Primavera turca: davvero ?
Commento di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar
La Turchia è in subbuglio. Decine di migliaia di manifestanti hanno fatto irruzione nelle piazze in quasi un centinaio di città in tutto il paese, in una vociante e audace protesta contro il Primo Ministro, Recep Tayyip Erdogan.
Ci sono stati dei morti, 1500 i feriti e circa 2000 gli arrestati. Le manifestazioni nelle strade hanno ricordato quelle di massa del gennaio 2011 in Tunisia, che hanno costretto il Presidente ben’Ali a fuggire; quelle di piazza al-Tahrir al Cairo, concluse con la caduta di Mubarak; le sommosse all’inizio di quella che è stata chiamata la “primavera araba” in Libia, Yemen, Bahrein e Siria.
C’è da chiedersi se è arrivato il momento per la società turca di liberarsi del Primo Ministro Erdogan e forse anche del partito religioso “Giustizia e Sviluppo”, che ha governato il paese dal 2002 come un partito unico, senza la necessità di una coalizione, perché ha la maggioranza in parlamento.
La risposta alla domanda è “probabilmente no”, ovvero il governo di Erdogan e il Partito Giustizia e Sviluppo non sembrano essere in pericolo immediato per diverse ragioni: il primo e principale motivo è che, dopo tutto, la Turchia è un paese democratico, anche se la democrazia non è perfetta, e in un paese democratico, il Presidente del Consiglio è sostituibile attraverso le elezioni, non con le dimostrazioni. In contrasto con la minoranza curda, i turchi si riconoscono nel paese in tutti i suoi settori, e il governo è considerato legittimo, nonostante le critiche sostanziali sul suo funzionamento. Non c’è un desiderio pressante di rovesciare il governo, piuttosto di migliorarne il funzionamento e correggere la direzione verso cui sta trascinando la società. Gli slogan ascoltati esprimono la rabbia dei manifestanti sul comportamento di Erdogan, in realtà è la sua persona ad essere al centro delle dimostrazioni. Uno dei cartelli lo mostrava accanto a Hitler, entrambi ritratti nel saluto nazista, e per tutti coloro che non avessero colto il significato dell’immagine, c’era scritto “Erdogan = Hitler”.
La seconda ragione è che il regime vuole realmente abbassare i toni, per questo durante le manifestazioni i poliziotti erano schierati a qualche distanza per minimizzare il più possibile il contatto con il pubblico e ridurre al minimo la possibilità di colpire i dimostranti. Rispetto a Egitto e altri paesi arabi della “Primavera araba”, la situazione in Turchia è molto migliore, almeno in questa fase.
La terza ragione per cui Erdogan rimarrà al potere è che, più cresceranno le manifestazioni contro di lui, tanto più sarà giustificato nel cercare fra la gente di rafforzare il proprio governo. I suoi sostenitori, così come l’ opposizione, sanno bene che nel corso degli ultimi undici anni ha portato la Turchia - in confronto con l’Europa- a un buon livello economico, pur avendo ricevuto un rifiuto per l’adesione dall’ Unione europea. Lui – islamista – lo accolse con difficoltà, essendo la vera ragione della non accettazione il carattere islamico del paese. L’Europa non vuole 80 milioni di musulmani al suo interno. In questi ultimi cinque anni, dall’inizio della crisi economica nel 2008, Erdogan ha guardato sorridendo l’Europa sull’orlo del baratro. Se la Turchia fosse stata membro dell’Unione Europea, avrebbe dovuto sostenere - come gli altri - la Grecia; e non c’è nulla che i turchi vogliano di meno. In Turchia il Pil pro capite è di circa 14.000 dollari l’anno, mentre in Egitto è meno della metà - circa 6.000- ci sono milioni di persone che vivono con 2 dollari al giorno, mentre in Turchia il successo economico contraddistingue molti strati della popolazione. È vero, ci sono sacche di povertà anche in Turchia, ma non c’è una massa critica e il loro impoverimento non è sufficientemente grave - come in Egitto - da portare milioni di persone in piazza a manifestare contro il regime, per fame e povertà.
Il malcontento
Le manifestazioni contro Erdogan nascono all’interno dell’ opposizione, e per molti fattori alcuni ritengono che si sia superato il limite.
Il primo problema è culturale. La Turchia è un campo di battaglia tra la tradizione islamica e l’eredità laico-nazionalista di Mustafa Kemal “Ataturk” , che fondò la Turchia moderna, dopo la sconfitta dell’impero ottomano nella Prima Guerra Mondiale. Con la sua ascesa al potere, verso la fine del 1923, aveva imposto al paese un programma laico nazionalista, non aveva proibito il consumo di bevande alcoliche e fece del “raki” la bevanda nazionale, nonostante l’elevato grado alcolico. Abolì l’osservanza obbligatoria della Shari’a islamica, impose ai turchi il matrimonio civile e il divorzio, cambiò la lingua scritta con caratteri arabi in quelli latini, chiuse le madrasse, destituì gli imam, proibì l’uso di turbanti, incoraggiò le donne a uscire senza coprirsi il volto, come avveniva in Europa, e ne promosse i diritti politici e civili. Il suo successore – il Presidente Ismet Inonu - aveva continuato questo percorso fino al 1950. Così, per quasi 30 anni, i cittadini della Turchia avevano ricevuto un rigoroso “programma educativo” destinato a spogliarli dell’“Islam”, aprendoli a un secolarismo moderno liberale in tutto, tranne che per la religione.
In parallelo, il bazar - il shuk - si era sviluppato per diversi motivi. Questi fattori includono la stabilità economica, un senso di “il commercio innanzitutto”, i mercati europei e le masse di turisti venuti per gustarsi il clima piacevole, le spiagge invitanti e il servizio “tutto compreso”. L’esercito, il Parlamento, la Presidenza e l’Alta Corte di Giustizia, tutti costituivano un sistema previsto per “salvaguardare la Costituzione”, che vuol dire l’aspetto laico dello Stato.
Questa rieducazione ha funzionato bene nelle città, perché lì il regime aveva una presenza efficace ed effettiva, e le sue diverse ramificazioni potevano monitorare l’applicazione delle leggi e dei principi anti-islamici. Nelle città si era sviluppata un’élite culturale che comprendeva attori, scrittori, poeti, giornalisti, politici, avvocati e medici, oltre a docenti universitari, economisti e amministratori, con una rappresentanza impressionante di donne all’interno di questa moderna élite “europea”. Dal punto di vista demografico, come succede nelle élite di tutto il mondo, questo gruppo ha un basso tasso di natalità, soprattutto perché le donne hanno di solito dei progetti di lavoro, oltre ad essere mogli e madri. Pertanto, l’età media del matrimonio è relativamente elevata e il numero di figli è basso.
L’orientamento verso il laicismo è stato problematico nei villaggi, dove la tradizione non subì cambiamenti, perché il regime aveva una presenza scarsa e marginale. Più un villaggio era lontano da un centro urbano, più i suoi abitanti erano legati alla tradizione, e di conseguenza il tasso di natalità nei paesi rimase alta. Così, per 90 anni – quattro generazioni - dal momento in cui Ataturk iniziò la rivoluzione culturale, i cittadini laici sono diventati una minoranza in Turchia mentre i tradizionalisti sono diventati maggioranza. Questa realtà si è espressa in Parlamento quando il partito religioso “Welfare Party” di Necmettin Erbakan vinse le elezioni nel 1996. La società laica non accettò la sconfitta e chiese all’Alta Corte di Giustizia – allora ancora una roccaforte laica - di mettere fuori legge il partito religioso. Il tribunale lo fece, e Erbakan fu costretto a lasciare nel 1997.
Circa sei anni dopo, nel 2003, il suo allievo, Erdogan, assunse il potere dopo aver vinto la maggioranza in Parlamento con il suo partito “Giustizia e Sviluppo”. La maggior parte dei settori laici furono estromessi dalla politica, e per Erdogan e i suoi è stata una sorta di vendetta per le decine di anni in cui i religiosi furono emarginati. Dal momento in cui il partito islamico è salito al potere la sfera pubblica turca ha subito molti cambiamenti: i tribunali islamici sono stati portati a riconsiderare le cause di divorzio, le donne sono state autorizzate a entrare nelle università con il copricapo e si è tentato di proibire aborti e il consumo di alcol. Gli ufficiali laici dell’esercito sono stati sostituiti con quelli che erano fedeli al regime islamico, e, parallelamente, sono state effettuate modifiche nell’Alta Corte di Giustizia dopo un referendum.
I settori laici si oppongono a questi processi islamici, e negli ultimi 11 anni hanno cercato di fermarli, perchè l’Islam sta gradualmente riprendendo la posizione che occupava prima della sconfitta dell’Impero Ottomano. La gioventù irrequieta che è scesa in piazza portava striscioni di colore rosso, il colore della nazione turca; al contrario, gli striscioni che i seguaci dell’Islam portavano nelle loro dimostrazioni contro la guerra in Iraq nel 2003 erano di colore verde. Il rosso nazionalista contro il verde islamico, e nella lotta per la cultura turca, il colore come identità culturale e politica.
Tratti dittatoriali
La seconda questione che ha portato i manifestanti nelle strade era il comportamento dittatoriale di Erdogan: in questi ultimi anni ha mandato in carcere quasi un centinaio di giornalisti a causa delle loro critiche nei suoi confronti. Il governo della Turchia, sotto la sua guida, ha monitorato ciò che gli utenti turchi di Internet mettono sui social network, in particolare su Facebook e Twitter. La polizia si permette di sedare spietatamente le manifestazioni contro Erdogan usando gas mischiato con acqua e persino proiettili rivestiti di gomma che causano un forte dolore, anche se non uccidono. In recenti manifestazioni un manifestante ha perso un occhio per essere stato colpito da un proiettile di gomma. Lo stile rozzo e arrogante di Erdogan provoca l’ira di molti.
L’accordo che Erdogan ha raggiunto ultimamente con il leader curdo Abdullah Ocalan, ha anche provocato la collera di coloro che vedono la nazione turca e i suoi diritti come principi prioritari. Vedono questo accordo come una resa al terrorismo curdo, e dal loro punto di vista, qualsiasi resa ai curdi danneggia il carattere turco del paese.
Anche la politica estera di Erdogan si attira una notevole mole di critiche: i suoi avversari sono convinti che dopo il suo coinvolgimento in Siria, il caos sia peggiorato, e che il paese ci abbia rimesso nei mercati del mondo arabo, verso i quali la Siria aveva fatto da ponte. I rifugiati siriani in Turchia - circa duecentomila, ma molto probabilmente sono di più - rappresentano un peso per il bilancio turco, e la tensione al confine tra Turchia e Siria certo non contribuisce alla tranquillità necessaria per la prosperità economica. Molti turchi laici sono contrari agli aiuti che Erdogan fa pervenire ai ribelli siriani, che identificano con al-Qaeda, proprio come si oppongono alla sua palese simpatia per il movimento di Hamas a Gaza, e lo accusano di aver provocato l’episodio della Mavi Marmara. Non sono d’accordo con la risposta israeliana, che a loro parere fu irragionevolmente esagerata, ma parallelamente sono numerosi quelli che pensano che tutto era iniziato come una provocazione ingiustificata di Erdogan.
La voce roca di Erdogan nel parlare, il modo sprezzante con cui si rivolge all’opposizione politica, i suoi inchini alle tonache religiose e la sua militante politica estera verso il Medio Oriente, suscitano nell’opposizione la preoccupazione che stia cercando di restaurare l’impero ottomano e diventarne un moderno sultano. Queste preoccupazioni sono aumentate negli ultimi due anni, da quando ha incominciato a trasferire l’autorità dal Primo Ministro al Presidente, con l’intenzione che quando sarà eletto Presidente nel 2014, avrà l’autorità di governare come il Presidente degli Stati Uniti, della Francia e del Brasile, che esercitano il potere esecutivo nei loro paesi.
I fatti di piazzaTaksim
Il quartiere è il centro di Istanbul e la roccaforte del moderno stato nazionalista. Lì c'è il parco Gezi con centinaia di alberi secolari, dove Ataturk amava passeggiare. I progetti di miglioramento del luogo comprendono la costruzione di una moschea e lo sradicamento degli alberi, che appaiono ai cittadini laici come un colpo dell’islam inferto ai simboli della laicità e del nazionalismo turco. Questa decisione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la scintilla che ha infiammato il popolo laico e l’ha spinto a difendere la piazza Taksim con i propri corpi, a proteggere i simboli della nazione, la cultura, le arti, la democrazia e la libertà di parola e di esprimere critiche.
Si vocifera che tra chi beneficia delle varianti di Piazza Taksim, ci siano due agenti immobiliari personalmente vicini a Erdogan. Questo crea l’impressione che il regime sia marcio e corrotto, e che si elimino i simboli nazionali grazie all’amicizia con il Premier.
Erdogan accusa gli stranieri di fomentare le masse contro di lui, e utilizza in sua difesa la teoria della cospirazione. “Comunisti”, lui li chiama, e i suoi portavoce affermano che coloro che fomentano le manifestazioni sono non più di una manciata di persone marginali, appartenenti alla sinistra estrema. I media turchi minimizzano gli eventi della scorsa settimana in modo da non dare pubblicità gratuita ai promotori delle manifestazioni, affinchè il pubblico non sia incoraggiato a partecipare. Lo stesso Erdogan dichiara di “lavorare come al solito”e questa settimana sta facendo visita ai paesi del Nord Africa. Dovrà poi andare anche a Gaza nel corso del mese, in evidente spregio del Presidente degli Stati Uniti il cui segretario di Stato - John Kerry - cercò di dissuaderlo dal farlo.
Come sarà il futuro?
Da come le cose stanno oggi, le manifestazioni non mettono in pericolo il governo turco e non danneggiano in modo significativo l’immagine di Erdogan. Ci sono analisti che sostengono che le manifestazioni possano addirittura rafforzare la sua posizione tra i gruppi religiosi, perché questi temono la rinascita del laicismo e il suo ritorno al potere. Qui condivido con i miei lettori quello che io stesso ho sentito quando ho visitato la Turchia l’estate scorsa e ho incontrato alcuni dirigenti del partito religioso dominante. Tra di loro c’era chi esprimeva notevole risentimento circa lo stile rozzo del Primo Ministro, la sua impulsività, il modo arrogante con cui egli si rivolge a chiunque sia al di fuori della sua cerchia ristretta, e la grossolanità che ha portato nel discorso politico del paese. Inoltre non c’era accordo con il modo con cui si relaziona con Israele. Alcuni di loro addirittura hanno affermato di rimanere a disagio a causa sua, ma non hanno altra scelta se non sostenerlo, perché lui sa come coinvolgere le masse; un leader diverso potrebbe significare il ritorno dei laici al potere .
Erdogan dovrà trarre conclusioni dalle manifestazioni, anche se dovessero fermarsi, perché se continua a comportarsi come ha fatto fino ad oggi, potrebbero continuare e addirittura aggravarsi. Se questo dovesse succedere, la Turchia pagherà un alto prezzo economico a causa della riduzione del turismo, poiché i turisti non mettono piede in paesi instabili (vedi Egitto, Tunisia e Siria).
E’ ragionevole supporre che in un prossimo futuro, Erdogan sarà più disponibile verso chi, nel suo partito, non concorda con il suo modo di comunicare e con il controllo che esercita anche su questioni irrilevanti. Potrebbe persino concedere la libertà ad alcuni dei giornalisti in carcere. Nella situazione venutasi a creare in seguito alle manifestazioni, difficilmente potrà continuare a modificare la Costituzione per rafforzare la posizione del Presidente a scapito del Primo Ministro, perché la gente oggi è più consapevole che in passato delle sue ambizioni ad accumulare potere e diventare il sultano del neo Impero Ottomano.
Potrà Erdogan apportare cambiamenti fondamentali per il paese? E’ ragionevole supporre che egli non ne sia in grado e quindi, in futuro, le strade della Turchia vedranno probabilmente più manifestazioni, violenza, feriti e morti. Di nuovo sorgerà la domanda se la Turchia è davvero una democrazia, se l’élite al potere sa come proteggere i diritti civili di coloro che non ne fanno parte e se questo paese ha modi più pacifici e ordinati per influenzare il comportamento del regime in modo legittimo.
Sembra che dovrà passare parecchio tempo perchè la Turchia diventi una parte inseparabile della cultura europea, ma nel frattempo pare che l’Europa stia per diventare parte integrante della cultura islamica ...
Un parere alternativo
Coloro che studiano l’Islam hanno differenti opinioni sul fatto che non ci possa essere un nesso tra le esigenze dell’Islam e i valori democratici. L’Islam è la legge divina, mentre la democrazia si basa su leggi create da un organo legislativo. La legge divina è permanente, mentre il diritto parlamentare è relativamente transitorio. L’Islam stabilisce punizioni come il taglio della mano di un ladro, mentre la democrazia cerca di riabilitarlo. Nell’Islam lo Stato è il principale meccanismo per imporre i comandamenti della religione (Shari’a), mentre la democrazia significa separazione tra religione e Stato. Nell’Islam la figura religiosa governa in nome di Allah (come in Iran), mentre la democrazia è guidata da individui eletti dal popolo.
Nonostante questo, la Turchia è un esempio che mostra, soprattutto dopo il 2002, come ci sia un nesso tra l’Islam e la democrazia, e la prova è il partito di Erdogan “Giustizia e Sviluppo”, un partito di governo democratico in uno stato islamico.
Potrebbe anche succedere che gli eventi degli ultimi giorni frantumino il modello turco, perché pongono domande difficili: la rabbia dei cittadini laici si esprime contro la persona di Erdogan o contro la cultura islamica che rappresenta? E se lui è democratico, perché la sua opposizione lo equipara a Hitler ed ai nazisti? E perché ha bisogno di utilizzare mezzi così violenti e antidemocratici per disperdere manifestazioni che dovrebbero essere consentite in una democrazia? Forse tutta questa sua “democrazia” era solo un mezzo per prendere il controllo dello Stato e quindi imporre l’Islam ? E se lui mette i giornalisti in prigione perché l’hanno criticato, consentirà ai politici di criticarlo quando verranno le prossime elezioni?
Tutti questi dubbi sono espressione della paura che in realtà non sia possibile l’esistenza di una realzione tra Islam e democrazia, e che persino il modello turco abbia funzionato solo per un periodo di tempo limitato. Nel frattempo, un israeliano ha scritto un libro sulla Turchia intitolato “Demo-Islam” e sarà interessante vedere se la teoria saprà resistere alla prova della realtà.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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