Il commento di Federico Steinhaus
Federico Steinhaus
Forse per i nostri lettori un’occhiata panoramica e veloce dietro le quinte della politica “visibile” può essere più stimolante di un’analisi di quanto ci è stato concesso di leggere sui media della settimana. Gli avvenimenti sono sempre molti, spesso confusi in una massa di notizie, qualche volta taciuti del tutto o fonte di gossip; pertanto, staccare la spina da tutto ciò può aiutarci anche a capire.
Cominciamo dalla fine: papa Francesco ha ospitato a pranzo (un pasto kasher) al Collegio Santa Marta 15 rabbini e lader ebrei argentini e si è intrattenuto con loro per due ore; al termine, hanno cantanto insieme, in ebraico, un salmo. Non era una rimpatriata del pontefice argentino, né una visita di cortesia per la quale sarebbe bastata una rappresentanza più esigua. Non possiamo sapere cosa si sono detti, ma possiamo immaginare che il risorgere dell’antisemitismo sia stato uno dei loro argomenti di conversazione. E’ ridiventato minaccioso in molti paesi, tracotante, travestito da antisionismo politico, trasversale dall’estrema destra all’estrema sinistra: basti leggere le dichiarazioni di Vattimo al Corriere, pubblicate venerdì 17 (!), in cui l’illustre intellettuale dell’estrema sinistra si dichiara antisionista ma – per carità – non antisemita!, e per avvalorare questo concetto aggiunge che, “comunque”, la Federal Reserve americana è “proprietà” dei Rothschild e Rockefeller, dimostrando di ignorare sia le istituzioni democratiche americane sia il fatto che i Rockefeller non sono ebrei.
Ma non è solo Vattimo ad essere mentalmente confuso in materia. Anche le Nazioni Unite, per il tramite della mai abbastanza denigrata agenzia UNESCO (Organizzazione Educativa, Scientifica e Culturale dell’ONU, recita la sigla), si danno da fare con slancio. Era prevista per la settimana prossima l’inaugurazione, nella sede di Parigi, di una mostra sui legami trimillenari del popolo ebraico con Israele, intitolata “Il Popolo, il Libro, la Terra”; improvvisamente però il direttore generale dell’UNESCO Irina Bokova, che a Parigi ha la propria sede, l’ha annullata dando ascolto alle proteste dei paesi arabi, che per l’appunto negano questo legame storico e religioso. Il presidente del gruppo dei paesi arabi aderenti all’UNESCO, Abdullah Al-Neaimi, aveva scritto alla Bokova che “...il soggetto di questa mostra è fortemente politico. La pubblicità che accompagnerà questa mostra può solo danneggiare i negoziati di pace...”. Dunque, per l’ONU/UNESCO la Bibbia fomenta la guerra e di conseguenza la pace deve passare attraverso le forche caudine della negazione dei legami del popolo ebraico con Israele (esistenti da Abramo a Gesù, fino allo stesso Maometto). Ogni commento sarebbe superfluo.
Anche nel Medio Oriente la situazione non consente grande ottimismo, soprattutto per quanto accade nella ed attorno alla Siria.
Circa la metà dei 100.000 ribelli che combattono contro Assad sono jihadisti ed islamisti di varia estrazione religiosa e politica, dunque terroristi; di questi, tra 6 e 7mila sono stranieri ed aderiscono in particolare ai gruppi Nusra e Stato Islamico in Iraq e nel Levante (ISIL), affiliati ad Al Qaeda. Le provenienze sono molto varie: 4.500 dal mondo arabo (Libia, Tunisia, Giordania, Iraq, Egitto, Arabia Saudita), 1.000 dall’Europa occidentale (in particolare da Belgio, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Germania), 500 dalla Turchia, 500 da stati islamici dell’Asia (in particolare Cecenia e Pakistan), una ventina sono arabi israeliani, alcune dozzine vengono da Gaza ed altri dal Libano. Questa è tutta gente che dopo la guerra farà ritorno in patria, pronta a mettere in pratica quanto avrà imparato in Siria. Al Qaeda è ad oggi l’unico gruppo combattente in Siria ben organizzato, bene armato, coordinato ed ideologicamente forte, ed una parte consistente del supporto (armi e reclutamento) proviene dai vicini stati del Golfo.
L’incapacità dell’occidente di sostenere i ribelli non qaedisti, dovuta anche all’indecisione sul destino di Assad, ha portato agli accordi dello scorso settembre sullo smantellamento dell’arsenale chimico del regime, e questo accordo ha a sua volta innescato la nascita dell’Alleanza Islamica, una coalizione di 11 organizzazioni ribelli islamiste e jihadiste, ivi incluse le due che fanno capo ad Al Qaeda. Il sostengo politico ad Assad ha dunque polarizzato in senso estremista il campo dei ribelli. Le recenti uccisioni di comandanti militari dei ribelli moderati - Kamal Hamami in luglio, Ammar Al-Wawi in dicembre - ne sono la prova (le informazioni utilizzate provengono per la maggior parte da Ely Karmon, Senior Research Scolar dell’Istituto per il controterrorismo, e sono state pubblicate su Haaretz lo scorso 8 gennaio). Uno dei massimi protagonisti politici e militari della regione, l’Iran, con la presidenza Rohani è in bilico fra moine e minacce nei confronti dell’occidente: il presidente scrive sul quotidiano governativo saudita (!) che l’Iran continuerà a perseguire i propri interessi ed ideali facendo uso di “moderazione e buon senso”, cercando la “mutua fiducia” e la “trasparenza” con i suoi partners tradizionali e “partners nuovi” (19 dicembre), ma già pochi giorni dopo il leader supremo Ali Khamenei, in un discorso a Qom, taccia gli Stati Uniti di essere “il nemico” e “Satana” (9 gennaio). E’ questo, insieme alla Russia, il principale interlocutore che deciderà il destino della Siria.
Nel frattempo, l’Autorità Palestinese continua a viaggiare sul doppio binario delle trattative di pace e della campagna di odio e di deligittimazione di Israele. Il ministro degli Affari Religiosi Mahmud Al-Habbash, confortato dall’applauso di consenso del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) lo scorso 13 gennaio ha invitato i combattenti jihadisti a non andare in Siria bensì a Gerusalemme, dopo aver affermato che i negoziati con Israele si baseranno sulla famigerata tregua siglata da Maometto con le tribù della Mecca (Hudaybiyyah) che fu una trappola, ed il ministro per gli Affari dei Prigionieri (quelli detenuti in Israele per terrorismo) Issa Karake ha respinto con scherno la protesta dell’Unione Europea per l’uso distorto che l’Autorità Palestinese fa degli aiuti economici, destinandone la metà a stipendi elargiti a questi prigionieri (4 novembre 2013). In novembre l’Unione Europea ha donato all’Autorità Palestinese 11 milioni di euro, ed il 17 gennaio 2013 il capo del “Club dei Prigionieri”, Qadura Fares, aveva confermato che gli aiuti economici occidentali venivano distribuiti equamente fra stipendi ai dipendenti pubblici e stipendi ai prigionieri.
Vogliamo concludere questa analisi con un pò di ottimismo? In Israele è un classico dello humor la protesta nei confronti del Signore, che indicò a Mosè come patria del popolo ebraico l’unico posto della regione in cui non c’era neppure una goccia di petrolio. Non è più così. Ora Israele è diventato un importante esportatore di gas, ha stretto accordi economici sia con la Russia sia con l’Autorità Palestinese, e potrebbe diventare anche, insieme ai territori palestinesi e giordani, un esportatore di petrolio se le ricerche programmate andranno a buon fine. Siccome sappiamo che la politica mondiale si basa anche sulle esigenze dei paesi industrializzati in materia, e che di conseguenza da queste deriva direttamente lo strapotere del mondo arabo, un riequilibrio che inserisca Israele nel quadro strategico globale potrebbe avere effetti dirompenti in un futuro non molto lontano.
Nell’immediato, intanto, registriamo che i possibili scambi territoriali con l’Autorità Palestinese in una prospettiva di pacificazione non entusiasma proprio gli arabi israeliani, che vorrebbero restare tali piuttosto che diventare cittadini di una Palestina araba, e che Israele preferisce avere a Gaza un nemico noto ed istituzionalizzato come Hamas piuttosto che un vuoto politico dovuto alla lotta intestina del regime egiziano contro i Fratelli Musulmani che verrebbe sicuramente occupato da movimenti jihadisti legati ad Al Qaeda. Infine, nella recentissima visita della presidente della Camera Boldrini a Gaza, i responsabili dell’agenzia dell’ONU che si occupa dei rifugiati (anche se a rigore i cittadini di Gaza non sono più tali) ha denunciato che la chiusura ad opera dell’Egitto dei tunnel dai quali transitavano tutte le merci contrabbandate – dalle automobili di lusso ai materiali da costruzione, dagli animali per lo zoo alle mogli, dalle armi alle Harley Davidson – ha gravemente danneggiato l’economia della Striscia ed impoverito i gestori dei tunnel medesimi: l’ONU come patrocinatrice del contrabbando!
Gli scenari regionali sono più che mai mutevoli e volatili, e le ingerenze dell’occidente europeo ed americano possono provocare più guasti che benefici.