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La Stampa- Il Giornale Rassegna Stampa
20.04.2013 Boston: l'attacco porta la firma dell'islam
Cronaca e commenti: Maurizio Molinari, Fiamma Nirenstein

Testata:La Stampa- Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari-Fiamma Nirenstein
Titolo: «Nella Boston sotto assedio la più grande caccia all'uomo-Quell'America libera che si porta i terroristi in casa-La guerra santa agli Usa dei lupi solitari islamici»

Come era prevedibile, la strage alla Maratona di Boston porta la firma dell'islam, i bombaroli sono musulmani. E' vero che non tutti i musulmani sono terroristi, ma si dà il caso che il 95% dei terroristi sono musulmani. Dimenticare questa realtà, o sottostimarla, è l'espressione della cecità occidentale. Le democrazie li hanno allevati, cresciuti, armati, nella ottusa convinzione che le nostre società libere, tolleranti, potessero trasmettere dei valori diversi da quelli oppressivi che reggono l'islam. Un errore che non deve ripetersi più. E' ora di dire chiaramente che l'islam è nemico della libertà.
Pubblichiamo dalla STAMPA di oggi, 20/04/2013, a pag.16 e 18, la cronaca e il commento di Maurizio Molinari, dal GIORNALE, a pag.1/15 il commento di Fiamma Nirenstein:

a destra: I due fratelli autori della strage alla Maratona di Boston

La Stampa-Maurizio Molinari: " Nella Boston sotto assedio la più grande caccia all'uomo"


Maurizio Molinari       

Le unità anti-esplosivi sulla Norfolk Street di Cambridge, i mezzi blindati a Watertown, Boston trasformata in deserto: sono i tre fronti dell’imponente caccia all’uomo. La caccia all’uomo vede migliaia di agenti e soldati inseguire Dzhokhar Tsarnaev, il terrorista co-responsabile dell’attentato alla maratona dileguatosi nel nulla dopo che il fratello complice Tamerlan era stato ucciso.

Tutto inizia alle 22.20 di giovedì sera, le 4.20 del mattino di ieri in Italia, quando i due fratelli ceceni di cui l’Fbi ha diffuso le immagini, entrano in uno spaccio «7-Eleven» di Cambridge, poco fuori Boston, e rubano la cassa. L’allarme rapina fa accorrere l’agente di sicurezza del Mit Sean Collier, che viene ucciso dai ceceni. La polizia arriva dopo pochi minuti ma i Tsarnaev sono già lontani, su un fuoristrada Mercedes strappato al legittimo proprietario, che viene trattenuto in ostaggio. La polizia si lancia all’inseguimento, loro si liberano dell’ostaggio e si dirigono verso Watertown, a 12 km dal centro di Boston.

Battaglia nella notte È notte fonda quando a Watertown gli agenti raggiungono i fratelli ed è battaglia. I testimoni sentono dozzine di colpi. I ceceni gettano contro gli agenti delle rudimentali bombe a mano. Proiettili ed esplosioni illuminano le tenebre. Tamerlan viene colpito, cade in terra e - secondo versioni ancora frammentarie - Dzhokhar si mette alla guida dell’auto ma per errore, lo investe.

La morte di Tamerlan Il fratello maggiore, ferito in più parti, viene lasciato alla sua sorte da Dzhokhar che si dà alla fuga, scappando a piedi. La polizia recupera Tamerlan, gli trova indosso degli esplosivi e lo trasporta nell’ospedale più vicino, dove alle ferite si somma un infarto e non sopravvive all’intervento.

Dzhokhar in fuga Sono le prima ore del mattino a Boston e il fratello minore riesce a seminare polizia, soldati ed elicotteri. È introvabile. Viene segnalato a bordo di un’auto diretta in Connecicut, poi di un treno Amstrak diretto a New York. Le unità speciali Swat bloccano il treno nella campagna del Connecticut ma di lui non c’è traccia. L’attenzione torna a concentrarsi sui luoghi a lui più famigliari: Cambridge e Watertown. Diventano delle autentiche zone di guerra. Intanto nel corso della giornata sarebbero state trovate tracce di sangue lungo la via di fuga.

Assedio a Watertown Venti isolati attorno al luogo dov’è avvenuta la sparatoria vengono circondati dai blindati della Guardia Nazionale e decine di auto della polizia. Gli agenti comunicano via twitter con i residenti perché ritengono che il terrorista non abbia accesso a Internet: «State chiusi in casa, se qualcuno suona alla porta aprite solo se siete sicuri che è un agente, non adoperate i cellulari». La richiesta sui cellulari nasce dal timore che le onde possano innescare esplosioni. Sopra Watertown lo spazio aereo viene chiuso, gli elicotteri militari pattugliano il cielo. Almeno sette autobus di linea carichi di agenti di polizia arrivano da Boston. Le forze di sicurezza vanno casa per casa, appartamento per appartamento, convinti che il terrorista possa trovarsi qui. Chiedono ai network di non riprendere quali abitazioni perquisiscono per evitare di tenere informato il killer. «La situazione è grave» dice il colonnello Timothy Allen, capo delle forze del Massachussets.

Robot a Norfolk Street È pomeriggio inoltrato quando i robot delle unità anti-esplosivi entrano a Norfolk Street, la strada di Cambridge dove il fuggiasco abitava. La zona è deserta perché la polizia ha deciso di far detonare alcuni esplosivi trovati nella casa. L’adiacente Inman Square assomiglia a una base militare. L’Fbi è convinta che Dzhokhar si nasconde anche qui oppure nel campus universitario di Dormuth, dove studiava.

Boston paralizzata L’altra possibilità è che abbia raggiunto in qualche modo la vicina Boston e sia intenzionato a uccidersi in maniera spettacolare, adoperando gli esplosivi che ha con sé per trascinare nella morte quante più persone possibile. Da qui le ordinanze del governatore Deval Patrick: sospesi a tempo indeterminato tutti i trasporti pubblici, chiusi gli uffici e le Università. Di conseguenza nessuno esce di casa. Le strade sono deserte. La città dei Kennedy, culla della rivoluzione americana, è deserta, sembra paralizzata. Da West End a North End girano solo reporter e padroni di cani al guinzaglio. Il massiccio schieramento di agenti si estende ad ogni area nelle vicinanze: Brookline, Belmont, Newton, Allston, Columbia, Albany, Harvard, Brighton. L’ordine per tutti è «state al riparo».

Gli appelli degli zii L’Fbi matura la convinzione che Tamerlan, 26 anni, era il più motivato, il più islamico e il capo della cellula mentre il fratello minore, 19 anni, si sarebbe fatto trascinare, seguendolo, forse a causa di un carattere più debole. Da qui la scelta di chiedere agli zii, residenti nella stessa area, di parlare in tv per chiedergli di arrendersi. Uno di loro grida a squarciagola di fronte alle telecamere: «Hai fatto una cosa orrenda, pentiti subito e chiedi scusa». La zia invece quasi lo difende - «è un bravo ragazzo, non farebbe male a nessuno» - tracciando una differenza con il fratello maggiore che «alcuni anni fa iniziò a pregare cinque volte al giorno e nessuno di noi capì bene il perché». C’è anche un altro zio, più anziano, che dà un’altra versione dei fatti: «Erano entrambi dei perdenti, non hanno avuto successo ed erano gelosi dei risultati altrui, hanno meritato di fare questa fine».

Fermata una complice A Norfolk la polizia ferma una donna, considerata in qualche modo associata ai fratelli-terroristi ma l’entità della cellula deve essere ancora accertata, a cominciare dall’ipotesi di legami con gruppi terroristi stranieri.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Quell'America libera che si porta i terroristi in casa"


Fiamma Nirenstein                       La inutile domanda

 «Un’auto trasporta un cece­no, un daghestano, un in­guscio. Chi guida? La poli­zia... ». Non c'è niente da ridere su quello che è successo a Boston, sul­l’identificazione dei due terroristi au­tori dell'attacco della maratona, la morte violenta del più grande, l'asse­dio di Boston, l'ulteriore spargimento di sangue, ma questa è una battuta po­stata dal ragazzo che ha compiuto in­sieme al fratello maggiore la strage, Dzhokhar Tsarnaev, sulla sua pagina del social network in russo VK. C'è la sua «visione del mondo»: «L'Islam» ma anche la sua «priorità»: «carriera e danaro». Vi si trova il link con le foto dei combattenti della guerra in Siria contro Bashar Assad, e il link con una pagina web che dice: «Non c'è altro Dio fuori di Allah, che questa voce suo­ni alta nei nostri cuori». È questa insa­lata jihadista, persino condita da hu­mour, lo sfondo per cui un ragazzo di 19 anni è diventato un assassino di massa, e addirittura  lo ha portato a compiere col fratello una specie di replay dell' attentato, uccidendo il giorno dopo la strage un poliziotto americano di 26 anni, e sgom­mando poi nella fuga sul corpo del fratello ucciso dalla polizia Tamerlan, un 26enne con ambi­zioni da pugile? Presto sapre­mo tutto sulla svolta islamista della vita dei due tragici prota­gonisti in questa America im­pazzita che, dopo l'Undici Set­tembre, per la prima volta deve di nuovo bere l'amaro calice del pericolo indiscriminato, dell' impotenza, della paura, anche se l'Fbi ha mostrato, ma solo ex post, una magnifica velocità nell'individuare i colpevoli.
Dzhokhar, come si vede nella foto diramata dalla polizia men­tre invitava l'intera popolazio­ne di Boston a restare chiusa in casa per evitare la sua ferocia ar­mata anche di una cintura esplosiva, è un diciannovenne grazioso e tenero, gran ciuffo nero e occhi innocenti. Viene dalla miseria cecena, e certo non sapeva allora, nel 2002, che avrebbe attentato al sogno ame­ricano. Ha fatto la scuola ele­mentare a Makhackhala sul confine col Daghestan, ha vo­glia di ridere, posta anche un vi­deo intitolato «tormentando mio fratello» in cui si vede Ta­merlan, il fratello morto, che imita l'accento di diversi grup­pi caucasici, come «Borat», il suo film preferito. Nel 2011 rice­ve una borsa di studio di 2500 dollari, un incoraggiamento, un invito ad amare i suoi ospiti e nuovi concittadini. «Quieto» lo definisce una sua compagna di università, una stupefatta mo­retta con la coda di cavallo: le è sempre apparso un ragazzo tranquillo, veniva anche alle fe­ste ed era un bravo sportivo del corso all'Istituto Medico di Cambridge, uno studente sen­za problemi. Eppure tutto era già scritto sul web, nelle foto, nel credo ripetuto.
Talora le idee possono costi­tuire non solo un maggiore spa­zio di libertà, ma anche la sua nemesi: non possiamo accettar­lo, perché qui giace il consueto dilemma fra sicurezza e li­bertà di opinione che ci perse­g uita stavolta come
sempre. Tamerlan, il fratello, era certo il suo modello, la sua biografia di bel ragazzo sporti­vo include la forte ispirazione islamica testimoniata dall'im­menso diario del nostro tempo, il web, che non ci risparmia niente: era ligio, non frequenta­va gli americani perché non li capiva, non fumava, non beve­va, non si toglieva la maglietta perché da religioso non voleva che le ragazze si facessero delle idee; eppure, sperava di essere selezionato, da bravo pugile, nella squadra olimpica americana. Così funziona il terrore: si nutre della società cir­costante e sogna di can­cellarla. La prova più agghiacciante è una fo­to­in cui si vede Dzho­khar, col berretto bianco che poi ha aiutato a identifi­carlo, in piedi die­tro la folla che è il suo obiettivo di morte. Probabil­mente sta piazzan­do lo zainetto esplosivo. In prima fila, vicinissimo a lui, Martin Richard, il bambino di otto anni ucciso dal terrorista 19enne. Per quel ragazzo di di­ciannove anni che passa quasi fischiettando pronto a uccide­re il bambino, come tanti altri in­nocenti, l'unica emozione pro­babilmente è stata quella dell' esaltazione ideologica. Come fu per Mohammad Atta, che pri­ma di diventare il capo dell'at­tacco alle Twin Towers faceva parte, a Düsseldorf dove aveva studiato, di un sofisticato grup­po­che progettava restauri di an­tichi monumenti egiziani, co­me uno dei vari Shahzad Tanweer o Mohamnmed Sadi­que Khan, il gruppo che attaccò la sotterranea e gli autobus di Londra, tutti perfetti british , amanti delle auto, dello sport, della vita inglese, e così anche tanti terroristi passati per l'Ita­lia, all'università o al lavoro, per poi andare in campi di addestra­mento afghani che li avrebbero avviati verso vari attentati. Qua­si nessuno dei terroristi più im­portanti è stato un emarginato, un espulso, un rifiutato nel Pae­se occidentale di formazione. Dzhokhar era molto legato ai suoi amici, « such a nice kid» che viveva nel campus di Cambrid­ge. Un compagno lo ricorda co­me il campione di wrestling sempre pronto ad aiutare gli al­tri, uno che dava sempre una mano a tutti, volontario presso i ragazzi Down: «Un tipico ragaz­zo americano». Aveva ricevuto la cittadinanza americana solo l'11 settembre 2012, e subito ha scelto di farne buon uso.



La Stampa-Maurizio Molinari: " La guerra santa agli Usa dei lupi solitari islamici "


                                                       La grande bugia

La firma dei fratelli ceceni Tsarnayev sull’attentato alla maratona di Boston evidenzia come nel dopo-11 settembre 2001 la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale americana viene dal terrorismo interno di matrice islamica, nella duplice versione di «lupi solitari» e militanti affiliati a cellule di Al Qaeda. Il primo a denunciare tale pericolo è l’esperto di antiterrorismo Steve Emerson il quale, all’indomani del primo attacco alle Torri Gemelle, nel 1993, realizza il documentario

«Jihad in America» nel quale descrive l’affermarsi di leader e cellule fondamentaliste nella comunità arabo-musulmana degli Stati Uniti. «I nemici fra noi» è il titolo.

Si tratta di un allarme rimasto in gran parte sottovalutato dalle forze di polizia fino all’11 settembre, quando l’Fbi, nella reazione all’atto di guerra di Al Qaeda decide di adottare una sorveglianza più stretta su moschee e centri islamici attorno alle città più a rischio di attacchi. È così che nel settembre 2002 viene sgominata una cellula jihadista nell’Upstate New York. Da quel momento il Dipartimento di polizia della Grande Mela crea, su suggerimento di Cia e Fbi, una task force segreta che sorveglia le comunicazioni private di gran parte dei giovani maschi musulmani residenti nell’area compresa fra New York, New Jersey e Connecticut, applicando una versione del controterrorismo fatta di infiltrazioni e trappole che porta a sventare numerosi attentati: dal tentativo dell’afghano-americano Najibullah Zazi di attaccare la metro di Manhattan nel settembre 2009 a quello di Quazi Mohammad Rezwanul Ahsan Nafis, immigrato dal Bangladesh, di far saltare in aria la sede della Federal Reserve nel gennaio 2012. Si tratta di trame terroristiche di natura assai diversa: Zazi è in contatto con elementi di Al Qaeda in Pakistan, mentre Nafis è un «lupo solitario», che ha organizzato tutto da solo, spinto dall’adesione personale all’ideologia jihadista di Osama bin Laden.

Questi diversi filoni di terrorismo interno islamico si ripetono e si sovrappongono a più riprese. Il 5 novembre 2009 il maggiore dell’Us Army Nidal Malik Hasan, americano-palestinese, uccide 13 commilitoni nella base texana di Fort Hood dopo un prolungato scambio di email con Anwar al-Awlaki, l’imam nato in New Mexico divenuto leader di Al Qaeda in Yemen. Il primo maggio 2010 il pachistano-americano Faisal Shahzad tenta di far esplodere un’autobomba a Times Squadre, davanti a un teatro affollato di bambini, seguendo le istruzioni ricevute durante alcuni viaggi in Pakistan, che includono l’esplosivo in una pentola a pressione. Il soldato Jason Abdo, americano-giordano veterano dell’Afghanistan, viene fermato nel luglio 2011 mentre prepara un’altra strage di militari, pensata e organizzata in solitudine.

Quando Hasan firma la strage di Fort Hood, Obama si è insediato da pochi mesi alla Casa Bianca e sceglie il basso profilo sui jihadisti americani. Ma con il moltiplicarsi degli episodi John Brennan, suo consigliere antiterrorismo oggi capo della Cia, lo spinge a eliminare Al-Awlaki, principale teorizzatore della guerra contro gli Usa condotta dall’interno. Un drone della Cia lo uccide il 21 aprile 2011 e da allora l’Fbi ha registrato una brusca diminuzione di complotti jihadisti diretti dall’estero.

Resta però il pericolo dei «lupi solitari», che vivono in America ma sono imbevuti di ideologia jihadista al punto da odiare la società in cui vivono. È un universo di singoli che va dai somali-americani di Minneapolis, volontari con gli shabaab a Mogadiscio, ai fratelli ceceni Tsarnayev, studenti di ingegneria e medicina nel Massachusetts. Prevenire le loro azioni è la sfida più difficile perché sono microcellule.

Finora l’Fbi ha scommesso sulla collaborazione con moschee e comunità musulmane per identificare all’origine i personaggi più a rischio, affiancandola con la sorveglianza elettronica modellata sull’esempio di New York.

Ma quanto avvenuto a Cambridge dimostra che non basta per neutralizzare i molteplici frutti dell’ideologia della Jihad. L’unico indizio che Tamerland e Dzhokhar avevano lasciato erano infatti alcuni post sui social network favorevoli all’Islam.

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