Jihad: Il nuovo contesto strategico
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
Allo stato attuale, il regime di al-Assad non avrà lunga vita. Una coalizione di organizzazioni jihadiste sunnite rovescierà il governo, nonostante abbia fatto uso di tutte le armi in suo possesso - compresi i missili Scud - per sopravvivere.
Nel corso degli ultimi due anni in Siria sono state superate tutte le linee rosse, mentre entrambe le parti sono sprofondate in questa sporca, orrenda lotta armata, combattuta senza vincoli morali nè legali.
Decine di migliaia di cittadini, donne, bambini e anziani, sono stati brutalmente assassinati, centinaia di migliaia di case e abitazioni distrutte, le infrastrutture del paese sono al collasso, mentre l’economia è paralizzata e il quadro organizzativo dello Stato sta crollando in pezzi.
Il successo della coalizione sunnita (Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Giordania) nell’eliminare l’eretico regime alawita, sostenuto da una coalizione sciita (Iran, Iraq e Hezbollah), potrebbe innescare un’ondata di terrore nei paesi arabi, in particolare in Iraq e Turchia, in quanto i gruppi oppressi in questi paesi - come i sunniti in Iraq e i curdi in Turchia - verrebbero incoraggiati dal successo delle organizzazioni jihadiste che si battono in Siria, e dai metodi utilizzati nella loro battaglia contro il regime.
Questa sporca guerra in corso in Siria non è una battaglia del bene contro il male, perché il regime e i ribelli hanno utilizzato engtrambi pratiche disumane, illegali e immorali.
Entrambi hanno commesso crimini contro l’umanità, eliminando indiscriminatamente gran parte della popolazione, e hanno fatto ricorso a misure repressive e brutali contro cittadini inermi.
Cittadini usati come scudi umani
Quando iniziarono le violenze, i ribelli avevano capito che ogni volta che avessero combattuto in uno spazio aperto, le forze del regime avrebbero potuto facilmente eliminarli con spietata determinazione, per questo decisero di agire nelle affollate aree urbane. Il risultato fu la trasformazione dei civili in scudi umani, senza che potessero opporsi, coinvolgendo città e quartieri periferici in una ribellione forzata.
Siria: il magnete jihadista del mondo
Ma la caratteristica più importante della rivolta è l’essere diventata una calamita per gli jihadisti di tutto il mondo arabo e musulmano, che si sono riversati in Siria per partecipare alla jihad contro gli eretici alawiti e il loro regime del terrore. Fino ad oggi ci sono centinaia di gruppi combattenti, pochi fra loro parlano dialetti arabi non siriani come l’iracheno, il saudita e il marocchino. La diversità linguistica è ancora più complessa perché alcuni jihadisti parlano lingue musulmane non arabe - turco, bosniaco, ceceno, pashtu (Afghanistan), Urdu (Pakistan) e lingue del Caucaso. Il risultato è una moltitudine di dialetti e lingue potrebbe essere un vantaggio per le organizzazioni di intelligence, per la notevole quantità di informazioni ricevute dai vari mezzi di comunicazione. Ma il loro lavoro potrebbe non avere alcun valore, perché sono soprattutto i gruppi più pericolosi a parlare dialetti e lingue non comprensibili da parte degli ascoltatori che si trovano in quell’area.
Gli Jiiadhisti sfidano l’intelligence
Il problema delle comunicazioni è complesso anche perché le organizzazioni jihadiste, al contrario di un esercito regolare, utilizzano internet come mezzo per trasmettere messaggi, rapporti e comandi, e non è facile individuare i canali di comunicazione che utilizzano la rete. Ci sono organizzazioni che tramite internet trasmettono messaggi cifrati difficili da identificare, localizzare e decodificare. Anche il modo in cui le organizzazioni jihadiste utilizzano altri network civili come i telefoni cellulari, rende difficile intercettare le loro comunicazioni e tracciare i percorsi operativi. Il problema si fa ancora più complicato per quanto riguarda la raccolta delle informazioni da parte dell’intelligence nei vari punti di osservazione. Chi raccoglie informazioni di intelligence militare segue corsi di formazione sui vari tipi di carri armati, cannoni e altri strumenti di guerra che un esercito regolare ha in dotazione.
Ma come si possono identificare gli jihadisti? Dal tipo di jeans o T-shirt che indossano? Dal tipo di taglio dei capelli o della barba? Ancora più difficile è identificare i veicolii, perchè sono ordinari, indistinguibili da altri.
Come può un drone, o chi controlla il materiale fotografato dal drone, identificarli ? Gli jihadisti non si distinguono dai normali cittadini
Un esercito regolare ha basi e campi che possono essere identificati e attaccati. Un’organizzazione jihadista, al contrario, può vivere e operare in un quartiere normale, tra la gente. Come si possono individuare gli jihadisti? Com’è possibile attaccarli senza colpire chi non è coinvolto nell’azione?
Le organizzazioni della Jihad cambiano di frequente la loro struttura: alcuni gruppi si formano, altri si sciolgono e confluiscono in nuove organizzazioni, mentre gli obiettivi sono solo in parte condivisi.
La grande fluidità strutturale delle organizzazioni rappresenta anche una sfida alle organizzazioni di intelligence, in quanto le informazioni che con grande difficoltà avevano raccolto il mese prima, potrebbero non essere più valide dopo, a causa dei cambiamenti avvenuti nella struttura jihadista.
Un altro aspetto del carattere delle organizzazioni jihadiste è l’importanza del leader. In un’unità militare, se il nemico riesce a eliminare il comandante e gli ufficiali che lo circondano, l’unità di solito continuerà a funzionare, anche se solo in parte.
Nelle organizzazioni della jihad invece, il leader è importante per la loro funzionalità, ma dal punto di vista operativo quasi ogni membro del gruppo lo potrebbe sostituire. Quindi l’eliminazione del capo di solito non provoca la paralisi e l’annullamento dell’organizzazione.
Il miglior esempio è al-Qaeda: Bin Laden fu costretto a nascondersi dalla fine del 2001 ma poi è stato eliminato. L’organizzazione aveva forse cessato di funzionare quando Osama bin Laden - e il suo vice Ayman al-Zawahiri – si erano dati alla clandestinità?
L’asimmetria morale tra i gruppi jihadisti e un esercito regolare
Il vantaggio più grande che un’organizzazione jihadista ha su un esercito regolare è non imporre su di sé vincoli giuridici e morali che il diritto internazionale e le convenzioni richiedono a un esercito regolare.
La propaganda jihadista arruola l’Onnipotente come giocatore di rinforzo, mentre un esercito regolare raduna i suoi soldati per mezzo di un messaggio, nazionale, patriottico o civile. Queste caratteristiche danno alle organizzazioni jihadiste un grande vantaggio rispetto alle organizzazioni militari regolari, il che spiega il motivo per cui le organizzazioni della jihad, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, sono riuscite a far crollare lo stato di polizia siriano e a far traballare il sanguinario e crudele regime totalitario degli Assad, da quando il padre, Hafez Assad, era salito al potere nel novembre del 1970.
Tutti i carri armati, gli aerei, i missili, e anche le armi chimiche, non sono stati sufficienti al regime per debellare le milizie, armate con mezzi molto più semplici, ma permeate di credo religioso, con i militanti disposti a morire.
Al contrario: più il regime si mostrava crudele, più cresceva la motivazione degli jihadisti per rovesciarlo, anche a costo della vita.
L’esercito di uno Stato che combatte milizie jihadiste deve confrontarsi con la situazione sul campo. Quando da un lato non si osservano le leggi della guerra convenzionale, dall’altro non si può pretendere di limitarsi ad attenersi alle leggi di guerra secondo la Convenzione di Ginevra.
Un militare che si limita al diritto internazionale e che cerca di lottare contro una milizia che non osserva questa legge, ha perso la battaglia ancor prima di iniziarla.
Uno Stato che vuole sopravvivere in un contesto jihadista deve valutare i propri criteri nel raccogliere informazioni sulle organizzazioni terroriste, sia sui social network sia nella comunicazione tradizionale. E' altresi' indispensabile la conoscenza dei vari dialetti /lingue delle organizzazioni jihadiste, per essere in grado di monitorare ogni comunicazione.
Uno Stato che vuole sopravvivere in un contesto jihadista deve trovare il modo per infiltrare i propri agenti al loro interno, se non è possibile ottenere informazioni per altra via. Il collasso della Siria dimostra che la guerriglia può essere più efficace di una guerra convenzionale, non essendo costretta alle leggi del diritto internazionale e al rispetto dei diritti umani, in grado quindi di abbattere anche un regime crudele e sanguinario come quello siriano.
Uno Stato che si attiene alle leggi di guerra e al rispetto dei diritti umani, come può vincere le organizzazioni jihadiste ?
L’asimmetria morale nella guerra
Le organizzazioni della jihad che si battono in Siria oggi dichiarano apertamente che “la strada da Damasco a Gerusalemme passa attraverso Beirut”: significa che, dopo l’eliminazione di Assad a Damasco, andranno a Beirut per gettare il corpo di Hasan Nasrallah nella spazzatura della storia, poi proseguiranno verso Israele per cancellarlo dalla faccia della terra.
Hasan Nasrallah dovrebbe prendere molto sul serio la jihad islamica cosi' come Israele deve prepararsi a una guerra totalmente nuova, in un futuro non così lontano.
Ma Israele non è per ora al centro della questione: le organizzazioni della jihad - alcune delle quali sono finanziate con i soldi del petrolio da Arabia Saudita, Qatar, Emirati o Iran – sono attive non solo in Siria, ma anche in Pakistan, Afghanistan, Iran, Iraq, Egitto, Algeria, Libia, Somalia, Mali, e in altri Stati, mentre altre organizzazioni jihadiste operano clandestinamente in quasi tutti gli altri Stati del mondo.
Nessun posto è immune da gruppi jihadisti, che operano sia alla luce del sole sia in clandestinità. Se il mondo non si sveglia in tempo per accorgersi del pericolo, la Siria sarà solo la prima tessera del domino a cadere, grazie al denaro sunnita dei Paesi del Golfo o a quello sciita dell’Iran.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. Link: http://eightstatesolution.com/
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