L'Egitto e il Medio Oriente sono in ebollizione
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
le sbarre si sono spostate a destra
Mubarak, negli anni del suo regime, ebbe soltanto tre veri sostenitori: la moglie Suzanne e i suoi figli, Gamal e Alaa. Tutte le altre figure che gli stavano attorno erano politici e parassiti che hanno approfittato della vicinanza al Presidente per trarne favori finché egli fu in grado di concederli. Nel momento in cui avvertirono la sua debolezza, l’hanno abbandonato al destino della destituzione e del carcere.
Al contrario, nel caso di Morsi, vi erano, e ci sono tuttora, decine di milioni di sostenitori pronti all’istante a combattere fino alla fine, per riportarlo al potere.
Questo è il motivo della differenza tra la facilità con cui Mubarak è stato deposto e le difficoltà che l'esercito sta vivendo nei suoi tentativi di stabilizzare lo Stato da quando, tre mesi fa, all'inizio di luglio di quest'anno (2013), Morsi è stato destituito.
L'indicatore più importante e sensibile dello stato attuale di stabilità politica è ciò che sta accadendo nel sistema educativo: se le scuole aprono come previsto, gli studenti vanno a scuola come al solito e le lezioni sono regolari in tutti gli istituti, è segno che lo Stato è stabile, che il governo funziona, sulla base della legittimità e di un largo consenso pubblico. Quando la vita quotidiana si interrompe, il primo a risentirne è il sistema educativo perché i genitori non mandano i loro figli per strada in una situazione pericolosa. L'anno scolastico egiziano avrebbe dovuto iniziare in questi giorni. Ma anche se molti dei suoi dirigenti sono in carcere, la Fratellanza Musulmana ha preso posizione con questo slogan: "La Dirasa wala tadris hata yarga al-Rais" - "Nessuna scuola e nessuna istruzione fino a quando non sarà tornato il Presidente".
Il futuro con i Fratelli Musulmani
Le università non sono solo istituti d’istruzione superiore, ma anche luoghi d’incontro in cui i giovani “guardiani”, i più forti tra i Fratelli Musulmani, possono esprimere solidarietà e svolgere varie attività. Essi sanno bene che, terminati con successo i loro studi accademici, impiegheranno anni a cercare un lavoro adatto alla propria qualifica, e che dovranno subire molte frustrazioni e delusioni a causa della corruzione diffusa all'interno del mercato del lavoro egiziano, e, a maggior ragione, all'interno di quello governativo. Oggi, per le difficoltà economiche, l'età media del matrimonio è salita oltre i 30 anni: i giovani incanalano energie, frustrazioni e aggressività in politica, in assenza di qualsiasi altro legittimo sbocco in una società conservatrice come l'Egitto. Per l’età e il loro stato di famiglia, gli studenti non hanno ancora bisogno di cedere alla necessità di corruzione e di adulazione, come fanno invece i capifamiglia al fine di mantenere il loro sostentamento, e questo consente loro di dire, e anche di gridare, la verità al potere e ai suoi scagnozzi.
In questi giorni nelle scuole superiori, e nelle università in tutto l'Egitto, specialmente nelle zone povere e legate alla tradizione, si svolgono molte manifestazioni: anche se queste sono per lo più di carattere pacifico, esprimono le emozioni delle masse esasperate perchè la rivoluzione ha portato alla caduta dei Fratelli Musulmani. Alcuni dei giovani sono armati di coltelli e pistole, per cui c’è un’elevato rischio che esplodano episodi di violenza. In parallelo allo sciopero degli insegnanti ci sono stati tentativi di organizzare scioperi nel comparto dei commercianti, ma sono falliti, perché molti disoccupati in Egitto sono diventati venditori ambulanti non sindacalizzati, quindi è difficile ottenere la loro cooperazione, perchè il loro reddito ne uscirebbe penalizzato.
Mentre scrivo, si riunisce il Consiglio Economico delle Nazioni Unite a New York, dove l'Egitto è rappresentato da Nabil Fahmi, il Ministro degli Esteri nominato dall’esercito dell’attuale governo militare. Questo causa ulteriore fermento tra i sostenitori del presidente deposto, Morsi, infatti sono state organizzate manifestazioni di protesta di fronte alle rappresentanze delle Nazioni Unite in Egitto. Queste manifestazioni, nel caso dovessero diventare abituali, potrebbero portare a una reazione violenta da parte dell'esercito, simile al brutale sfollamento di Piazza Rabia al-Adawiya che, nel mese scorso (agosto 2013), costò la vita a decine di persone.
Una Terza Intifada?
In questi giorni il movimento di Hamas ha cercato di riaccendere gli animi dei palestinesi, sui siti dei social network e con l’attivo aiuto del canale al-Jazeera.
Si è deciso di chiamare venerdì 27 settembre " il venerdì di Al-Aqsa ". Con la prossima fine di settembre saranno trascorsi tredici anni dallo scoppio della Seconda Intifada, chiamata, appunto, "Al-Aqsa". L'attuale uso di questo termine è destinato a conferire all'Intifada una dimensione religiosa e il peso di un obbligo islamico per aprire alla jihad per liberare al-Aqsa dalla ‘morsa’ dei sionisti.
Al momento i fattori che lasciano presagire un l’appello all’Intifada sono tre: il primo è la competizione tra l'OLP e il governo di Ramallah da un lato, e Hamas e il governo di Gaza dall'altro. Più una parte progredisce nel prendere contatti pacifici con Israele e più dall’altra si cerca di infiammare l'area al fine di tirare il tappeto da sotto i piedi dei negoziatori, e negare così ogni possibilità di giungere a un accordo che lasci a Israele anche solo un centimetro quadrato di "Palestina". Paradossalmente quindi, sono le stesse trattative di pace che in realtà alimentano il terrorismo e causano morti e feriti, come la morte dei due soldati in questi ultimi giorni. A questo proposito, uno di loro - Tomer Hazan - è stato ucciso per "riscattare" col suo cadavere il fratello del suo assassino, in carcere per attività terroristiche. Hazan è stato vittima della contorta pratica in cui solo Israele è costretto tra tutti i paesi del mondo, a liberare criminali a seguito di scambi. Se Israele si fosse comportato come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia o il resto dei paesi democratici e non avesse negoziato con i terroristi la liberazione dal carcere dei criminali, i soldati israeliani non sarebbero stati rapiti per essere usati come merce di scambio, e Tomer Hazan sarebbe ancora vivo.
Il vicolo cieco in cui si trova il governo di Hamas a Gaza, accresce la voglia di scuotere il sistema stabile che si è consolidato attorno alla Striscia. I leader di Hamas odiano il nome che gli jihadisti hanno dato loro, di "Mishamer haGaful" ("Guardie di confine"), come se fossero i guardiani dei confini di Israele contro le operazioni degli jihadisti. Una delle motivazioni di Hamas, almeno nella Terza Intifada, nasce anche dal desiderio di scrollarsi di dosso questo appellativo.
Il secondo fattore che porterebbe verso una Terza Intifada è la situazione nel mondo arabo, in particolare in Siria. I potenziali jihadisti vedono che, conducendo una battaglia ostinata e determinata, possono trasformare uno Stato che funziona in un paese ridotto in frantumi, e possono minacciare persino un regime forte e portare un tiranno sull’orlo di un baratro, dove è costretto a difendersi con l’uso di armi chimiche. Il coinvolgimento di jihadisti, provenienti da tutte le parti del mondo per partecipare alla Jihad contro l’infedele Assad, enfatizza l'aspetto specificamente islamico della battaglia per la Siria, dove la situazione spinge le organizzazioni come Hamas e l’ Jihad islamica a cercare di portare quel modello di guerra anche in Israele, non solo per sbarazzarsi del "Occupazione del 1967", ma anche per porre fine all’ "Occupazione del 1948".
La rabbia per quel che è successo in Egitto tormenta anche gli jihadisti "palestinesi", che sono particolarmente ostili per "l'atto di omicidio di massa", che è stato effettuato - secondo loro - da parte dell'infedele esercito egiziano contro i loro fratelli musulmani nella Penisola del Sinai. L'operazione nel Sinai ha anche un’influenza negativa nello Stato di Hamas a Gaza, un altro motivo per la crescente rabbia tra gli islamici "palestinesi". Il fatto che Israele sostenga il regime militare in Egitto e l’aiuti nella sua lotta contro gli jihadisti del Sinai, aumenta la motivazione a indirizzare la rabbia specificatamente nei confronti di Israele, anche perché è una posizione che vediamo pure nell’Autorità Palestinese.
Il terzo fattore che favorisce l'inizio di una Terza Intifada è l'ondata di violenza in molte località di tutto il mondo, lanciata dagli jihadisti: l’assalto da parte delle milizie di "Shabab Al-Mujahidin", un ramo di al-Qaeda in Somalia, al centro commerciale di Nairobi, in Kenya, che ha attirato l'attenzione mondiale dei media; il massacro che Boko Haram ("l'Occidente è vietato") ha compiuto in Nigeria, in cui sono stati uccisi circa 150 cristiani; le stragi quotidiane in Iraq; il massacro nella chiesa a Peshawar, in Pakistan; la fallita destituzione dell’infedele Assad, da parte degli americani, nonostante abbia usato armi chimiche; la crescente influenza sugli eventi in Medio Oriente dei russi, che hanno ucciso a loro volta migliaia di musulmani ceceni, e sostengano Assad, assassino di musulmani .
Nel mezzo di un ambiente così instabile, il fatto che Israele goda di pace e tranquillità è una aggravante particolare per i palestinesi islamisti, che li motiva ad utilizzare gli stessi metodi che usano i combattenti islamici, che attualmente dettano l'agenda di molti paesi nel mondo. Israele deve stare all’erta, non deve cedere all’euforia di sentirsi una "casa nella giungla" [un tranquillo rifugio civile in mezzo a un ambiente barbaro] o di essere " l'unica democrazia del Medio Oriente ". Proprio per il fatto di essere un paese pacifico, democratico, sicuro, rispettoso dei diritti umani e delle libertà politiche, queste specifiche qualità sollevano l'invidia e l’ira dei suoi nemici, che non vedono l’ora di minarne la stabilità, anche se il risultato produrrà una situazione peggiore.
L’Islam alza la bandiera del “sabra” (il nativo israeliano) "la pazienza e la capacità di sopportare difficoltà e disagi" e promette al musulmano che soffre "al-Farj b'ad al-Shida" - il riscatto dopo le difficoltà. Perciò, anche se la Terza Intifada causa un deterioramento della qualità della vita, il prezzo vale ancora la pena, perché per loro, la liberazione di tutta la Palestina, in futuro, in sha Allah, giustifica la sofferenza e le difficoltà. Gli israeliani tendono a valutare la probabilità che esploda un’intifada, in base a costi e benefici, considerazione caratteristica delle società occidentali. Queste considerazioni, per degne e importanti che siano, non sono sempre le considerazioni che fanno i musulmani che vivono tra noi e vicino a noi.
Il coinvolgimento dei media
Sembra che in questi giorni Al-Jazeera promuova di nuovo la violenza islamica in Egitto e in Israele. Basta un confronto: l'Egitto occupa solo uno spazio marginale nelle notizie dal mondo arabo di oggi, e la Siria è davanti e al centro dell'interesse dei media. Su al-Jazeera invece, l’Egitto occupa ancora una posizione centrale, con molti rapporti e dettagli sulle manifestazioni delle masse - in particolare dei Fratelli Musulmani - contro il governo militare. Al-Jazeera dà ampi servizi sugli scioperi delle scuole e dei commercianti attualmente in corso in alcune città dell’Egitto. Questa è la ragione per cui il regime egiziano ha chiuso gli uffici di al-Jazeera in Egitto, e la Tv è stata costretta ad attingere le notizie dai video dei ribelli traendoli da siti come YouTube.
Israele deve considerare se seguire l’esempio degli egiziani, perché il canale jihadista di al-Jazeera non è limitato all’Egitto, e Israele è un obiettivo permanente della jihad. Se c'è un mezzo che può accendere lo spirito di una Terza Intifada, questo è al-Jazeera. Israele deve rimuovere il canale jihadista dal suo territorio prima che l'intero paese venga messo a fuoco.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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