Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/02/2014, a pag. 1-41, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "In fila per mangiare: la fame come arma".
Giusta l'analisi di Davide Frattini, la conferma è sulla prima pagina della STAMPA che, pubblica la fotografia degli affamati in attesa del pane nel campo profughi di Yarmouk a sud di Damasco, capitale della Siria
Nella didascalia c'è la parola 'palestinese' senza specificare che il campo si trova in Siria. Il lettore comune, totalmente ignaro della geografia mediorientale, leggendo 'campo profughi palestinese' penserà immediatamente a Israele, mentre invece la condizione dei campi profughi palestinesi negli stati arabo-musulmani della regione è tragica non certo per colpa di Israele, ma per la precisa scelta attuata dai governi arabi di mantenere i profughi senza diritti, senza concedere cittadinanza, senza integrarli, usandoli come arma di delegittimazione contro lo Stato ebraico.
Una domanda: perchè le migliaia di funzionari Unrwa - l'agenzia Onu responsabile del perdurare nella scandalosa condizione di profughi - stanziati nella regione non si trasformano in volonterosi panettieri e vanno a svolgere le loro laute mansioni a Yarmouk ?
La didascalia della foto è "Il fiume di persone immortalato in una foto, scattata il 31 gennaio, ma diffusa ieri, nel campo profughi PALESTINESE di Yarmouk".
Ecco l'articolo di Davide Frattini:
Davide Frattini
La fame come arma, la fame per svuotare la pancia e la determinazione di chi chiedeva le riforme, se non la libertà. Il cibo come strumento di potere, come bastone per comandare a chi andranno distribuite le carote. La foto è stata scattata il 31 gennaio alla periferia di Damasco e solo ieri diffusa dall’Onu. Una folla di quelle che vengono chiamate bibliche, in questo caso la scena sarebbe tratta dal Libro dell’Apocalisse, aspetta di ricevere i pacchi di aiuto.
Il campo rifugiati di Yarmuk era abitato da 160 mila palestinesi prima del conflitto cominciato ormai tre anni fa. La maggior parte delle famiglie è scappata: chi ha potuto (privilegiato della disperazione) è diventato ancora una volta un rifugiato in un Paese straniero (il Libano, la Turchia, la Giordania), chi è stato troppo debole o sfortunato ha perso la casa senza riuscire a raggiungere un centro di accoglienza al di là della frontiera. Intrappolati nella violenza. Stremati e stritolati tra i soldati di Bashar Assad e i ribelli. Che si accusano reciprocamente di affamare i civili. La scena del Libro dell’Apocalisse sarebbe incentrata su due cavalieri: la Guerra e la Carestia.
A Yarmuk ci sono ancora 18 mila persone sotto assedio, le truppe lealiste giustificano la punizione collettiva con la presenza dei rivoltosi. Il regime sembra pronto a distruggere parti della sua stessa capitale — il campo è a pochi chilometri dal centro — pur di rimanere al potere.
I movimenti dei convogli umanitari sono complicati da pretesti burocratici, permessi respinti, procedure gestite dai ministeri. Lo ha spiegato Ben Parker, fino a febbraio dell’anno scorso alla guida della squadra di soccorso delle Nazioni Unite dentro la Siria, in un lungo articolo per la rivista Humanitarian Exchange: «La posizione ufficiale del governo di Damasco è che le organizzazioni di aiuto sono libere di andare ovunque. In realtà nelle aree sotto il controllo governativo, cosa, dove e a chi fornire assistenza deve essere negoziato e qualche volta viene semplicemente imposto dal regime». O come dice una donna di Yarmuk in un video pubblicato su Youtube dagli attivisti dell’opposizione: «Non chiediamo un po’ di pane per poi rimanere bloccati qua dentro, aprite la strada, lasciateci uscire così possiamo andare a prendere cibo e acqua».
Assad non vuole le porte aperte. Vuole dimostrare di essere ancora lui a decidere quali dissigillare e quali tenere chiuse.
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