei cinque anni di prigionia ha perso peso e l’inglese. Fatica a esprimersi. Lo aspettano terapie, poi molte domande dei superiori. Il cammino verso la pace di Hailey è ancora lungo.
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