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La Stampa-Corriere della Sera-Jewish Journal Rassegna Stampa
27.06.2013 Matrimoni gay in Usa: una sentenza storica. Perchè ci interessa
Cronaca di Maurizio Molinari, Alsessandra Farkas intervista David Leavitt, il commento di Edgar M.Bronfman

Testata:La Stampa-Corriere della Sera-Jewish Journal
Autore: Maurizio Molinari-Alessandra Farkas-Edgar M.Bronfman
Titolo: «Nozze gay, storico sì della Corte Suprema-Quando l'Aids ci ha fatto capire valori e vantaggi dlla vita borghese-Jewish values dictate protecting gay marriage»

Qualcuno potrà chiedersi perchè Informazione Corretta inserisce fra le proprie notizie una che, apparentemente, non attiene agli argomenti che abitualmente trattiamo, una domanda alla quale IC risponde -  oltre alla pubblicazione della cronaca di Maurizio Molinari, l'intervista di Alessandra Farkas a David Leavitt, uno dei più interessanti giovani scrittori statunitensi -con un articolo di Edgar M. Bronfman, una delle personalità di maggior rilievo fra gli ebrei americani. già Presidente  del Congresso Mondiale Ebraico.
 Bronfman spiega bene perchè la difesa dei diritti dei cittadini in un paese democratico non può prescindere dal concetto di uguaglianza per tutti. E che questo rientra a pieno diritto nei valori che gli ebrei hanno da sempre perseguito attraverso i millenni. La democrazia israeliana ne è oggi un esempio. Ci scusiamo per non avere avuto il tempo di tradurlo, ma era importante che uscisse oggi.
Ecco i tre articoli:

La Stampa-Maurizio Molinari: " Nozze gay, storico sì della Corte Suprema"


Maurizio Molinari               La Corte Suprema Usa

La Corte Suprema di Washington assegna una vittoria storica alla campagna per i diritti dei gay in America grazie a due sentenze che demoliscono la legge sul matrimonio come «unione fra un uomo e una donna» e il bando delle nozze gay in vigore in California.

Nel primo pronunciamento il «Defense of Marriage Act», approvato dal Congresso nel 1996 durante la presidenza di Bill Clinton a tutela del matrimonio inteso come «unione fra un uomo e una donna», viene definito «incostituzionale perché priva le persone dei pari diritti di libertà garantiti dalla Costituzione». La sentenza approvata con 5 voti contro 4 grazie al sostegno dei giudici liberal più Anthony Kennedy - che ne è l’autore - premia la tesi di Edith Windsor, la newyorkese che contestava al governo l’impossibilità di usufruire dei diritti famigliari nel trasferimento di eredità dalla coniuge deceduta. Il risultato immediato del verdetto è l’obbligo per il governo di estendere parità di benefici economici e normativi a tutti i dipendenti gay. Per questo il presidente Barack Obama, da bordo dell’Air Force One in viaggio verso il Senegal, fa sapere di aver «dato disposizione al ministero della Giustizia di apportare le necessarie modifiche ai regolamenti». Più in generale, la sentenza di Kennedy delegittima il «Defense of Marriage Act» come lo stesso Obama afferma parlando di «abolizione da parte della Corte Suprema di una legge discriminatoria che trattava le coppie gay e lesbiche come se fossero cittadini di seconda classe».

La seconda sentenza penalizza la «Proposition 8» ovvero il bando delle nozze gay approvato con un referendum in California nel 2008. In questo caso la maggioranza di 5 a 4 è però bipartisan: i conservatori Roberts, presidente, e Scalia votano assieme ai liberal Bader Ginsburg, Breyer e Kagan perché si afferma il principio della «competenza della Corte statale sul matrimonio», rimandando così la questione delle nozze gay alla California che le aveva legalizzate. «Non possiamo esprimerci su una questione di competenza degli Stati» scrive Roberts nella sentenza.

La comunità gay è in festa perché la California si avvia ad essere il 13° Stato che legittima le nozze omosessuali e Obama parla di «uno storico passo avanti verso l’uguaglianza» che rispecchia l’opinione della nazione: oggi i favorevoli alle nozze gay sono il 55 per cento - per un sondaggio Nbc - rispetto al 32 di dieci anni fa. È stato proprio Obama, assieme al vice Joe Biden, a guidare questa trasformazione silenziosa dell’opinione pubblica, facendo dei diritti pro-gay uno dei temi della rielezione e, in particolare, equiparando tale battaglia a quelle combattute in passato a favore degli afroamericani e delle donne.

La Conferenza episcopale americana, con un comunicato firmato dal presidente Timothy Dolan, parla invece di «giorno tragico per la nazione» imputando alla Corte Suprema di «aver sbagliato» e chiedendo al governo federale di «continuare a rispettare la verità che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna». Poiché la Corte Suprema ha ribadito che la definizione delle nozze spetta ai singoli Stati è su questo terreno che ora si sposta lo scontro: sono 30 quelli dove al momento i matrimoni gay sono banditi e dunque la battaglia per legalizzarli si indirizza al momento lì dove i Parlamenti non hanno ancora deciso, come ad esempio in Illinois e New Jersey.

Corriere della Sera-Alessandra Farkas: "Quando l'Aids ci ha fatto capire valori e vantaggi dlla vita borghese"


Alessandra Farkas        David Leavitt

NEW YORK — «Nei prossimi giorni mi aspetto che tutti gli stati dove il matrimonio gay è ancora illegale facciano causa contro un divieto reso incostituzionale dal massimo tribunale del paese, che ha l’ultima parola su tutto. Ringrazio il giudice Kennedy, nominato da Reagan, che ci ha regalato una data per i libri di storia».

David Leavitt, il 52enne scrittore dichiaratamente gay, autore di classici della letteratura omosessuale quali Ballo di famiglia (1984) e La lingua perduta delle gru (1986) si dice «estasiato» di fronte a una sentenza che, spiega, «a 20 anni non mi sarei mai potuto immaginare», racconta al telefono da Gainesville, dove insegna scrittura creativa alla University of Florida. «Negli anni 70 e 80 a molti gay interessava fare outing e vivere secondo il modello di liberazione e promiscuità sessuale rappresentato all’epoca da Castro Street a San Francisco e dal Village a New York. Il matrimonio era un’istituzione borghese per eterosessuali. Ma forse eravamo come la volpe e l’uva: ci eravamo convinti di non averne bisogno perché non potevamo averlo».

Che cosa ha spinto il movimento a cambiare registro?

«L’epidemia di Aids, quando i pazienti sieropositivi e i loro partner scoprirono di non essere uguali agli altri americani di fronte alla legge. Oltre a non poter usufruire della copertura assicurativa dei loro compagni, non potevano visitarli in ospedale e non avevano diritto legale all’eredità, dopo la morte».

Il matrimonio per non essere più cittadini di serie B?

«Di fronte a una catastrofe sterminata come l’Aids molti gay si sono rifugiati in stili di vita più conservatori. Abbiamo smesso di essere una parata folcloristica per diventare coppie e famiglie affiatate».

Avete scoperto la monogamia, insomma?

«Le coppie gay e lesbiche sono sempre esistite: nessuno si accorgeva di loro perché la sera stavano a casa invece di frequentare i club gay. Io conosco coppie omosessuali che sono insieme da oltre 60 anni. Marc ed io abbiamo festeggiato il nostro 21° anno insieme. Quando sarà possibile anche in Florida, ci sposeremo».

Quali sono state le tappe culturali dietro il cambiamento?

«Nel 1980 John Boswell, mio docente a Yale, vinse il prestigioso National Book Award con un libro Christianity, Social Tollerance and Homosexuality dove dimostrava che il cattolicesimo delle origini benedisse per un intero millennio le unioni tra persone dello stesso sesso. Nove anni più tardi, l’opinionista repubblicano Andrew Sullivan ha creato uno scisma tra i conservatori con un saggio su New Republic dove sosteneva che non c’è nulla di più conservatore del matrimonio, gay e non».

Oggi tra i giovani under-29 il sostegno arriva al 70%.

«Lo vedo dai miei studenti che danno per scontato ciò che per la mia generazione era un’anomalia».

Lei ha vissuto per nove anni in Italia. Pensa che anche il nostro Paese seguirà l’esempio Usa?

«A differenza di altri paesi cattolici quali Portogallo, Argentina e Spagna, l’Italia è estremamente omofoba. E dire che alla fine del 900 era la mecca di tanti esuli gay perseguitati nel mondo anglosassone. Ma nel Bel Paese c’è una netta distinzione tra sesso omosessuale, molto praticato, e identificazione coi valori e l’identità gay. L’ambivalenza tipica della vostra cultura».

Jewish Journal-Edgar M. Bronfman: " Jewish values dictate protecting gay marriage"

Edgar M. Bronfman è stato presdiente del Congresso Mondiale Ebraico
per la sua scheda bibliografica,
ecco il link:
http://en.wikipedia.org/wiki/Edgar_Bronfman,_Sr.



Edgar M.Bronfman




Demonstrators in Washington on June 26. Photo by James Lawler Duggan/Reuters

Demonstrators in Washington on June 26. Photo by James Lawler Duggan/Reuters

In the early 1970s, while I was CEO of the Seagram Company, public dialogue about gay rights was largely nonexistent in corporate America. Social discourse had not yet even evolved into the “don’t ask, don’t tell” ethos that dominated the following decades. Homosexuality was simply not discussed and therefore, by implication, was shameful.

During that time, as the head of a company with thousands of employees, personnel issues often came across my desk. One day, the director of human resources came into my office with a recommendation to terminate one of my brightest executives. I found myself puzzled that anyone would want to fire such a promising young man until the director leaned in and confided in a hushed tone, “Well, you know, he’s a homosexual.”

The declaration did persuade me -- but not in the way he had hoped.

The promising young executive continued on to a distinguished career at Seagram, and the HR director was soon let go. Although my choice was shocking to the director, the decision was obvious to me: to fire a person because of their sexual orientation was not only wrong, it was bad business. It was discrimination, plain and simple, and would not be tolerated in the company I ran.

More than 40 years later, I still feel such discrimination to be unequivocally wrong, but my views on the subject of gay rights have evolved. Particularly today, as we celebrate the U.S. Supreme Court’s decision to recognize the legality of gay marriage, I now see marriage equality as a moral imperative because of my Jewish roots.

Just as the high court has shown moral bravery in its recognition of gay marriage, the Jewish community should follow its example in our myriad communities. As Jews, we should remember that our tradition upholds the bond between two loving people and the families they create as a source of strength and commitment to the betterment of the world.

“Justice” is a word we are taught early in life, and we are reminded constantly that it is a principle we should uphold and promote. In Hebrew, the word tzedek is used to promote acts of loving kindness and righteousness. Its diminutive, tzedakah, is translated as charity, but it is much more. We are taught in the Torah, in the book of Deuteronomy 16:20: “Justice, Justice shall you pursue.” In Hebrew, “Tzedek, tzedek tirdorf.”

It is a vital, active imperative for the Jewish people to be on the front lines of issues protecting and promoting the rights of any group being treated unfairly. To take approximately 10 percent of the U.S. population and tell them they are second-class citizens is clearly unjust. As Jews we are instructed to seek justice for the stranger, the widow and the orphan because too often society discriminates against and takes advantage of those without advocates.

I have come to see the protection of gay marriage as a manifestation of the Jewish value of seeking justice for those who are enslaved. To those who cover their prejudice with reference to biblical injunctions against homosexuality, I ask if they are willing to live by every other law listed in the Torah. For such literalists, I submit that the very Torah portion of Leviticus that they so often quote also enjoins us to harbor no hatred against our brother and our neighbor.

To freeze Judaism in time because of ancient biblical edicts is to deny that Judaism is a mighty river that moves forward through time, a living entity that changes course and becomes renewed through what it meets on the banks. Like a river, it retains its essential character although it is constantly renewed and evolving.

Today, the Jewish pursuit of justice must channel itself against the denial of marriage equality. For Jews, who have suffered so much throughout history at the hands of prejudice, to stand idly by while any group is treated so unfairly is unequivocally wrong.

I have been inspired in my thinking on gay rights and marriage equality by a woman I have known since she was a teenager. She is now the leader of Keshet, a group that promotes equality for the LGBT community in the Jewish world.

Idit Klein first came to my attention when she was in high school. She was a student on a program I founded called the Bronfman Youth Fellowship that targets Jewish teens of exceptional promise from an array of backgrounds. In my conversations with her over the years, I have learned that the issues facing LGBT Jews are ones on which all Jews need to speak out.

Within the Jewish community we must endeavor to include and celebrate the diversity of families and couples within all aspects of religious, communal and institutional life. When our communities continue to open their tents as our forefather Abraham did, to include all who wish to participate in Jewish life, our people’s possibilities expand and gain strength.

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