Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/09/2013, a pag. 11, l'intervista di George Stephanopoulos a Barack Obama dal titolo " Obama: con Rohani scambi di lettere. Ma l’Iran non s’illuda ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Scambio di lettere Obama-Rouhani Spiragli di dialogo con l'Iran ". Da IT.DANIELPIPES.ORG, l'articolo di Daniel Pipes dal titolo " Dimenticare la Siria e mirare all'Iran ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - George Stephanopoulos : " Obama: con Rohani scambi di lettere. Ma l’Iran non s’illuda "
George Stephanopoulos con Barack Obama
Presidente, solo due settimane fa sembrava pronto ad attaccare la Siria. Ora sta negoziando con la Russia. È quello che si immaginava allora? Crede che ora gli Stati Uniti siano in una situazione migliore?
«Siamo decisamente in una situazione migliore. Tenga presente che il mio obiettivo è di fare in modo che quello che è successo il 21 agosto non accada ancora. Che non si debbano vedere oltre mille persone, più di 400 bambini, vittime di gas letali. Questa è stata un violazione delle leggi internazionali e della comune decenza. Ora abbiamo l’occasione di fare in modo che non accada più».
Crede che un attacco come quello del 21 agosto non si ripeterà?
«I russi dicono che il regime di Assad non avrebbe mai potuto fare una cosa simile. L’hanno detto quando gli ispettori non erano nemmeno ancora arrivati. Come conseguenza della nostra pressione delle ultime due settimane la Siria, che per la prima volta ha riconosciuto di possedere armi chimiche, ha accettato di aderire al trattato che ne vieta l’uso. Ora i russi dicono che convinceranno la Siria a eliminare tutte le armi chimiche. Non abbiamo ancora prove concrete e verificate che il processo sia effettivamente iniziato, ma i progressi fatti in queste due settimane sono notevoli. La reazione di Assad a delle proteste pacifiche ha portato a un conflitto interno che ha causato centomila vittime e sei milioni di profughi. Ma gli Stati Uniti non possono entrare nella guerra civile di qualcun altro. Non manderemo truppe da terra, non possiamo insediarci militarmente in Siria».
In passato ha detto che invece bisognava andarci, in Siria…
«Quello che possiamo fare ora è accertarci che le armi peggiori, quelle che non distinguono tra un soldato e un bambino, non siano usate. Se riusciamo in questo compito si potrà iniziare un processo internazionale al quale partecipino anche i Paesi vicini ad Assad, soprattutto Iran e Russia, e che venga riconosciuto che la guerra civile è terribile per il popolo siriano. Occorre arrivare, in modo serio, a una qualche soluzione politica».
Putin ora è diventato un improbabile partner dell’America. Nell’editoriale che ha suscitato moltissime polemiche qui negli Stati Uniti, ha detto: «Non c’è ragione di credere che ad usare le armi chimiche siano stati i ribelli». Lei crede che potrebbe mentire per proteggere Assad?
«Nessuno al mondo prende seriamente in considerazione l’ipotesi che siano stati i ribelli a usare i gas. È vero che ci sono estremisti, inclusi i gruppi affiliati ad Al Qaeda, che non si farebbero nessun problema a usare armi chimiche in Siria e fuori. In ogni modo, gli Stati Uniti e la Russia devono lavorare insieme».
In Siria avete gli stessi obiettivi?
«Non penso che Putin abbia gli stessi valori che abbiamo noi. Ma entrambi abbiamo lo stesso interesse nell’evitare che la Siria precipiti nel caos totale e nel prevenire il terrorismo. La situazione in questo momento è insostenibile. Dovremo lavorare insieme per cercare di trovare un modo in cui gli interessi di tutte le parti - gli alawiti, i sunniti, i cristiani - siano rappresentati, e di portare la temperatura verso il basso in modo che le cose orribili che stanno accadendo nel Paese cessino immediatamente. Nonostante tutte le nostre differenze reciproche mi rallegra che la Russia sia coinvolta, e che potenzialmente, lo possa essere anche l’Iran».
Non pensa che Putin si stia prendendo gioco della situazione e di lei?
«Sa, Ronald Reagan disse “Fidati, ma verifica”. Penso sia sempre andata così, soprattutto quando si interagiva con i leader sovietici un tempo, i russi oggi. Io e Putin abbiamo forti disaccordi su tutta una serie di questioni, ma possiamo parlare. E abbiamo lavorato insieme su temi importanti, come l’Afghanistan e in operazioni antiterrorismo. Questa non è la guerra fredda. Questa non è una gara tra gli Stati Uniti e la Russia. Se Mosca vuole avere qualche influenza nella Siria post Assad, non colpisce i nostri interessi».
Cosa pensa della posizione dell’Iran?
«Con gli iraniani comunichiamo in via indiretta. Con il presidente Rohani ci siamo scambiati missive inerenti la situazione in Siria. E credo che comprendano che la questione nucleare è un problema ben più importante per noi che quello delle armi chimiche. La mia idea è che gli iraniani abbiano capito che non devono pensare che, poiché non abbiamo colpito la Siria, non colpiremmo l’Iran. Allo stesso tempo credo che dovrebbero capire che c’è una via di uscita diplomatica».
Parliamo di economia. Cade in questi giorni il quinto anniversario del crollo della Lehman. I sondaggi dimostrano che i due terzi degli americani pensano che stiamo andando nella direzione sbagliata, che l’economia non è stabile. Che ne dice di chi pensa che Wall Street abbia vinto, ma la gente comune no?
«Pensiamo a dove eravamo cinque anni fa. Eravamo sull’orlo di una grande depressione. In qualche modo perfino peggiore di quella degli Anni 30. Abbiamo stabilizzato la situazione, ora sono 42 i mesi consecutivi di crescita, sette milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, 500 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero, 370 mila posti di lavoro in un settore auto che era completamente crollato. Il sistema bancario funziona. Si stanno dando prestiti alle imprese. Il mercato immobiliare ha recuperato. Ma è anche vero che non siamo vicino a dove dovremmo essere».
Il 95% dei guadagni all’1% della popolazione. È impressionante…
«Lo è. Nonostante i progressi fatti dopo la crisi, gli americani della classe media e i più poveri non ne hanno beneficiato come l’1% del Paese, i più ricchi. Le classi sociali più basse e la middle class non hanno visto crescere il loro reddito, non solo negli ultimi tre, quattro anni, ma negli ultimi 15. E così tutto quello che ho fatto è stato stabilizzare l’economia e rilanciare la crescita, iniziare a produrre di nuovo posti di lavoro e invertire la tendenza degli ultimi decenni. Ecco perché abbiamo reso il sistema fiscale un po’ più giusto chiedendo ai più ricchi di pagare di più. In questo contesto è inutile che i repubblicani continuino a insistere con altri, eccessivi, tagli al bilancio: produrrebbero solo l’aumento di disparità sul fronte dei redditi».
In un’eventuale sfida alle primarie democratiche tra Hillary Clinton e Joe Biden lei continuerà a rimanere neutrale come ha fatto fino ad ora?
«È troppo presto per cominciare a parlare delle elezioni presidenziali del 2016. Sono stato rieletto appena da un anno. Adesso il mio interesse è tutto sull’America, lascio a voi preoccuparvi della politica».
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Scambio di lettere Obama-Rohani Spiragli di dialogo con l'Iran "
Guido Olimpio Hassan Rohani
Il dialogo va avanti e da tempo, affidato a messaggeri e mediatori. E stato lo stesso Barack Obama a confermarlo alla tv Abc: «Ho scritto al presidente iraniano Hassan Rouhani». E poi ha aggiunto: «Teheran deve capire che per noi la questione nucleare è più importante della vicenda dei gas siriani». Messaggio irrobustito dal richiamo all'uso della forza nel caso che i mullah non accettino una soluzione sulla questione del programma nucleare. «Se non abbiamo colpito in Siria, non vuol dire che non possiamo farlo in Iran», ha avvisato il presidente. Al netto delle schermaglie, non c'è dubbio che Washington abbia cercato di aprire dei «canali» con Teheran. In passato e di recente. Nel mese di agosto il sultano dell'Oman Qaboos bin Said, in occasione di un viaggio in Iran, ha portato la lettera di Obama, quindi ne ha parlato con Rouhani e la Guida spirituale Ali Khamenei, l'uomo che ha una grande influenza su ogni scelta del potere. Poi gli scambi Usa-Iran sono proseguiti con l'azione dietro le quinte di alcuni diplomatici. Missioni più o meno informali che però hanno preparato il terreno per svelenire i rapporti. Al punto che nella lettera, secondo media vicino ai pasdaran, Obama avrebbe auspicato di «voltare pagina». Ovviamente a piccoli passi. Pochi giorni fa, sempre Obama ha sostenuto che l'Iran ha svolto un «molo costruttivo» sul tema delle armi chimiche in Siria. Le consultazioni sono proseguite attraverso un passaggio di missive, legate al conflitto siriano, tra Washington e il ministro degli Esteri iraniano Mohamad Zarif, un personaggio che ha conosciuto bene la realtà statunitense prima da studente — si è laureato in un college californiano — poi come inviato alle Nazioni Unite. Da Teheran hanno provato ad ammorbidire i toni verbali e in questo si inserisce il messaggio di auguri di Rouhani agli ebrei per la festa di Rosh Hashanah. Aperture seguite da una sparata virulenta di Khamenei, in chiave di custode dell'ortodossia, che però non toglie sostanza. Per alcuni osservatori è comunque ancora poco. Resta l'estrema diffidenza verso le vere intenzioni di Teheran, si sottolinea l'importanza del ruolo iraniano nel puntellare militarmente Assad (in modo diretto e con le milizie sciite), si ha paura che il pragmatismo di Rouhani sia svuotato dal radicalismo di Khamenei. Altri analisti ribattono: i) E necessario coinvolgere di più Teheran nella ricerca di una soluzione politica in Siria; 2) È vero che l'Iran ha bisogno di Damasco, però il conflitto sta drenando risorse importanti in quanto gli iraniani finanziano l'alleato. In mezzo o sopra, a seconda delle interpretazioni, c'è la questione Israele, che vuole uno stop deciso al programma nucleare dell'Iran e agita il bastone del raid. Articoli hanno spostato la data del possibile blitz alla primavera. Tutti elementi noti a Washington che però vuole «vedere» le carte. II momento può essere vicino. In occasione della prossima assemblea delle Nazioni Unite a New York. Varie fonti non hanno escluso un incontro tra Kerry e Zarif e c'è chi ha persino ipotizzato un colloquio Obama-Rouhani. II presidente iraniano potrebbe anche vedere il ministro degli Esteri britannico William Hague per finalizzare la ripresa dei rapporti diplomatici interrotti dopo l'assalto all'ambasciata inglese. Sono ovviamente solo degli spiragli che però non bisognerebbe lasciar chiudere.
IT.DANIELPIPES.ORG - Daniel Pipes : " Dimenticare la Siria e mirare all'Iran"
Per l'originale in lingua inglese, cliccare qui
Daniel Pipes Congresso Usa
Un consiglio ai membri del Congresso chiamati a votare l'attacco americano al governo siriano: stabilite delle priorità, mettendo a fuoco ciò che più conta per il Paese. L'amministrazione Obama indica a ragione due questioni urgenti: fermare la proliferazione nucleare iraniana e mantenere la sicurezza di Israele. A queste se ne aggiunge una terza: ristabilire la credibilità deterrente minata dallo stesso presidente Obama.
Va notato che in questa lista non si menziona l'arsenale chimico del regime siriano (il più grande del mondo) né il suo recente utilizzo. E questo perché tali armi non sono così orribili e pericolose come quelle nucleari che si stanno costruendo in Iran. Anche l'attacco del 21 agosto a Ghouta, alla periferia di Damasco, è stato terribile, ma non peggiore delle centinaia e centinaia di uccisioni di civili trucidati in altri modi, ad esempio torturati. Inoltre, quell'attacco ha violato molteplici convenzioni internazionali, ma di certo nessuno pensa che degli antiquati "attacchi limitati" riescano a bloccare i dittatori pronti a tutto.
E allora, qual è il modo migliore per conseguire le vere priorità riguardo all'Iran, Israele e alla deterrenza americana? Esistono più opzioni, da quelle più violente a quelle meno rovinose.
Si potrebbe ad esempio rovesciare il regime di Assad. Una prospettiva allettante di per sé, soprattutto perché elimina l'alleato numero uno di Teheran e taglia le linee di rifornimento di Hezbollah ma questo scenario scoperchia un vaso di Pandora generando l'anarchia in Siria, l'ingerenza dei Paesi vicini, l'eventualità che gli islamisti legati ad al-Qaeda vadano al potere a Damasco, ostilità contro Israele sulle alture del Golan finora tranquille e il trasferimento di armi chimiche del regime alle organizzazioni terroristiche. L'idea di rovesciare il presidente Bashar Assad rischia di reiterare l'eliminazione dei dittatori di lunga data in Iraq e in Libia, rispettivamente nel 2003 e nel 2011, portando ad anni, o anche decenni, di instabilità e violenza. Peggio ancora, questo esito potrebbe vivificare la carriera diversamente agonizzante di Recep Tayyip Erdogan, il bullo turco, che attualmente è quasi sopraffatto dai suoi passi falsi.
In secondo luogo, si potrebbe colpire il regime senza rovesciarlo, come da approccio proposto dall'amministrazione Obama. Questo scenario ci conduce verso l'ignoto: esistono prove che il regime di Assad non si preoccupa della "punizione" americana ma che intende utilizzare armi chimiche, forse ancora contro i civili, come pensa Teheran di fare contro gli obiettivi americani. Inoltre, come ho già rilevato, un attacco limitato può portare "all'uso della violenza contro Israele, a un'attivazione delle cellule dormienti nei Paesi occidentali o a una maggiore dipendenza da Teheran. E per di più, scampando agli attacchi, Assad potrebbe anche vantarsi di aver sconfitto gli Stati Uniti". Questa linea di azione è rischiosa quasi come l'ipotesi di rovesciare il regime senza però sbarazzarsi di Assad, il che la rende la peggiore delle tre opzioni.
E infine, si potrebbe non fare nulla. Questo scenario ha diversi svantaggi: lascia che Assad non sia punito per il suo attacco chimico, erode la credibilità di Obama dopo la sua dichiarazione che l'impiego di armi chimiche costituisce "una linea rossa" e incoraggia i fautori della linea dura in Iran. Tuttavia, ciò presenta i vantaggi ancora maggiori di non infiammare ulteriormente il teatro di guerra, di mantenere la situazione di stallo – benefica da un punto di vista strategico – tra il regime e i ribelli e, cosa più importante, di non distrarre Washington dall'Iran, il Paese realmente importante.
A quanto si dice, i mullah di Teheran sono sempre più sul punto di poter ordinare a loro piacimento di confezionare bombe nucleari pronte all'uso. A differenza dell'impiego di armi chimiche contro i civili siriani, questa prospettiva è una questione d'interesse personale più diretto e fondamentale per gli americani, perché potrebbe portare ad attacchi a impulsi elettromagnetici sul sistema della rete elettrica, riconducendo di colpo il Paese a un'economia simile a quella del XIX secolo e causando forse circa duecento milioni di morti.
Tali minacce fanno sì che i metodi con cui i siriani si uccidono gli uni con gli altri costituiscano per il Congresso una questione indubbiamente meno importante dell'intento iraniano di mettere in ginocchio gli Stati Uniti. In quest'ottica, va notato che Obama ha seguito le orme del suo collega democratico Bill Clinton, pronto a ricorrere all'uso della forza laddove gli interessi americani non sono oltremodo coinvolti, come in Somalia, Bosnia, Kosovo, Haiti, Libia e ora in Siria. Occorre davvero sostenere che le truppe americane siano dispiegate unicamente allo scopo di proteggere il proprio Paese?
Se il ministro degli Esteri saudita e la Lega araba chiedono in modo sprezzante alla "comunità internazionale" di fare il suo dovere e di fermare lo spargimento di sangue in Siria, quest'americano propone che i musulmani sunniti che vogliono proteggere i propri familiari e parenti in Siria lo facciano con i loro copiosi petrodollari e i grandi eserciti.
In quest'ottica, mi auguro che il Congresso respinga la questione secondaria proposta dall'amministrazione Obama e preferisca approvare una risoluzione che appoggi e incoraggi l'uso della forza contro le infrastrutture nucleari iraniane.
Per inviare la propria opinione a Stampa, Corriere della Sera, it.danielpipes.org, cliccare sulle e-mail sottostanti