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Informazione Corretta Rassegna Stampa
25.08.2013 Egitto: da che parte stare, e come
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 25 agosto 2013
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Egitto: da che parte stare, e come»

Egitto: da che parte stare, e come
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)


Abdel Fatah al Sisi con Mohamed Morsi

In Egitto la crisi si sta intensificando, entrambe le parti in conflitto si trincerano sempre di più sulle loro posizioni. I morti tra i sostenitori di Morsi, come quelli sul fronte dell’esercito, spingono le parti ad agire seguendo le proprie emozioni piuttosto che il buon senso. Entrambe pensano: “Gliela faremo vedere” e “li spezzeremo”, mentre i settori pubblici egiziani sono in tilt, le rappresentanze delle compagnie straniere sono fuggite in massa, e ciascuno accusa l’altro per la situazione disastrosa.

Il vice presidente Mohamed al-Baradei si è dimesso e ha abbandonato il Paese, perché aveva capito che l’Egitto stava  affondando in un mare di sangue, fuoco e lacrime, dove ogni giorno decine di persone sarebbero state uccise nelle strade, con l’economia al collasso, e che le soluzioni ai problemi del paese più lontane che mai. Al-Baradei potrebbe essere processato per tradimento perché ha abbandonato l’Egitto e si è sottratto alle proprie responsabilità.

L’esercito detiene in carcere da due settimane Mohammed Badie, la Guida Suprema dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, sospettato di aver incitato le masse alla violenza e allo spargimento di sangue. Se sarà effettivamente processato, i Fratelli e i loro sostenitori non staranno di certo a guardare passivamente, ma spingeranno il Paese in un’altra ondata di violenza.

Un altro fenomeno si affaccia, e desta profonda preoccupazione: la distruzione dei musei e il furto di reperti antichi. I ladri li vendono al mercato nero ai collezionisti per pochi soldi; si tratta soprattutto di monete d’oro, statue e parti di sarcofagi trafugati da antiche tombe dell’epoca dei faraoni. Emerge accanto al furto un’altra realtà: la distruzione degli oggetti esposti nei musei per il puro gusto del vandalismo fine a se stesso, scaturito dal profondo odio che i Musulmani fondamentalisti coltivano nei confronti delle culture preislamiche, in particolare verso la cultura dei Faraoni che l’islam considera eretica. Era già successo nel marzo del 2001 in Afghanistan, quando i talebani avevano distrutto due enormi statue di Buddha nella Valle di Bamiyan.

Anche a livello internazionale sono in arrivo profondi cambiamenti:  il progetto USA di mettere al potere i Fratelli Musulmani è fallito, ma la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato continuano a pronunciarsi in loro favore, opponendosi alle azioni dell’esercito, compreso l’arresto di Badie. Con Mubaraq agli arresti domiciliari, i capi dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi e Mohammed Badie, ne prenderanno il posto sul banco degli imputati. E’ come se Washington fosse entrata in coma il 30 giugno e non si sia ancora risvegliata dopo gli ultimi avvenimenti.

Il Generale al-Sisi non sta cedendo alla pressione americana, e malgrado i buoni rapporti tra l’esercito egiziano e gli Stati Uniti, si rifiuta di accettare le richieste di Obama, infuriandosi quando gli americani rilasciano dichiarazioni contro le decisioni prese dall’esercito. Dichiara di prendere le proprie decisioni in difesa degli interessi dell’Egitto, in contrasto con le posizioni di Obama. Al-Sisi conosce i tragici fallimenti della politica medio orientale americana in Iraq, Afghanistan, Libia e Iran e sa bene che non può permettere agli americani di influire sul futuro dell’Egitto, perchè diventerebbe un altro anello della catena dei disastri già avvenuti.

Tuttavia, persino al-Sisi potrebbe non essere in grado di prevenire le ondate di terrore, che porterebbero l’Egitto a una condizione simile a quella della Siria o dell’Iraq. I Paesi vicini, Libia e Sudan, come pure la Penisola del Sinai, sono colme di armi di ogni tipo, e il confine con questi Stati è lungo e pieno di accessi incontrollabili. L’Egitto potrebbe diventare un polo d’attrazione per jihadisti dell’intero mondo islamico, pronti a imporre l’islam come già hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Siria e Libia. L’Egitto potrebbe anche diventare una vittima del “terrorismo internazionale”, con auto-bombe, attacchi suicidi, assassinii di personaggi importanti, attacchi a basi militari, treni, ponti, linee elettriche e dighe. L’Egitto  diventerebbe un inferno, in particolare per i cristiani copti, che stanno già vivendo in un Paese in cui in una settimana sono state date alle fiamme sessanta chiese.

Sarebbe meglio per tutti noi cominciare ad abituarci allo scenario di radicalizzazione e all’intensificarsi della situazione interna all’Egitto per non essere presi alla sprovvista quando succederà il peggio, anche se mi auguro di sbagliare.

L’arena internazionale


Barack Obama

E’ molto interessante osservare come il mondo si schiera, a favore o contro al-Sisi: gli USA sono i suoi maggiori oppositori, o meglio, lo sono il Presidente Obama e il Dipartimento di Stato. D’altro canto altri leader americani sostengono l’esercito e le misure che sta prendendo contro i Fratelli Musulmani. L’Europa pensa invece che l’esercito non abbia agito democraticamente quando ha tolto i poteri alla Fratellanza. Obama, il Dipartimento di Stato e l’Europa vogliono la democrazia ad ogni costo, persino al prezzo di trasferire il potere, ovviamente con elezioni democratiche, a uno Stato islamista che basa le sue fondamenta su nessun valore democratico: il principio della legalità, la separazione dei poteri, la laicità, i diritti delle minoranze, i diritti delle donne, la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà di assemblea, la libertà di culto. Al-Sisi conosce molto meglio di loro quanto sta avvenendo Egitto.


Recep Erdogan

Erdogan, alleato di Morsi e antisemita da sempre, dice al mondo che in realtà dietro la rivoluzione contro i suoi Fratelli Musulmani, c’è Israele. Con il risultato di essere considerato con freddezza dagli Stati Uniti e dall’Egitto. E’ la solita teoria della cospirazione, quella contenuta nei  “ Protocolli dei Savi di Sion” che Erdogan proclama a voce alta ed apertamente. Alla luce di questo suo comportamento, il Primo Ministro di Israele dovrebbe prendere in considerazione di ritirare le scuse fatte alla Turchia per l’incidente della Mavi Marmara.

Molto più importante è la posizione dell’Arabia Saudita: sostiene l’esercito di al-Sisi e si oppone al governo dei Fratelli Musulmani. L’Arabia Saudita vorrebbe persino offrire i finanziamenti per coprire il mancato stanziamento americano, se gli Stati Uniti dovessero cancellarlo dopo la destituzione di Morsi. I Sauditi assumono questa posizione in una opposizione netta e coraggiosa contro il Presidente degli Stati Uniti, per due ragioni: la prima perché ritengono che il Presidente Obama non capisca niente dei princìpi che guidano il Medio Oriente e così, senza un buon motivo, si schieri con i Fratelli Musulmani; la seconda ragione è che i Sauditi sono in collera con Obama perché non ha preso alcuna decisione riguardo al programma nucleare iraniano, che terrorizza i Sauditi più di quanto non spaventi Israele.

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Ma la ragione più profonda del grande odio tra Arabia Saudita e Fratelli Musulmani sta nella differenza culturale: l’Arabia Saudita è wahhabita-salafita, mentre la Fratellanza rappresenta l’Islam politico contemporaneo. La differenza è profonda: i Fratelli Musulmani vogliono imporre una religione fondata nel deserto nel VII° secolo alla società moderna del XXI° secolo; mentre i Salafiti vogliono adeguare la società e lo Stato del XXI° secolo alla religione e alla cultura del deserto del VII° secolo. Non c’è alcuna possibilità di creare un ponte tra questi due approcci culturali apparentemente non distanti,ma i Salafiti sono per un regime militare, contro il modello di islamico dei Fratelli.

Israele

A questo punto sorge la domanda su come Israele potrebbe influenzare gli eventi in Egitto.

Il Medio Oriente ha alcune caratteristiche alle quali noi non  siamo ancora abituati: Israele è considerata un’entità illegittima, così chiunque sostenga Israele perde di legittimità. In qualsiasi conflitto medio-orientale tra la parte A e la parte B, se Israele vuole sostenere la parte A, deve dichiarare di sostenere la parte B. Ne consegue che la parte B perderà di legittimità e la parte A sarà più forte. E’ un ragionamento contorto ma chiaro. La stessa cosa vale per gli Stati Uniti.

Un altro aspetto difficile da comprendere è la dinamica politica del Medio Oriente, soprattutto dall’inizio dell’ “Inverno Arabo”. L’amico di ieri diventa il nemico di oggi, e il nemico di oggi potrebbe diventare l’amico di domani. Israele ha interesse che l’esercito egiziano vinca la lotta per il potere in Egitto, quindi è ovvio che lo sostenga, anche se con discrezione. Ma potrebbe benissimo succedere che questo esercito domani schieri nel Sinai forze su vasta scala, con la scusa di essere impegnato nella “guerra al terrorismo”, e ciò andrebbe contro gli accordi di pace. Potrebbe anche dichiarare una sospensione degli accordi di pace, per calmare la rivolta nelle strade egiziane. Potremo affermare anche in questo caso che l’esercito è un amico?

Le dichiarazioni pubbliche secondo cui “ è nell’interesse di Israele mantenere gli accordi di pace” provocano un danno enorme, perché fanno capire ai nostri nemici che esiste un punto vulnerabile sul quale essi potrebbero far pressione dato che tra noi ci sono quelli che desiderano dare qualsiasi cosa pur di ottenere un pezzo di carta su cui viene siglata la parola “pace”.

Conclusioni

Israele deve sostenere i suoi amici dietro le quinte, non sotto i riflettori e a voce alta. In questa regione nessuno ci ama veramente, anche se ha il nostro sostegno. Attività disgiunte non danneggeranno i nostri amici per aver collaborato con noi, e noi non saremo vulnerabili nel caso succeda un altro fallimento, nel caso in cui la parte che abbiamo sostenuto, come è successo con i cristiani libanesi, si schieri poi, per convenienza, contro di noi.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
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