Una iniziativa del Musero ebraico di Berlino suscita polemiche. Nella cronaca di Andrea Tarquini, su REPUBBLICA di oggi, 30/03/2013, a pag.16, con il titolo "A Berlino c'è un ebreo in vetrina, la provocazione al Museo della Shoah".
Museo ebraico, Berlino
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO
— Che cosa vuol dire essere ebreo? È lecito chiamare qualcuno ebreo? Quanto pesa oggi, qui, l’Olocausto? Domande da campo minato, visto il passato tedesco. E insieme, inevitabile curiosità da senso di colpa made in Germany. Il museo ebraico di Berlino affronta il tema con una mostra, che ha subito spaccato l’opinione pubblica, dentro e fuori la comunità ebraica. Perché il “pezzo forte”,
se così si può definirlo, è l’ebreo in vetrina, o l’ebreo nella teca. Cioè un vero ebreo, volontario, che a turno ogni giorno (tranne che durante lo Shabbath) siede appunto in una teca, e risponde alle domande dei visitatori: sulla cultura ebraica, sulla Storia, su come gli ebrei oggi guardano alla Germania e come ci si sentono.
«Hanno chiesto anche a me di partecipare, mi sono rifiutato, ci manca solo che diano una banana e dell’acqua all’ebreo nella teca, e poi magari accendano il riscaldamento al massimo»,
protesta Stephan Kramer, dirigente della comunità ebraica. «È un’idea orribile e degradante », incalza Eran Levy. Ma Miriam Goldmann, curatrice del Museo Ebraico, noto in tutto il mondo da quando ha aperto qui i battenti, si difende decisa: «È una provocazione voluta, so che
per alcuni è oltraggioso, ma secondo me è il miglior modo di superare le barriere emotive».
L’idea della mostra “Tutta la verità” — resterà aperta, ogni giorno dalle 10 alle 20 e lunedì dalle 10 alle 22, fino al primo settembre — è volutamente provocatoria. Fin nella seconda parte
del titolo, che allude a un celebre film di ironia sul sesso del grande Woody Allen: “Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sugli ebrei”. Ma che, sottinteso appunto, voi tedeschi non avete mai osato chiedere. La cosa più importante: tutti gli ebrei nella teca, ovviamente, sono volontari,
ebrei tedeschi o israeliani viventi a Berlino. Come Leeor Englander: «Siamo così pochi qui che ti senti comunque un pezzo da esposizione, o in ogni caso chiunque sappia che sei ebreo è spinto automaticamente a chiederti cosa significa, o a porre domande sull’Olocausto
e la colpa dei tedeschi». Domande tra le più frequenti che i visitatori pongono. Dice Ido Porat, un altro dei volontari: «Potrebbero servire ancora di più per capire come si arrivò alla Shoah. Certo, ti senti un po’ come in uno zoo...». O anche, battuta dura degli stessi ebrei, «come Adolf Eichmann alla sbarra al processo dietro il vetro di sicurezza».
La comunità si è divisa. Il rabbino Yehuda Teichtal invita tutti ad andarla a vedere, contestando la leadership. I visitatori pongono domande d’ogni genere
all’ebreo nella teca, dalla religione, alle tradizioni, fino all’attualità in Palestina o all’omosessualità. La mostra poi espone anche, in sette sale, domande e risposte d’ogni tipo sulla vita ebraica, e brevi biografie di vip di cui pochi conoscono l’origine ebraica, come David Beckham e Justin Bieber, o la conversione all’ebraismo, da Sammy Davis Jr. a Marilyn. E la domanda-battuta più pungente: “Perché gli ebrei rispondono sempre a domande con domande?”. “Perché no?”.
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