Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 03/11/2013, a pa.1, con il titolo "Scontri al confine tra Gaza e Israele" un articolo dove di corretto c'è soltanto il titolo. Le uniche fonti a cui si ispira l'organo ufficiale della Santa Sede sono quelle palestinesi, quelle israeliane contano nulla. I lettori traggono quindi le loro conclusioni nella sola versione palestinese. Israele, l'unica volta che viene citato, gli si premette un "a suo giudizio" come dire, niente di ufficiale, lo dicono loro.
Bel modo di fare informazione !
Chiediamo ai nostri lettori di scrivere al direttore dell'OSSERVATORE ROMANO Giovanni Maria Vian per protestare.
ornet@ossrom.va
Giovanni Maria Vian, direttore Osservatore Romano
E stato lo scontro a fuoco più grave da un anno a questa parte al confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Cinque militari israeliani sono stati feriti e quattro miliziani di Hamas uccisi. Ieri l'esercito israeliano ha lanciato un'operazione per distruggere due tunnel utilizzati dagli uomini del movimento islamico per il traffico di armi e di merci. La deflagrazione di un ordigno all'interno di uno dei due tunnel ha innescato le violenze, con diversi carri armati israeliani che hanno aperto il fuoco contro gruppi di miliziani. E intervenuta anche l'aviazione di Tsahal, che ha lanciato raid in due zone della Striscia. Per rappresaglia, un razzo da Gaza ha colpito una zona della regione di Eshkol, a sud di Israele. In seguito agli scontri, un alto esponente di Hamas, Khalil Al Hayya, ha sottolineato che il movimento, che controlla la Striscia di Gaza dal giugno 2007, non è interessato «a una ingiustificata escalation, ma abbiamo il diritto di difendere il nostro popolo». Israele ha invece sostenuto la necessità di bloccare i tunnel, che — a suo giudizio — potrebbero essere usati per azioni terroristiche. Lo scontro al confine s'inserisce in una situazione di profondo stallo nei negoziati. La prossima settimana dovrebbe recarsi nella regione il segretario di Stato americano, John Kerry, nell'ambito di una missione diplomatica nel mondo arabo. Kerry dovrebbe vedere martedì prossimo Abu Mazen a Betlemme; non ci sono, al momento, notizie su un possibile incontro con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Nei giorni scorsi i palestinesi hanno fortemente contestato l'annuncio del via libera israeliano a 1.500 nuove abitazioni a Gerusalemme est. In segno di protesta — come riporta l'agenzia palestinese Man — i due negoziatori dell'Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina), Saeb Erekat e Mohammed Shtaye, hanno rassegnato le dimissioni, ma non è ancora chiaro se il presidente Abu Mazen le accetterà o meno. Inoltre, l'Autorità palestinese ha annunciato che sta «studiando seria-mente» la possibilità di promuovere denunce in sedi internazionali contro Israele nel tentativo di fermare le costruzioni di nuove case in Cisgiordania. «Israele — ha dichiarato una fonte palestinese — sta cercando di distruggere la soluzione dei due Stati e di minare ogni sforzo per assicurare il successo dei negoziati di pace». I nuovi piani di costruzione israeliani sono stati contestati apertamente anche dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea. L'alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, ha detto che «deve essere evitata qualsiasi azione che possa danneggiare i negoziati in corso». La decisione di costruire nuove abitazioni a Ramat Shlomo è stata approvata la scorsa settimana dal premier Netanyahu e dal ministro dell'Interno, Gideon Saar. D'altronde, la mossa era attesa: i media israeliani avevano già riferito, alcuni giorni prima dell'annuncio, che Netanyahu avrebbe accompagnato la liberazione di un secondo gruppo di prigionieri palestinesi con l'autorizzazione alla costruzione di centinaia di nuovi alloggi israeliani in Cisgiordania. Nelle ultime ore, a far aumentare la tensione è stata un'altra indiscrezione riportata dal quotidiano israeliano «Haaretz», secondo cui il via libera ai 1.5oo nuovi alloggi sarebbe soltanto una parte di un piano ben più vasto, che prevede la costruzione di 5.000 abitazioni, in diverse aree della Cisgiordania.
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