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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.06.2014 Dopo la strage di Bruxelles: è la jihad siriana a minacciare l'Europa
Cronaca di Paolo Levi, analisi di Domenico Quirico e Stefano Montefiori

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Paolo Levi - Domenico Quirico - Stefano Montefiori
Titolo: «La 'colonna siriana' allarme l'Ue: retate a Parigi e Bruxelles - Uno, cento, mille Mehdi : così da Damasco Al Qaeda prepara l’assalto all’Europa - Quel colpo annunciato di Al Qaeda»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/06/2014, a pag. 12 , l'articolo di Paolo Levi dal titolo "La  'colonna siriana' allarme l'Ue: retate a Parigi e Bruxelles" e, a pagg. 1-13, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "Uno, cento, mille Mehdi : così da Damasco Al Qaeda prepara l’assalto all’Europa". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo "Quel colpo annunciato di Al Qaeda".



Sul luogo delle strage di Bruxelles

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Paolo Levi - La  'colonna siriana' allarme l'Ue: retate a Parigi e Bruxelles


Paolo Levi

Maxi-retata europea contro le filiere dell'estremismo islamico. Cinque uomini sono stati arrestati ieri nella regione di Parigi, nel sud della Francia, e nei pressi di Bruxelles, nel quadro delle indagini sul reclutamento di giovani occidentali per la jihad in Siria. «Non bisogna lasciare alcuna chance a questi terroristi», ha commentato il ministro francese dell'Interno Bernard Cazeneuve, che per primo ha dato la notizia degli arresti, lodando l'efficacia della «caccia totale» portata avanti dagli inquirenti. I cinque uomini - di un'età compresa tra i 18 e i 30 anni - sono accusati di essere coinvolti, a livelli diversi, in un gruppo organizzato che individuava ragazzi pronti a imbracciare le armi in nome dell'Islam radicale e li aiutava a raggiungere i gruppi combattenti in Siria. Per individuarli, gli inquirenti hanno seguito una delle loro potenziali reclute, un frequentatore abituale degli ambienti musulmani radicali intenzionato a partire per la «guerra santa». Secondo fonti giudiziarie, non ci sarebbe un legame diretto trai fermi di ieri e la strage al museo ebraico di Bruxelles. Anche se l'autore reo confesso di quel massacro, Mehdi Nemmouche, arrestato venerdì scorso a Marsiglia con revolver e kalashnikov, ha soggiornato oltre un anno in Siria. E neanche gli arresti di ieri sono bastati a zittire le polemiche sorte intorno al suo fermo. Nemmouche era stato a più riprese segnalato come pericoloso, finendo addirittura schedato dai servizi segreti, ma nessuno è stato in grado di fermarlo. Sotto accusa è finita in particolare la mancanza di coordinamento fra servizi segreti e forze di sicurezza europee e mediorientali. Il killer ventinovenne era infatti stato segnalato come «islamista radicale» alla sua uscita dalle prigioni transalpine, nel dicembre 2012, ma era riuscito senza particolari difficoltà a recarsi a Bruxelles e da lì volare in Libano, via Londra, per poi spostarsi indisturbato prima nel Sudest asiatico e poi in Turchia. Solo diversi mesi dopo, a fine marzo 2013, si riaccendono i riflettori su di lui: al suo rientro in Europa, dalla Germania, l'insolito itinerario insospettisce i doganieri tedeschi, che lo segnalano come elemento sospetto ai servizi francesi. Il suo nome finisce così schedato in categoria «S», «persona da sorvegliare», ma ciononostante l'uomo riesce a sparire dai radar, ricomparendo solo la scorsa settimana, per compiere la strage di Bruxelles. «E il tipico esempio di ciò che temevamo. Un individuo legato a una delle due principali organizzazioni armate in Siria, che agisce solo o in modo programmato, per organizzare un attentato al suo ritorno», ha osservato il coordinatore antiterrorismo dell'Ue, Gilles de Kerchove, secondo cui la «jihad in Siria è diventata la principale fonte di preoccupazione dell'intelligence mondiale».

LA STAMPA - Domenico Quirico -  Uno, cento, mille Mehdi : così da Damasco Al Qaeda prepara l’assalto all’Europa


Domenico Quirico  Jihadisti in Siria


I compagni di Mehdi Nemmouche, il jihadista francese che ha seminato la morte al museo ebraico, li ho incontrati in Siria, due anni fa. Eravamo entrati in un edificio bombardato, lo scheletro a nudo era pieno di chiarore e di calcinacci e tremava come un battello. Ci arrampicammo nella sala di quella casa della quale tutto il mistero era svanito e che era peggio che vuota. Lasciava vedere dei residui di eleganze e di lusso: un bell’armadio mal connesso che si putrefaceva, come dissepolto, un piancito incipriato di bianco cosparso di piatti rotti, di libri rivoltati e di frammenti fragili che a calpestarli gridavano.
Attraverso la finestra dai vetri rotti una tenda impiccata ad un angolo si dibatteva come un pipistrello. Un mondo di rumori nasceva in lontananza. Colpi di fuoco si avvicinavano, si moltiplicavano da tutte le parti, brontolii di mortaio dei regolari che erano a non più di cento metri, oltre la trincea di rovine, si estendevano sotto i nostri piedi e sopra la nostra testa.
I cinque ragazzi erano arrivati in moto, rombando, tra i ruderi. Non le moto siriane stile Anni Cinquanta, con il fregio dell’aquila sul paraurti, moto da cross giapponesi, nuove di zecca. Eran vestiti di nero, alcuni con il turbante, la divisa dei gruppi radicali, le armi le tenevano in spalla negligentemente, come se la guerra fosse lontana. Mi accorsi che non erano siriani quando li sentii parlar tra loro francese, il francese imbastardito, un po’ aspro, delle «banlieues». «Attenzione! il passaggio scoperto…»: mi avvertì con un sorriso gentile quello che sembrava il capo ed era più giovane degli altri. Un muro di calcinacci ci si parava davanti; nessuna via di uscita. La trincea naturale cessava improvvisamente per riprendere, sembrava, più lontano.
«E allora?» chiesi macchinalmente. Mi spiegò sempre sorridendo come se aiutasse un bambino: «Ti chinerai e striscerai». I ragazzi francesi prendevano lo slancio, a uno a uno, e si gettavano di corsa nella zona scoperta, e gli altri li incitavano come fosse un gioco, sfidare il tonitruare dei mortai dirompente e abbagliante. Mi decisi attaccandomi con accanimento alle tracce di un corpo che mi correva davanti, il giovane comandante. E mi ritrovai al riparo.
Il ragazzo si mise a ridere: «Per stavolta non siamo morti!». Mi raccontò mentre avanzavamo l’uno dietro l’altro nella strettezza del solco scavato in profondità tra le macerie, loro anfananti sotto il peso delle armi, mi raccontò che venivano tutti da Tolosa, lo stesso quartiere, la stessa periferia. Una piccola banda di volontari. Il rumore della battaglia si perdeva, ora, come si perdono in fondo a un pozzo suoni venuti dalla profondità della terra: lì c’era il mondo della guerra e vi restavano dentro come entro un tepore. Era quello che quei ragazzi erano venuti a cercare. La guerra, la morte, vi si adattavano per istinto come ad una amicizia improvvisa.
«Perché siamo venuti qui? Quando i nostri amici ci hanno raccontato su Facebook che gli sbirri di Bashar uccidevano le donne… capisci? Era come se avessero cercato di uccidere mia madre o mia sorella...».
Non era passato, come Mehdi, attraverso la malavita, non era stata la galera la sua scuola di estrema redenzione. Il nonno, immigrato algerino, lavorava come operaio, era lui che aveva ottenuto la cittadinanza francese, il passaporto per l’eguaglianza. Le laicissime scuole francesi, il bac, e poi si era trovato senza denaro, munito solo di diplomi senza valore. Davanti ai suoi ventiquattro anni e alla Siria in guerra. Fattorino, commesso, poi nulla. La moschea quella sì, e il predicatore che gridava: «In Siria c’è il jihad, i buoni musulmani muoiono, che fate qui, voi, in questa terra di senza dio?».
Tutto lo precipitava verso l’azione, la speranza di un mondo diverso, la possibilità di mangiare, sia pur miseramente (la sua brigata era austera), la soddisfazione dei suoi odi, del suo pensiero, del suo carattere. L’azione dava il senso alla sua solitudine. Assicurano che di ragazzi così, francesi, tra i 40 mila «volontari» stranieri, ce ne siano almeno ottocento: e poi gli altri, tedeschi, inglesi belgi… Nel loro rifiuto di quella che noi abbiamo chiamato integrazione, e non era niente, è la prova che siamo già sconfitti. Il vulcano siriano non è la causa, è solo lo strumento. Portano questi ragazzi europei (e come non chiamarli così?) la propria morte come un feto. Qualcuno sta già lavorando per farli tornare. Per scagliarceli contro.
«Mi hanno addestrato a fare la guerra, - mi osservava con una indefinibile espressione - so smontare un kalashnikov e rimontarlo a occhi chiusi, al buio, so maneggiare un lanciagranate... Ne arriveranno altri come noi, tanti. Uno degli impegni che prendiamo arruolandoci è quello di convincere i nostri amici, in Francia, a imitarci. E’ facile con Internet!».
Quello che mi colpì è come raccontavano di qualcuno di loro che era stato ucciso, la parole non esprimevano emozione. Eppure sapevano che i loro capi li usavano come carne da cannone. Si sceglie, si combatte, gli amici muoiono, moriamo noi stessi. Che cosa vuol dire per noi esser pronti a morire quando la morte è ancora lontana? E invece là, in Siria, per loro… la morte si fa di colpo presente, chiede il suo pedaggio, ha bisogno anche del loro sangue. Guardano le vite come se stessero dall’altra parte.
Sono vittime di chi ha montato un lercio ingranaggio dell’odio. Abu Bakr Al Baghdadi, l’emiro dell’Esercito del levante, vuole diventare il capo di quella che noi continuiamo a chiamare Al Qaeda e che è il «Jihad globale». Per soppiantare il declinante Al Zawahiri monterà un undici settembre europeo. I musulmani del vecchio continente, azzannati dalla crisi economica e dal montare delle xenofobie, sono le sue reclute perfette; non più gli untorelli di Bin Laden ma sperimentati combattenti. Il Jihadistan nell’Est della Siria è più pericoloso del remoto Afghanistan talebano: perché è a due passi da noi. E quei ragazzi torneranno.

CORRIERE della SERA  - Stefano Montefiori - Quel colpo annunciato di Al Qaeda

                
    Stefano Montefiori

« II rischio di un undici settembre europeo è reale», dice Jean-Pierre Filiu, esperto di islam e docente a Sciences Po, a Parigi. Dopo i massacri compiuti due anni fa a Tolosa da Mohammed Merah, la strage al museo ebraico di Bruxelles a opera di Mehdi Nemmouche —francese di origine algerina reduce dalla Siria — potrebbe segnare l'inizio di una nuova stagione terroristica. Se i responsabili degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono avevano ricevuto ordini e addestramento dall'Afghanistan, il caos siriano è la base per le nuove reclute dell'estremismo islamico. E se Al Qaeda è indebolita dall'uccisione di Bin Laden, il nuovo gruppo emergente è l'Isis (Stato Islamico dell'Iraq e del Levante) guidato da Al Baghdadi, che dalla Siria contende a Al-Zawahiri, l'ex braccio destro di Osama, l'egemonia sul terrorismo internazionale. «Per affermare la sua nuova potenza Al Baghdadi deve organizzare un attentato spettacolare in Europa, cosa che ad Al Queda non riesce da un decennio» e scatenare una guerra tra estremisti islamici e populisti islamofobi, ha detto Filiu a Libération. All' Occidente il difficile compito di combattere in Siria, insieme, il dittatore Bashar Al Assad e i jihadisti dell'Isis.

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