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Il Giornale - Correire della Sera - L'Unità - Avvenire Rassegna Stampa
03.06.2014 Accordo Fatah-Hamas, la reazione di Bibi Netanyahu: 'Il prossimo razzo che arriverà su Israele, ne sarà responsabile Abu Mazen'
Analisi di Fiamma Nirenstein e Davide Frattini, la nostre critiche al quotidiano del PD e a quello cattolico

Testata:Il Giornale - Correire della Sera - L'Unità - Avvenire
Autore: Fiamma Nirenstein - Davide Frattini - la redazione - Riccardo Redaelli
Titolo: «Hamas e Fatah insieme al governo. E Israele s'infuria - L' unità palestinese può avere successo se le parti rinunciano alla violenza - Ramallah, palestinesi riuniti in un unico governo - Un segnale incoraggiante sul cammino della pace»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 03/06/2014, a pag.15, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo  "Hamas e Fatah insieme al governo. E Israele s'infuria" e dal CORRIERE della SERA, a pag. 26 l'editoriale di Davide Frattini dal titolo "L' unità palestinese può avere successo se le parti rinunciano alla violenza", Dall' UNITA' ,  a pag. 10, riprendiamo l'articolo dal titolo "Ramallah, palestinesi riuniti in un unico governo", da AVVENIRE, a pag.2, l'editoriale di Riccardo Redaelli dal titolo "Un segnale incoraggiante sul cammino della pace", preceduti da un nostro commento. 
Fiamma Nirenstein e Davide Frattini ricordano la dichiarazione dell'ex primo ministro di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, secondo il quale l'accordo con Fatah permetterà di   
"perseguire la resistenza in tutte le sue forme", cioé il terrorismo.
Fiamma Nirenstein ricorda inoltre che "
Hamas è nella lista delle organizzazioni terroristiche, ha nella sua carta istitutiva la promessa di uccidere tutti gli ebrei e di stabilire il califfato universale, ha inondato di terroristi suicidi Israele, e durante la guerra con Fatah ha compiuto crimini anche contro Fatah".
Tutte circostanze che, come sottolineato da Benjamyn Netanyahu, rendono  l'accordo Fatah-Hamas un ostacolo ad ogni accordo di pace con Israele.

Benjamin Netanyahu
Benjamyn Netanyahu



Ismail Haniyeh              Razzi kassam da Gaza                 

Ecco gli articoli di Fiamma Nirenstein e Davide Frattini:

IL GIORNALE
  - Fiamma Nirenstein - Hamas e Fatah insieme al governo. E Israele s'infuria


Fiamma Nirenstein

Gerusalemme. La cravatta è una gran cosa: rende presentabili anche i peggiori terroristi. E così ieri, alla Mukata, i 17 nuovi ministri definiti "tecnocratici" del governo Fatah-Hamas, non si distinguevano gli uni dagli altri e da qualsiasi altro politico nel mondo, tutta gente per bene. Abu Mazen appariva gioioso che fosse stata posta fine a una rottura "che tanto danno ha portato al popolo palestinese", le varie dichiarazioni ribadivano la giornata storica dopo sette anni di aspra divisione.
Abu Mazen, cercando una risposta alle preoccupazioni americane espresse da una telefonata di Kerry, ha detto che gli accordi con Israele verranno rispettati, come lo scopo di uno Stato nei confini del '67. Ma l'ex primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh ha ribadito il concetto a modo suo, anche lui molto contento della raggiunta unità perchè si continuerà a "perseguire la resistenza in tutte le sue forme" (ovvero, secondo la tradizione, si deve intendere, con attacchi terroristi e lanci di missili da Gaza) ha anche detto che adesso le Brigate Izz ad Din al Qassam, ovvero la milizia armata di Hamas "diventa un vero esercito".
Un profondo disaccordo dell'ultima ora delle due parti sulla scelta di Abu Mazen di abolire il ministero per i prigionieri, è stato affannosamente superato, dopo che il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri aveva esplicitato che si trattava di un vero tradimento di coloro che dedicano tutta la loro vita a Dio, e senza quel ministero l'accordo era finito. Il bandolo della matassa l'ha sciolto Abu Mazen incaricando del compito il primo Ministro Rami al Hamdallah. Così oggi il governo è stato varato nella prospettiva di elezioni, che dovranno aver luogo nel 2015.
Le parti hanno accettato di riaccoppiarsi per motivi diversi, alla base del quale c'è tuttavia la necessità, grande molla della storia: Hamas dopo la sconfitta in Egitto dei Fratelli Musulmani di cui fa parte, è considerato un nemico dal generale Sisi dopo che l'ha abbandonato anche il solido sostegno di Assad, di cui era ospite con l'efficiente e doviziosa sede di Damasco. Il suo nesso con l'Iran è sempre attuale, ma indebolito com'è e anche minacciato al suo interno dai più svariati gruppi che scorrazzano per Gaza, deve sostenerlo con una politica attiva, che invogli gli investimenti jihadisti. Essenziale anche il fatto che da mesi i dipendenti militari e civili non vedono lo stipendio. Tutto rendeva necessario un cambio di politica.
Per Abu Mazen, la mossa di avvicinamento è un gesto che gli consente di galleggiare su un'opinione pubblica sempre più delusa dai suoi fallimenti, e molto critica dei suoi rapporti con Israele egli USA. Hamas è forte nell'Autorità palestinese. Abu Mazen ruppe i colloqui di pace in aprile, prima dei nove mesi fissati, con l'accordo con Hamas per dimostrare con un'alzata di capo di essere un grande leader. Così lavava l'offesa che secondo lui aveva subito da Netanyahu per il rifiuto di liberare altri prigionieri dopo che Abu Mazen aveva, prima, compiuto passi unilaterali all'ONU. Gli USA al momento restarono stupefatti, Hamas è nella lista delle organizzazioni terroristiche, ha nella sua carta istitutiva la promessa di uccidere tutti gli ebrei e di stabilire il califfato universale, ha inondato di terroristi suicidi Israele, e durante la guerra con Fatah ha compiuto crimini anche contro Fatah. Abu Mazen certo ricorda quando i suoi uomini venivano gettati dai tetti di Gaza. Kerry domenica ha telefonato di nuovo a Abu Mazen, esprimendogli la sua preoccupazione, ma il portavoce del governo ha subito aggiunto obamianamente che "gli USA monitoreranno la situazione da vicino e giudicheranno qualsiasi governo in base alla sua composizione, alle sue politiche, alle sue azioni".
Di nuovo il tono americano fa la realtà: si crea qui un governo che non potrà accedere a nessun processo di pace, la cosa che sta tanto a cuore a Kerry e al suo presidente. Netanyahu ha annunciato intanto che finchè Hamas è nel governo non si parla di trattative, e che non capisce perchè l'Europa, che ha condannato il terrorismo di Bruxelles parli "quasi amichevolmente" di un governo in cui siedono terroristi comprovati. "Adesso, anche se tornassimo ai confini del 67 e smantellassimo gli insediamenti, il conflitto non potrà finire perchè la sua radice risiede nella mancanza di volontà di riconoscere l'esistenza stessa di Israele".

CORRIERE della SERA
- Davide Frattini - L' unità palestinese può avere successo se le parti rinunciano alla violenza



Davide Frattini


Dopo sette anni sono bastati dieci minuti per far giurare tutti i neo-ministri e permettere ad Abu Mazen di proclamare: «Finiscono le divisioni che hanno causato danni catastrofici alla nostra causa nazionale». I palestinesi hanno un nuovo governo che per metà è come quello vecchio, cambia nel nome e negli intenti: rappresenta la ritrovata unità tra il Fatah del presidente e Hamas che dal 2007 ha dominato la Striscia di Gaza.
La concordia è ancora fragile, hanno litigato fino all’ultimo, rischiano di non smettere. Il premier Rami Hamdallah, il professore di linguistica già a capo del governo uscente, è un tecnocrate come gli altri sedici componenti, compresi i quattro che vivono a Gaza, che sono stati indicati da Hamas e non hanno potuto partecipare all’insediamento perché Israele non ha concesso i lasciapassare.
Tecnocrati senza dichiarate appartenenze di partito o fazione per evitare le sanzioni internazionali. A Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, non basta e ha già dichiarato di non voler cooperare con il nuovo esecutivo: i negoziati sono stati sospesi alla fine di aprile proprio dopo l’annuncio dell’intesa tra i gruppi palestinesi. Gli europei e gli americani aspettano, per ora non sembra che taglieranno i contatti (e le linee d’aiuti).
Abu Mazen deve riuscire a muoversi con cautela tra le minacce di Netanyahu e le dichiarazioni dei leader di Hamas. Ismail Haniyeh, appena lasciato il posto di primo ministro a Gaza, annuncia: «La resistenza continuerà, abbiamo un esercito pronto a combattere». Subito gli israeliani ricordano che fin dagli accordi di Oslo la prospettiva è quella di una Palestina demilitarizzata: «Come la mettiamo con i 12 mila missili accumulati nella Striscia?». È improbabile che il successore di Yasser Arafat voglia affrontare con le armi le brigate di Hamas (la divisione è cominciata con una guerra interna, vinta dai fondamentalisti), è però consapevole che anche la comunità internazionale pretende la rinuncia alla violenza. Se gli estremisti continueranno a lanciare razzi contro Israele, rischiano questa volta di far saltare pure la ritrovata unità palestinese.

L'UNITA' omette completamente di menzionare il problema del terrorismo di Hamas: stando alla cronaca del quotidiano del PD sembrerebbe che siano solo i "nazionalisti" israeliani a definire Hamas terrorista e che le azioni militari in risposta ai lanci di razzi siano compiute per dimostrare questo assunto e non per autodifesa. Leggiamo infatti sul quotidiano del PD:  
"Un ministro nazionalista, Uri Ariel, del partito «Focolare ebraico», ha intanto pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver costituito «un governo terroristico assieme con assassini», ossia Hamas. A poche ore dal varo del nuovo governo Israele ha infatti lanciato due raid aerei nel centro e nel sud della Striscia di Gaza, in risposta al lancio di razzi dall'enclave palestinese"
Su AVVENIRE Riccardo Redaelli afferma la necessità che Hamas pervenga al  riconoscimento di Israele e al "rifiuto netto della violenza come strumento di lotta politica", perché    "ha portato solo frutti avvelenati per la popolazione palestinese". Non solo non formula un'esplicita condanna morale del terrorismo, indipendentemente dalla sua efficacia nella "lotta politica" contro Israele, ma attribuisce ogni responsabilità negativa a quest'ultimo. Il rifiuto di negoziare con un governo che include un gruppo terrorista votato al genocidio antiebraico come Hamas è  liquidato come pregiudiziale, e  come l'ultimo di una serie di ingiustificati "no". Dei "no" imputati da Redaelli allo Stato ebraico, in realtà, alcuni sono venuti solo dopo i "no" dell'Anp (per esempio, sotto il governo Netanyahu l'espansione degli insediamenti è stata bloccata per 10 mesi, durante i quali l'Anp si è rifiutata di trattare) altri, come le riserve su un accordo sul nucleare iraniano che non fornisce garanzie credibili, dovrebbero apparire a ogni osservatore imparziale pienamente giustificati  dal diritto che Israele ha di difendersi. 

Ecco gli articoli:

L'UNITA'  - Ramallah, palestinesi riuniti in un unico governo



Il nuovo esecutivo, appoggiato da Hamas e al-Fatah, mira a preparare le elezioni del 2015 Due debolezze fanno una forza. Almeno è la speranza di «Mahmoud il moderato». Ha giurato di fronte al presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nella Muqata di Ramallah il nuovo governo di unità nazionale palestinese, presieduto da Rami Hamdallah. «Oggi con la formazione di un governo di consenso nazionale - ha detto Abu Mazen - annunciamo la fine di quelle divisioni in seno al popolo palestinese che hanno molto danneggiato la nostra causa nazionale».
Road Map interna -  L'esecutivo nasce dopo la riconciliazione fra Hamas e al-Fatah ed è appoggiato dall'esterno da entrambi. Secondo le prime informazioni, i ministri incaricati da Hamdallah sono 17,  5 di questi di Gaza, mentre Hamdallah avrà anche il portafoglio degli Interni. Hamas si è felicitato per la formazione del nuovo governo palestinese.  «Il governo dell'intero popolo palestinese», afferma il suo portavoce Sami Abu Zuhri. Un altro portavoce di Hamas ha detto che quella di ieri è per gli abitanti della Striscia «una giornata di gioia». Durante la trasmissione televisiva del giuramento del nuovo governo - che mette fine ad una scissione politica fra Gaza e la Cisgiordania durata sette anni - molti caffè della città erano pieni di avventori, richiamati dall'evento. II nuovo governo è mirato a porre fine a sette anni di separazione, e anche di scontro armato, tra le due fazioni rivali, Hamas e al-Fatah, e dovrebbe preparare le elezioni del 2015. II conflitto tra i due schieramenti palestinesi iniziò nel 2007, quando Hamas prese il potere nella Striscia di Gaza, lasciando al-Fatah confinato in Cisgiordania. Da allora le due parti hanno governi separati nei rispettivi territori. In questo tuttavia i due schieramenti, entrambi in difficoltà, sono apparsi più disposti al dialogo: Hamas è in gravi difficoltà economiche a causa del blocco imposto a Gaza da Israele; l'Anp invece, dal canto suo, ha bisogno di una nuova strategia politica dopo il crollo dei negoziati con Israele ad aprile. Nonostante Hamas non siederà nel nuovo governo, ha acconsentito a sostenerlo, ed è questo che solleva le preoccupazioni dello Stato ebraico. Abbas vuole che sia Gaza sia la Cisgiordania facciano parte di un futuro Stato palestinese e il conflitto interno è uno dei principali ostacoli a un eventuale accordo di pace. Dopo il giuramento il premier israeliano Ben-yamin Netanyahu ha convocato il Consiglio di sicurezza del proprio governo.
L'ira di Gerusalemme -  Un ministro nazionalista, Uri Ariel, del partito «Focolare ebraico», ha intanto pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver costituito «un governo terroristico assieme con assassini», ossia Hamas. A poche ore dal varo del nuovo governo Israele ha infatti lanciato due raid aerei nel centro e nel sud della Striscia di Gaza, in risposta al lancio di razzi dall'enclave palestinese. L'altro ieri il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva telefonato al presidente dell'Anp per ribadirgli la «preoccupazione» di Washington per la presenza di Hamas nel nuovo governo di coalizione palestinese. Negli ultimi giorni i leader palestinesi hanno lanciato messaggi «rassicuranti» ai governi occidentali che, schierandosi con Israele, avevano definito preoccupante un'alleanza di governo Fatah-Hamas. Il presidente Abu Mazen in particolare avrebbe garantito agli Usa, che mediano tra israeliani e palestinesi, che il nuovo esecutivo rispetterà le tre condizioni per il via libera internazionale a qualsiasi governo palestinese: fine della lotta armata, riconoscimento di Israele e accettazione degli accordi firmati in passato.

AVVENIRE - Riccardo Redaelli - Un segnale incoraggiante sul cammino della pace


Riccardo Redaelli

La nascita del nuovo governo palestinese sembra frutto più della debolezza reciproca che di vero convincimento. Ma è comunque un accordo che chiude troppi anni di contrasti e scontri fratricidi fra le fazioni e che permette la nascita di un governo di consenso nazionale fra al-Fatah e Hamas all'interno dei territori controllati dall'Autorità nazionale palestinese. Le differenze di visione politica e la rivalità fra le due organizzazioni rimangono certo molto forti; ma era evidente che entrambe dovevano cercare una via di uscita alla crisi del processo di pace, alla percezione di una crescente fragilità palestinese nelle trattative, alla corruzione che ha minato l'immagine dei governanti di Ramallah e all'isolamento di Hamas dopo la caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto e al raffreddamento dei rapporti con l'Iran con lo scoppio della guerra civile in Siria. Difficile prevedere se, come auspicano molti, questo nuovo governo permetterà un'evoluzione positiva di Hamas verso l'accettazione dello Stato di Israele e il rifiuto netto della violenza come strumento di lotta politica (che ha portato solo frutti avvelenati per la popolazione palestinese). O se al contrario porterà a un irrigidimento delle posizioni negoziali dell'Autorità nazionale, un'eventualità che ne indebolirebbe ancor più la sua posizione, già fragilissima, a livello internazionale. Per ora, sia Stati Uniti sia Unione Europea mantengono un atteggiamento non pregiudiziale, riservandosi di giudicare il nuovo governo dalle sue azioni. Non così Israele: Netanyahu ha condannato nettamente l'accordo, rifiutandosi di riprendere le trattative di pace con i palestinesi, dato che considera Hamas un'organizzazione terroristica a cui non può essere concessa alcuna legittimità. In realtà, è da troppo tempo che Israele sembra capace di pronunciare solo dei "no". No alle trattative con l'Iran con il nucleare, no allo stop ai nuovi (illegittimi) insediamenti ebraici nei territori occupati, no a ogni apertura ad Hamas. Sembra quasi che la destra israeliana tema ogni vera trattativa e trovi giustificazioni per trincerarsi in una posizione di chiusura. Senza capire che rinviare continuamente il problema del ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967, per quanto intricato e spinoso esso possa essere, non rafforza Israele. Ne perpetua anzi la logorante condizione di eccezionalità e di emergenza. In una situazione di questo tipo, quindi, difficile immaginare che questo nuovo governo di unità nazionale produca nell'immediato effetti positivi sul processo di pace. Ma sarebbe profondamente sbagliato sminuirne troppo la novità, o rifiutarsi di vederne i possibili frutti futuri, che necessariamente passano attraverso un'evoluzione di Hamas come attore politico che riconosce - ed è riconosciuto - da tutti gli attori regionali e internazionali. Quasi a indicare questo cammino, giunge il frutto rapidamente germogliato dall'offerta, coraggiosa e sorprendente, fatta da papa Francesco nel suo recente viaggio in Terra Santa. Ossia l'incontro, domenica prossima in Vaticano, fra i presidenti israeliano e palestinese, Shimon Peres e Abu Mazen. Un incontro di preghiera, non un vertice diplomatico. Francesco, nel suo discorso all'arrivo ad Amman, lo aveva detto: la pace non si può "comperare", ma richiede l'impegno di tutti noi, che dobbiamo divenire "artigiani della pace". E i fallimenti infiniti nel costruirla partendo dagli accordi internazionali lo dimostrano: è il lavoro paziente dell'artigiano dei cuori, che intaglia, smussa e trasforma la diffidenza e l'odio in un sentimento diverso, l'unica via per permettere la convivenza di popoli ostili in un territorio piccolo come la Terra Santa. La preghiera, pensa qualcuno, non disegna confini sulle mappe. Ma pregare assieme è il primo passo per saper vivere accanto gli uni agli altri. Un insegnamento di cui sia israeliani sia palestinesi hanno un disperato bisogno.

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