Siria, armi chimiche: chi le ha usate e chi le usa tuttora sospetti sugli islamisti di al-Nusra, nuove accuse al regime di Assad
Testata:La Repubblica - Il Foglio Autore: Seymour Hersh - Daniele Raineri Titolo: «Siria. I segreti della guerra chimica - Pentagono e leadership civile litigano sui droni e sulla strategia in Siria»
Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/04/2014, in prima pagina e a pag. 28, l'articolo di Seymour Hersh dal titolo "Siria. I segreti della guerra chimica" e dal FOGLIO , in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Pentagono e leadership civile litigano sui droni e sulla strategia in Siria".
Seymour Hersh, considerato il campione del giornalismo investigativo, è in realtà poco affidabile. Molti dei suoi presunti scoop si sono rivelati inconsistenti, perché non basati su prove e su fonti attendibili, ma su ipotesi non verificate. Riprendiamo comunque il suo articolo, per la rilevanza dell'ipotesi che vi viene avanzata: la responsabilità del gruppo islamista al-Nusra, appoggiato dalla Turchia di Erdogan, e non delle forze del regime di Assad, nell'attacco chimico dell'agosto 2013 a Damasco. Che questa ipotesi sia confermata o meno, secondo altre informazioni, provenienti da "fonti militari israeliane"e riportate nell'articolo di Raineri pubblicato dal Foglio, il governo siriano starebbe comunque utilizzando armi chimiche contro i ribelli, a dispetto degli accordi con la comunità internazionale, con i quali si sarebbe impegnato a disfarsi del suo arsenale.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Seymour Hersh: "Siria. I segreti della guerra chimica"
S.Hersh Recep Tayyp Erdogan
Terroristi siriani di al Nusra
Dopo l’attacco chimico a Damasco, l’agosto scorso, Obama stava per lanciare un raid aereo alleato contro la Siria, come punizione per avere infranto la “linea rossa” sull’uso delle armi chimiche. Poi, di colpo, il raid fu sottoposto all’approvazione del Congresso, infine annullato dopo la rinuncia di Assad all’arsenale chimico, concordata dalla Russia. Perché Obama s’è tirato indietro? I militari Usa erano convinti che la guerra fosse ingiustificata e potenzialmente disastrosa. Il ripensamento di Obama si fonda sulle analisi condotte nel laboratorio della Difesa britannica su un campione di sarin usato nell’attacco del 21 agosto. Il campione non corrispondeva ai lotti dell’arsenale chimico siriano noto. L’accusa contro la Siria non reggeva, fu informato lo Stato maggiore Usa. Da mesi i militari e l’In-telligence osservavano con preoccupazione l’ingerenza dei Paesi confinanti, in particolare della Turchia, nella guerra siriana. Che il premier Erdogan sostenesse il Fronte al-Nusra, una fazione jihadista dell’opposizione, e altri gruppi islamisti, era noto. «Sapevamo che alcuni nel governo turco credevano di prendere Assad per le palle, inscenando un attacco col sarin in Siria», dice un ex alto funzionario della Intelligence Usa, aggiornato sui dati attuali. «Così avrebbero costretto Obama a intervenire, memore della “linea rossa”». Lo Stato maggiore inoltre sapeva che non era vero quel che l’amministrazione Obama sosteneva in pubblico, cioè che soltanto l’esercito siriano possedesse il sarin. Le Intelligence americana e britannica sapevano dalla primavera del 2013 che gruppi di ribelli in Siria stavano fabbricando armi chimiche. Il 20 giugno la Dia americana preparò un’informativa top secret: al-Nusra aveva una cellula dedicata alla produzione di sarin; era il “complotto al sarin più sofisticato sin da quelli di al Qaeda prima dell’11 settembre”. Il rapporto attingeva a dati segreti di molte Intelligence: “Mediatori in Turchia e Arabia Saudita tentavano di ottenere grandi quantità di precursori del sarin, decine di chilogrammi, verosimilmente per la produzione su larga scala in Siria”. In maggio una decina di membri di al-Nusra furono arrestati in Turchia. Secondo la polizia locale erano in possesso di due chili di sarin. Cinque tornarono in libertà. Gli altri, tra cui il capo, Qassab, in attesa di processo. Stando alla Dia, gli arresti sono la prova che al Nusra stava espandendo l’accesso alle armi chimiche. Qassab s’era “auto identificato come membro di al-Nusra, legato a Abd-al-Ghani, l’emiro per la produzione militare”. Qassab lavorava con Unalkaya, impiegato della Zirve Ezport, una ditta turca. Nel piano di Abd-al-Ghani i due dovevano “perfezionare un sistema per produrre sarin, poi recarsi in Siria ad addestrare altri per avviare la produzione su larga scala”. Una serie di attacchi chimici in marzo e aprile 2013 è stata indagata da una missione speciale dell’Onu. Una persona ben informata sull’attività dell’Onu in Siria, mi riferisce di prove di un collegamento tra l’opposizione siriana e il primo attacco con il gas, il 19 marzo a Khan Al-Assal, vicino ad Aleppo. “È chiaro che i ribelli hanno usato il gas. Non è stato rivelato al pubblico perché nessuno voleva che si sapesse”, dice. Dopo l’attacco d’agosto, Obama ordinò al Pentagono di individuare bersagli da bombardare. La mia fonte dice che «la Casa Bianca bocciò 35 obiettivi perché non abbastanza “dolorosi” per il regime di Assad”. Erano siti militari, nessuna infrastruttura civile. Su pressione della Casa Bianca, il piano Usa si trasformò in un “monster attack”: due squadroni di bombardieri B52 furono spostati in basi vicine alla Siria, e sottomarini e navi equipaggiati con missili Tomahawk. Anche Gran Bretagna e Francia avrebbero partecipato. A fine agosto Obama aveva dato allo Stato maggiore un termine preciso per l’attacco. «L’ora H doveva scattare il lunedì mattina (2 Settembre), un assalto massiccio per neutralizzare Assad». Fu grande, perciò, la sorpresa quando Obama il 31 agosto sospese l’attacco e si rivolse al Congresso. Il presupposto di Obama — che solo l’esercito siriano fosse in grado di usare il sarin — stava sgretolandosi. L’intelligence russa aveva recuperato campioni di sarin nella Ghouta, li aveva analizzati e passati ai britannici. La Difesa britannica, nel comunicare quei risultati allo Stato maggiore Usa, stava di fatto dicendo agli americani: “Attenzione, ci hanno teso una trappola”, dice l’ex ufficiale di intelligence. (Questo chiarisce il lapidario messaggio di un alto ufficiale della Cia a fine agosto: “Non è stata opera dell’attuale regime siriano. Uk e Usa lo sanno”). L’attacco era questione di giorni, e gli aerei le navi e i sottomarini erano pronti. Responsabile dell’attacco era il generale Dempsey, capo dello Stato maggiore. Secondo l’ex ufficiale d’Intelligence, fin dall’inizio lo Stato maggiore dubitava che la Casa Bianca avesse solide prove a sostegno della responsabilità di Assad, come sosteneva. Chiese alla Dia e ad altre agenzie prove più consistenti. «Escludevano che la Siria avesse usato il gas nervino, infatti Assad stava vincendo la guerra». Il rapporto britannico spinse lo Stato maggiore ad esprimere al presidente una preoccupazione più seria: l’attacco sarebbe stato un atto ingiustificato di aggressione. Lo Stato maggiore ha convinto Obama a invertire la rotta. Il ricorso al Congresso si rivelò un vicolo cieco. «Il Congresso non gli avrebbe reso la vita facile», dice l’ex funzionario dell’Intelligence. «A differenza dell’Iraq, il Congresso sarebbe stato ferreo». Alla Casa Bianca erano disperati. «Così spuntò il piano B. Annullati i bombardamenti, Assad avrebbe firmato il trattato sulle armi chimiche, con la distruzione dell’arsenale sotto la supervisione Onu’. L’accordo mediato dalla Russia era già stato discusso da Obama e Putin tempo prima: nell’estate 2012. Pur avendo archiviato l’attacco, la Casa Bianca ha continuato a ripetere la versione addotta per l’intervento. «Non potevano ammettere: “ci siamo sbagliati”», dice l’ex agente d’Intelligence riferendosi ai vertici della Casa Bianca. Non è ancora affiorata alla luce l’intera portata della collaborazione Usa con la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar nel sostenere l’opposizione ribelle in Siria. L’amministrazione Obama non ha mai ammesso pubblicamente il proprio ruolo nella nascita della ”rat line” (“la linea dei topi” nel lessico della Cia), una “autostrada clandestina” verso la Siria. Autorizzata agli inizi del 2012, la “rat line” portava armi e munizioni all’opposizione in Siria dalla Libia attraverso la Turchia. Le armi sono finite in molti casi ai jihadisti, alcuni affiliati ad al-Qaeda. In gennaio è uscito un rapporto della commissione Intelligence del Senato Usa sull’attacco del 2012 al consolato americano e alla sede segreta della CIA a Bengasi, in Libia. Un allegato top secret parlava di un accordo segreto tra i governi di Obama e Erdogan. Riguardava la “rat line”. Turchia, Arabia Saudita e Qatar erano i finanziatori. La Cia con il sostegno dell’MI6, doveva recapitare in Siria le armi degli arsenali di Gheddafi. In Libia vennero stabilite varie società di facciata, alcune come enti australiani. Furono ingaggiati militari americani veterani, a volte ignari di chi fossero i veri datori di lavoro. L’operazione era guidata da Petraeus, allora direttore della Cia (un portavoce di Petraeus smentisce). Le Commissioni d’Intelligence e i leader del Congresso sono stati tenuti all’oscuro, violando la legge in vigore dagli Anni Settanta. La partecipazione dell’-MI6 ha consentito alla Cia di eludere la legge, definendo la missione un’operazione congiunta. «L’unica missione del consolato era fornire copertura al movimento di armi», dice l’ex agente d’Intelligence che ha letto l’allegato secretato. Dopo l’attacco al consolato, Washington ha bloccato di colpo il ruolo della Cia nel trasferimento di armi dalla Libia, ma la “rat line” ha continuato a funzionare. «Gli Usa non avevano più il controllo di quel che i turchi consegnavano agli jihadisti». NI poche settimane, circa 40 “manpads”, lanciamissili portatili antiaerea erano finiti nelle mani dei ribelli siriani. Al termine del 2012, l’Intelligence americana s’era convinta che i ribelli stessero perdendo la guerra. «Erdogan era incavolatissimo », dice l’ex funzionario d’Intelligence, «I soldi erano suoi e l’interruzione gli è parsa un tradimento ». Nella primavera del 2013, l’Intelligence Usa ha scoperto che il governo turco — tramite il Mit, il servizio segreto, e la Gendarmerie, organizzazione paramilitare di polizia — lavorava direttamente con i jihadisti di al-Nusra e i loro alleati per produrre armi chimiche. «Erdogan sapeva che se avesse smesso di sostenere i jihadisti, per lui tutto sarebbe finito. La sua speranza era provocare un evento che costringesse gli USA a intervenire». Un esperto di politica estera americana in contatto con funzionari a Washington e Ankara mi ha parlato di una cena organizzata da Obama per la visita di Erdogan nel 2013. I turchi insistevano che la Siria aveva superato la “linea rossa”, e protestavano contro la riluttanza di Obama. L’informazione viene alla mia fonte da Donilon, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale (poi confermata da un ex funzionario Usa). A un tratto Erdogan, era esasperato: «ha tirato fuori il dito medio e lo agitava davanti al presidente nella Casa Bianca». Allora Obama s’è rivolto a Fidan (il capo dei servizi turchi): «Sappiamo cosa state combinando con i radicali in Siria». Senza il sostegno Usa ai ribelli, dice l’ex funzionario, «il sogno di Erdogan di trasformare la Siria in uno stato vassallo sfuma, e secondo lui la colpa è nostra. Quando la Siria vincerà la guerra, lui sa che i ribelli probabilmente gli si rivolteranno contro. Rimarrà con migliaia di radicali fondamentalisti nel suo giardino». Un consulente dell’Intelligence Usa mi dice che poche settimane prima del 21 agosto ha visto un rapporto top secret preparato per Dempsey e il ministro della difesa Hagel. Avvisava che il governo turco riteneva «necessaria un’azione che innescasse un intervento militare americano». L’esercito siriano aveva la meglio sui ribelli, dice l’ex funzionario, e solo l’aviazione americana poteva capovolgere le sorti. In autunno, l’intelligence Usa «capì che la Siria non era responsabile dell’attacco chimico. Ma chi era l’autore allora? Il sospetto è caduto subito sui turchi, perché avevano tutto per farlo succedere». Le prove vennero da intercettazioni e altri dati raccolti relativi all’attacco del 21 agosto. «Ora sappiamo che si è trattato di un’azione segreta ideata da quelli di Erdogan per spingere Obama ad intervenire », dice l’ex funzionario d’Intelligence. «L’idea era di inscenare qualcosa di spettacolare, un attacco con il gas a Damasco o dintorni quando gli ispettori dell’Onu erano in Siria. I nostri vertici militari sono stati informati dalla Dia e altre agenzie di intelligence che il sarin è arrivato attraverso la Turchia — il che è possibile solo con il sostegno turco. I turchi hanno anche fornito l’addestramento su come produrre e maneggiare il sarin». Questo è stato confermato in gran parte dai turchi stessi, nelle conversazioni di giubilo intercettate subito dopo l’attacco. Senza una nuova politica di Obama, l’ingerenza della Turchia nella guerra civile siriana continuerà. Come impedirlo? «”Siamo fregati”, m’hanno risposto i colleghi», dice l’ex agente. La Turchia è un alleato Nato, e rivelare in pubblico il ruolo di Erdogan nell’attacco chimico sarebbe disastroso». I turchi ci direbbero: «È odioso che voi ci diciate cosa possiamo o no fare». ( Tratto da London Review of Books — il testo integrale è a http:// www. lrb. co. uk traduzione di Emilia Benghi)
Il FOGLIO - Daniele Raineri:"Pentagono e leadership civile litigano sui droni e sulla strategia in Siria"
Daniele Raineri
Dentro il governo americano c'è una spaccatura profonda tra civili e militari sui temi della politica estera, della lotta al terrorismo e della possibilità di intervenire contro il presidente siriano Bashar el Assad. Ne parlano il New York Times e il Wall Street Journal, citando due questioni separate. Il primo giornale scrive che l’Amministrazione Obama ha proibito al Pentagono – temporaneamente – di bombardare ancora in Yemen, dopo che in dicembre un drone ha colpito per errore un corteo matrimoniale scambiato per un convoglio di al Qaida. Le operazioni militari con i droni sul paese della penisola araba sono gestite dal Jsoc – il comando per le operazioni speciali – e partono da una base militare a Gibuti, sulla costa africana dirimpetto. Non si sa quando e se riprenderanno. L’Amministrazione però non ferma le operazioni con i droni della Cia. Gli aerei senza pilota dei servizi segreti – un’agenzia non-militare – continuano a decollare da una base segreta in Arabia Saudita e a colpire in Yemen. E’ esattamente l’opposto di quanto si diceva sarebbe accaduto un anno fa, quando fu annunciato che la guerra con i droni sarebbe stata trasferita dalla Cia al Pentagono. Lo stesso direttore dell’agenzia, John Brennan, disse che era un passo necessario per rispondere alle critiche pubbliche sulla guerra con i droni, considerata troppo opaca e senza un meccanismo chiaro di responsabilità, e alle critiche sulla trasformazione dei servizi segreti in un’agenzia paramilitare dopo l’11 settembre. Il governo Obama voleva dare un segnale di trasparenza e cambiamento rispetto al passato, invece i servizi segreti nel loro attuale assetto ibrido (quindi non soltanto raccolta d’informazioni) si stanno dimostrando ancora indispensabili per la politica estera. Nello stesso articolo si ricorda che il Pakistan ha detto al governo americano di poter tollerare i bombardamenti con i droni soltanto se gestiti dalla Cia (il New York Times è tradizionalmente più vicino ai servizi segreti che al Pentagono, nel senso che ha fonti più veloci e disponibili dentro l’intelligence). La seconda spaccatura è sulla Siria. Lunedì fonti della Difesa israeliana hanno confermato che l’esercito siriano ha di nuovo usato agenti chimici contro i ribelli – questa volta però non letali, ma soltanto incapacitanti – a Harasta, vicino Damasco, il 27 marzo. Il segretario di stato, John Kerry, vorrebbe che il Pentagono fosse più aggressivo sulla questione siriana e usasse le forze speciali per fornire addestramento e materiale bellico a gruppi scelti dell’opposizione – ed è appoggiato dall’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Samantha Power. Ma i militari nicchiano, dicendo che è necessario aspettare almeno che il governo siriano finisca di consegnare l’arsenale di armi chimiche – Damasco è molto in ritardo sui tempi previsti dall’accordo di settembre 2013. Negli incontri alla Casa Bianca il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo di stato maggiore, Martin Dempsey, resistono a ogni ipotesi di coinvolgimento maggiore nella crisi siriana, scrive il Wall Street Journal che ha sentito fonti in entrambi i campi. “Il disaccordo tra un dipartimento di stato falco e un Pentagono colomba è l’ultimo capitolo nell’agonizzante dibattito sulla Siria che va avanti da tre anni dentro l’Amministrazione”. Kerry sostiene che se avesse l’appoggio di un coinvolgimento militare americano, la sua attività diplomatica sarebbe più credibile. Così, invece, arranca. L’estrema e visibilissima riluttanza del Pentagono svuota di significato i suoi incontri con gli alleati e le minacce ai nemici. Il fatto che Assad ricorra di nuovo all’uso di sostanze chimiche, dopo la grande paura di uno strike americano alla fine di agosto 2013, potrebbe dare ragione a Kerry.
L’addestramento in Giordania
In questo momento anche la linea minimalista del governo americano sulla questione siriana – l’addestramento in piccoli numeri di ribelli siriani in una base in Giordania – è gestita dalla Cia, per la stessa ragione per cui anche il Pakistan vuole che la guerra con i droni sia gestita dall’intelligence: perché il governo di Amman teme che la presenza dei militari sarebbe troppo ingombrante e imbarazzante. Ma la Cia ha capacità di addestramento assai ridotte rispetto al Pentagono. Reuters ha scritto venerdì scorso che il programma di addestramento americano sta per espandersi. Secondo Charles Lister, analista del Brookings Doha Center, il numero di uomini addestrati ogni mese passerà da cento a seicento – ancora troppo pochi per uguagliare le fazioni ribelli più potenti (esclusi lo Stato islamico e la Jabhat al Nusra, che sono sulla lista dei gruppi terroristi). Twitter @DanieleRaineri