Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/06/2013, a pag. 14, l'articolo di Antonella Rampino dal titolo "Bonino spinge Ankara in Europa".
Emma Bonino Recep Tayyp Erdogan
La sottovalutazione dell'islamismo di Erdogan da parte del ministro Bonino, è un pericolo non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa.
Erdogan ha annullato le libertà economiche, politiche e civili che la Turchia aveva ereditato dalla rivoluzione modernizzatrice di Atatürk.
Con Erdogan il futuro della Turchia sarà sempre più islamico e la sua presenza in Europa segnerebbe la fine del nostro progresso democratico.
Ecco il pezzo:
Ankara deve fare luce su quanto avvenuto durante le proteste, ma «Taksim non è piazza Tahrir, è una protesta che somiglia alle manifestazioni che chiamiamo occupyqualcosa, la Turchia ha radici democratiche» e la lunga marcia di avvicinamento di Ankara all’Europa non deve fermarsi: l’Europa non deve rinunciare ad avere «influenza» sulla politica turca e sul rispetto dei diritti. E anzi, «il processo di adesione alla Ue ha sempre dimostrato di essere una potente leva di impulso alle riforme democratiche nei Paesi candidati».
Emma Bonino interviene in Senato sulla situazione politica in Turchia e dà una lettura in positivo della recente riunione dei ministri degli Esteri dei 27 (che da domenica saranno 28, con l’ingresso della Croazia): l’apertura del negoziato sulla politica regionale il cosiddetto capito 22 - «è un passo in avanti». Certo, meglio sarebbe stato «aver aperto anche il capitolo negoziale sulla giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali», cosa che avrebbe significato un modo efficace per influire su Erdogan e sulla sua «capacità di ascoltare la voce dei cittadini, visto che democrazia significa anche ascoltarli, e non solo vincere le elezioni». Ma intanto, col capitolo 22, un primo passo è stato compiuto.
Il ministro degli Esteri l’aveva detto subito, anche personalmente, all’omologo turco Davutoglu che le aveva telefonato all’indomani della riunione in Lussemburgo in cui è stata presa quella decisione, apprezzata da Ankara, anche perché – ha osservato Bonino di fronte alla delusione che Davutoglu le manifestava – «meglio tre mesi di attesa in più, che un negoziato bloccato». In Senato, il ministro ha ribadito che «si è evitato il muro contro muro», allontanando così il rischio di «spingere Ankara verso altri poli». Emarginare la Turchia non è nell’interesse politico ed economico dell’Unione europea, né dell’Italia, «né di un popolo, quello turco, che aspira a un ancoraggio europeo». E aspira, aggiungeremmo, dal 1964.
Sulle proteste di Gezi Park il governo italiano, assicura il ministro, «ha insistentemente rivolto al governo turco un forte appello alla moderazione e alla ricerca di soluzioni condivise» che, a differenza di «reazioni sproporzionate», sono «espressioni, proprio nei momenti critici, di una democrazia partecipativa e matura». Un percorso che, peraltro, la Turchia ha già imboccato, pur tra luci ed ombre.
Al mattino, prima di riferire in Senato sulla Turchia, il ministro aveva parlato del caso dei marò: «Siamo sulla strada per una soluzione giusta e rapida a una vicenda gestita in modo pasticciato». La prima buona notizia è che il caso è stato spostato dal Kerala a New Delhi, la seconda è che saranno giudicati da una Corte speciale. Tra breve finiranno le indagini supplementari, e inizierà il processo. In caso di condanna «abbiamo firmato un accordo perché la pena sia scontata in Italia».
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