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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Manifesto - Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
14.01.2014 I due giornali avvoltoi della disinformazione
Il Manifesto e il Fatto uniti nell'odio per Ariel Sharon

Testata:Il Manifesto - Il Fatto Quotidiano
Autore: Michele Giorgio - Roberta Zunini
Titolo: «Il criminale beatificato - Sepolto Sharon con raid su Gaza, resta il massacro di Sabra e Shatila»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 14/01/2014, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Il criminale beatificato ". Dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 13, l'articolo di Roberta Zunini dal titolo " Sepolto Sharon con raid su Gaza, resta il massacro di Sabra e Shatila ".


Ariel Sharon

Per vedere la rassegna fotografica delle immagini del funerale di Ariel Sharon, cliccare sul link sottostante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=52015

Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Il criminale beatificato "


Michele Giorgio

Giorgio  definisce Ariel Sharon  'criminale', qualifica che compare già nel titolo del suo articolo. Il pezzo contiene esclusivamente un condensato di diffamazione su Sharon e Israele, silenzio, ovviamente, sul terrorismo palestinese e sui razzi da Gaza.
Tutte le mosse politiche e militari di Sharon sono criticate da Giorgio, il quale, probabilmente, avrebbe scritto qualcosa di positivo su Sharon solo se quest'ultimo avesse lavorato alla cancellazione di Israele invece che alla sua difesa.
Ecco il pezzo:

La cerimonia ufficiale dell'ultimo saluto ad Ariel Sharon e la sepoltura nel Neghev, davanti ai vertici di Israele e ai rappresentanti di vari Paesi, dell'ex premier morto sabato scorso, sono state segnate da due operazioni: la rimozione del passato scomodo (a dir poco) di un militare e uomo politico che ha compiuto azioni configurabili come crimini di guerra; l'esaltazione della presunta «svolta moderata» avvenuta negli ultimi anni di vita vera di Sharon, precedenti al coma profondo in cui l'ex premier finì nel 2006 in seguito a un ictus. La tesi dello Sharon pacifista è stata portata avanti dal vicepresidente Usa Joe Biden e, soprattutto, dall'ex premier britannico Tony Blair. «Quando si trattava di combattere (Sharon) ha combattuto. Quando si trattava di fare la pace, ha cercato di farla... Ha creduto con forza che la pace non fosse un sogno», ha sostenuto Blair. Reticente sul torbido passato di Sharon anche la viceministra degli esteri italiana Marta Dassù. «Ciò che adesso conta — ha detto — è l'eredità che ha lasciato con le sue ultime scelte, un'eredità basata sulla convinzione che la sicurezza di Israele sia legata alla prospettiva di due Stati in questa terra». Che Sharon fosse diventato un sostenitore della soluzione dei «due Stati», Israele e Palestina, è da dimostrare. In realtà il falco della destra, spietato con palestinesi e arabi e fautore della colonizzazione sfrenata dei Territori occupati, come altri premier e ministri israeliani di ogni colore politico aveva preso atto che la rapida crescita demografica palestinese sotto occupazione avrebbe posto nel giro di pochi anni problemi enormi a Israele. Una constatazione che lo aveva portato non a riconoscere il diritto dei palestinesi alla libertà e all'indipendenza ma ad elaborare l'idea di un "disimpegno" unilaterale da Gaza e Cisgiordania. Un arretramento parziale dalle terre palestinesi deciso e attuato solo da Israele, senza alcuna intesa con l'Autorità nazionale di Abu Mazen che nel frattempo aveva preso il posto di Yasser Arafat, morto nel novembre 2004 per una misteriosa malattia che i palestinesi attribuiscono a un «avvelenamento» avvenuto per ordine proprio dello stesso Sharon. Che la soluzione di Sharon puntasse al disimpegno unilaterale di Israele e non alla volontà di firmare un accordo di pace ampio, fondato sul diritto internazionale, con i palestinesi, lo conferma, almeno in parte, un articolo pubblicato ieri dal quotidiano Haaretz che cita cablogrammi dell'ambasciata Usa a Tel Aviv al Dipartimento di Stato svelati da Wild-leaks. Nel dicembre del 2004, riferiva il giornale, l'allora ambasciatore Usa a Tel Aviv Daniel Kurtzer scrisse all'Amministrazione Bush che Sharon non aveva intenzione di fermarsi al ritiro da Gaza ma intendeva compiere «passi di vasta portata» in Cisgiordania e a Gerusalemme. Kurtzer non fece riferimento a negoziati per creare uno Stato palestinese. Nella beatificazione di Ariel Sharon alfiere della pace e della coesistenza pacifica, i coloni israeliani hanno dato, inconsapevolmente, un contributo decisivo manifestando il loro disprezzo per il premier che aveva ordinato di evacuare gli insediamenti ebraici costruiti nella Striscia di Gaza In un seminario religioso, ad esempio, alcuni studenti non hanno potuto nascondere la loro gioia per la morte di Sharon. «Abbiamo avuto un lungo e affascinante viaggio con lui nella lotta per creare insediamenti ma la ferita del disimpegno (da Gaza, ndr) continua a sanguinare», ha detto da parte sua Benny Katsover, un pioniere della colonizzazione. «La storia non dimenticherà i suoi crimini contro il popolo ebraico», ha detto un ex consigliere di Sharon, Yaakov Katz. Peggio ancora è stata la reazione di un altro colono, Yehuda Glick, che ha paragonato i sentimenti che prova per la morte di Sharon a quelli di «una ragazza che è stata violentata e alla quale chiedono di ricordare le buone azioni del suo violentatole». Reazioni che aggiungono un mattone fondamentale per la revisione storica della figura di Sharon, volta a fame uomo politico saggio e moderato, separato totalmente dal comandante militare del massacro di Qibya e dal ministro della difesa coinvolto nella strage di 3 mila profughi palestinesi a Sabra e Shatila. Un leader «pragmatico» contrapposto al premier attuale Benyamin Netanyahu, impegnato in una corsa forsennata alla colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. In questo processo i palestinesi e i loro diritti non hanno posto e ruolo, ci fanno capire Biden e Blair. Devono saper attendere che, come per Sharon, anche Netanyahu diventi «saggio e moderato» e proceda a un «disimpegno». La legalità internazionale pub attendere. «Le impronte (di Sharon, ndr) sono impresse in ogni valle e in ogni collina. Ha coltivato la terra con la falce e l'ha difesa con la spada», ha detto ieri presidente israeliano Shimon Peres. I palestinesi lo sanno, l'hanno provato sulla loro pelle.

il FATTO QUOTIDIANO - Roberta Zunini : " Sepolto Sharon con raid su Gaza, resta il massacro di Sabra e Shatila "


Roberta Zunini

La titolazione dell'articolo punta l'attenzione sulla risposta israeliana ai razzi da Gaza (questi ultimi non mezionati nella titolazione, secondo il classico sistema per disinformare su Israele) e su Sabra e Shatila.
Come ricorda anche Zunini, la commissione Kahan istituita per stabilire le responsabilità di Sabra e Shatila, concluse che Sharon non fu responsabile del massacro, ma Zunini cerca di convincere il lettore che, in ogni caso, sia stato colpevole perché non intervenne per bloccare gli avvenimenti.
Per altro è sufficiente leggere la prima riga del pezzo per comprendere tutta l'antipatia di Zunini per Sharon : "
La terra polverosa del deserto del Negev copre da ieri le spoglie di Ariel Sharon, ma non la sua macchia".
Ecco il pezzo:

La terra polverosa del deserto del Negev copre da ieri le spoglie di Ariel Sharon, ma non la sua macchia. Quella resterà indelebile, perché non risiedeva nel corpo ma nell'anima del contadino-generale-statista. E pertanto continuerà ad aleggiare come un cupo spettro sulla coscienza collettiva e a provocare incubi nelle notti spezzate dei sopravvissuti al massacro di Sabra e Shatila. Oltre a turbare quegli ebrei israeliani che, subito dopo la strage, nel settembre del 1982, scesero in piazza per chiedere le dimissioni del generale, allora ministro della Difesa. Se l'inevitabile ritiro da Gaza e otto anni di coma hanno cancellato la memoria a tanti, compresi i leader mondiali, non solo israeliani, questo non è accaduto al parlamento europeo dove ad Ariel è stato negato il minuto di silenzio.
IL PRESIDENTE Martin Schulz ha respinto la richiesta presentata - in apertura della sessione plenaria - dall'olandese Laurence Stassen, esponente del partito xenofobo, razzista e anti-islam Pvv, appoggiando invece l'obiezione del deputato ceco Richard Falbr. Il socialdemocratico ha contestato la richiesta della Stassen chiedendo: "Vogliamo davvero tenere un minuto di silenzio per Sharon, responsabile della morte di decine di migliaia di palestinesi?". Per quanto riguarda la strage nel campo profughi palestinese di Sabra e Shatila, a Beirut, la sua responsabilità non fu diretta ma indiretta. Che, in quel caso, però fu quasi peggio. Perché Sharon aveva il compito di tenere sotto controllo il campo, custodirlo, invece ha dato l'ordine ai suoi soldati, appostati su una collinetta confmante, di accendere tutte le luci affinché Sabra e Shatila (in realtà erano lo stesso campo, sebbene molto vasto), solitamente buie, fossero illuminate al meglio per consentire ai falangisti cristiani di entrare e uscire facilmente e trucidare quante più persone possibile. Molti avevano cercato rifugio negli anfratti più nascosti ma furono scovati grazie alla potente illuminazione. Le immagini insopportabili di donne incinte sventrate, bambini sgozzati e vecchi fatti a pezzi, diffuse dalla stampa, generarono anche in Israele un'ondata di critiche e manifestazioni per quel generale-ministro dai modi gentili ma dall'animo spietato, che non aveva fatto nulla per fermare il massacro, anzi l'aveva appoggiato. Tanto che nel 1983 fu costituita una commissione d'inchiesta (Kahan Commission) i cui atti sono disponibili sul sito del ministero degli Esteri israeliano.
NEL CAPITOLO che riguarda le responsabilità israeliane si legge che "nonostante il Mossad non avesse avvisato delle intenzioni dei falangi-sti... a nostro avviso, anche in assenza di tale avviso, è impossibile giustificare il ministro della Difesa (Sharon, ndr) per il disprezzo del pericolo di un massacro. Non ripeteremo qui ciò che abbiamo già detto circa la conoscenza diffusa dell'etica di combattimento dei falangisti', il loro odio nei confronti dei palestinesi (...) Oltre a saperlo, il ministro della Difesa ha avuto anche relazioni speciali e non trascurabili con i responsabili falangisti ancora prima dell'assassinio di Bashir (Gemayel, il presidente falangista assassinato, ndr). Dare ai falangisti - si legge ancora - la possibilità di entrare nei campi profughi senza prendere misure per la supervisione delle loro azioni avrebbe creato un grave pericolo per la popolazione civile nei campi (...) Nelle circostanze che hanno prevalso dopo l'assassinio di Bashir, si era tenuti a sapere che esisteva il pericolo concreto di atti di macellazione quando i falangisti sono stati lasciati liberi di entrare nei campi (...) il senso di un tale pericolo avrebbe dovuto essere ben presente nella coscienza di chi conosceva la situazione e certamente nella coscienza del ministro della Difesa , che ha preso parte attiva in tutto ciò che riguarda la guerra...". L'anno scorso II Fatto si recò a Sabra e Shatila per la commemorazione del trentesimo anniversario. C'erano uomini che piangevano ricordando i padri sgozzati davanti a loro bambini, aggrappati a madri impazzite dal dolore. Il numero dei morti è stato calcolato intorno ai 3500, quasi tutti civili. Molti corpi furono fatti sparire per far sembrare meno enorme il massacro.

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