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Informazione Corretta Rassegna Stampa
03.03.2013 Ci sarà un'altra Intifada?
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 03 marzo 2013
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Ci sarà un'altra Intifada?»

Ci sarà un'altra Intifada?
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad una escalation di manifestazioni, lanci di bottiglie molotov e proclami militanti di attivisti. La domanda che sorge spontanea è: “Quali sono le cause e le ragioni di queste azioni ? stiamo per affrontare una terza Intifada?”

Secondo i portavoce arabi tre sono le cause principali: i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, la situazione economica e la mancanza di progressi verso l’indipendenza.

 La questione dei prigionieri

La questione dei prigionieri è la più sensibile, perché quelli che Israele vede come criminali, assassini e terroristi, per i palestinesi sono prigionieri di guerra, eroi e combattenti per la libertà che lottano per liberare il proprio popolo dall’occupazione sionista. Secondo la Convenzione di Ginevra, i combattenti non devono essere tenuti nello stesso carcere che ospita i criminali, così Israele - secondo i palestinesi - sta violando le disposizioni della Convenzione tenendo dei prigionieri di guerra nello stesso carcere con i criminali.
Questo problema si riflette su migliaia di famiglie, perché ci sono circa 5.000 i detenuti palestinesi in Israele. Molti di loro sono capifamiglia, e mentre sono in carcere – cosa che potrebbe durare molti anni - le loro famiglie rimangono  senza mezzi di sussistenza, gravando sul bilancio pubblico che deve sostenerle. Ma anche chi non ha famiglia può avere a carico genitori anziani, fratelli e altri famigliari. Le situazioni personali hanno trasformato il problema dei prigionieri in una questione più delicata e ogni volta che i prigionieri iniziano uno sciopero della fame, si verifica una reazione nei territori contesi, la “grande prigione”, secondo la dizione palestinese. Quando un detenuto muore, com’è successo con Arafat Jaradat una settimana fa, sono migliaia i partecipanti a manifestazioni nelle strade per protestare contro le condizioni dei prigionieri. Non conta nulla che questi prigionieri sono detenuti in condizioni favorevoli, possano studiare e possedere un titolo di studio, disporre di una televisione con molti canali, fra i quali al-Jazeera, il “canale della Jihad” della Fratellanza Musulmana. Neppure le visite dei rappresentanti della Croce Rossa vengono giudicate in modo positivo, anzi, avviene il contrario: se Israele consente ai rappresentanti della Croce Rossa di visitare i prigionieri significa che ammette che i prigionieri non sono criminali, ma prigionieri di guerra, e allora perché continua a tenerli in carcere ? Secondo i palestinesi è anche molto grave il fatto che Israele abbia di nuovo messo in prigione alcuni degli uomini che erano stati liberati in cambio di Gilad Shalit. Non credono alla versione israeliana, secondo cui i prigionieri avrebbero violato le condizioni del rilascio, secondo la versione palestinese non si sarebbero lasciati ricoinvolgere in atti di terrorismo, sono degli eroi di guerra, non dei criminali.

La situazione economica

 La situazione economica degli arabi in Giudea e Samaria non è brillante. Il più grande datore di lavoro - l’Autorità Palestinese - è in uno stato di permanente fallimento, perché il suo reddito, in maggior parte proveniente da donazioni e beneficenza, è inferiore alle spese che fanno fronte soprattutto gli stipendi. I costi dell’amministrazione sono enormi, perché danno lavoro ad amici, familiari e parenti, assunzioni clientelari, non certo in base alla necessità o al merito. I paesi donatori sanno bene come l’Anp si comporta con il denaro che riceve, per questo quando si tratta di finanziare progetti per infrastrutture come acqua, fognature, elettricità o edifici, danno il denaro direttamente agli imprenditori, non ai funzionari dell’Anp, per evitare che vada a finire nelle loro tasche.
In seguito all’appello palestinese presso le Nazioni Unite per il riconoscimento dell’Anp come Stato osservatore in contrasto con gli accordi di Oslo, Israele ha bloccato a tempo indeterminato il trasferimento all'Anp dei soldi delle tasse, un’importante fonte finanziaria. I paesi arabi non trasferiscono volentieri denaro a favore dell’Autorità Palestinese, perché tra gli arabi, il concetto di responsabilità reciproca non è molto sentito, inoltre oggi ci sono altri popoli arabi - per esempio egiziani, siriani, libici e yemeniti - che si trovano in condizioni economiche peggiori dei palestinesi di Giudea e Samaria.
Un altro motivo che giustifica la mancanza di entusiasmo degli arabi a sostenere l’Autorità Palestinese è che per molti anni i palestinesi hanno venduto i loro terreni agli ebrei, ed è su queste terre che poi è nata la maggior parte degli insediamenti. Si chiedono perché dovrebbero dare  soldi a coloro che vendono terreni agli ebrei, per cui finanziano altri paesi oppure organizzazioni della jihad. L’Autorità Palestinese - istituita d’accordo con Israele - appare agli occhi di molti come un tradimento del carattere arabo e dei comandamenti dell’Islam, per cui sostenerla finanziariamente equivale a un tradimento. A questo proposito, è importante notare che l’Anp non ha saputo coinvolgere i palestinesi in un progetto nazionale, ne è prova che nessuno dei funzionari pubblici è disposto a servire l’Anp su base volontaria. La Resistenza ai tempi della Seconda Guerra Mondiale pagava gli stipendi ai suoi combattenti? L’Haganah, Ezel e Lehi hanno dato una pensione ai propri soldati prima che nascesse Tzahal?
Le fabbriche che Israele ha costruito nelle zone industriali in Giudea e Samaria forniscono un’altra fonte di sostentamento per i palestinesi. Alcune soffrono di un calo delle vendite a causa del boicottaggio che alcuni paesi – e la stessa Autorità Palestinese - hanno imposto sui prodotti della Giudea e della Samaria. In seguito alle richieste per il boicottaggio da parte dell’Autorità palestinese e degli amici della sinistra israeliana, ne consegue che le fabbriche sono state costrette a spostare le loro linee di produzione in Israele o a chiudere del tutto. Ciò ha causato una riduzione dei mezzi di sussistenza per molti lavoratori palestinesi che infine sono stati licenziati.
Di tanto in tanto Israele trasferisce fondi all’Autorità Palestinese, per metterla in grado di far funzionare i sistemi di sicurezza,  per affrontare il terrorismo. Ma tutti sanno che se  venissero a mancare, le persone che lavorano nelle forze di sicurezza punterebbero le armi contro Israele e gli ebrei.

La situazione di stallo diplomatico

 Il fatto che non vi siano progressi a livello diplomatico colpisce anche la popolazione araba di Giudea e Samaria. Il vicolo cieco della diplomazia è causato principalmente dalla frattura tra Hamas e l’OLP, dato che né l’Autorità Palestinese né l’OLP possono assicurare che gli accordi con Israele saranno onorati da Hamas a Gaza, il cui comportamento è stato quello di un paese separato fin dal giugno del 2007, quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza.
Sempre più  Israele è consapevole del fatto che in breve tempo potrebbe sorgere un nuovo Stato palestinese in Giudea e Samaria, un nuovo stato di Hamas, sia per mezzo di elezioni (come è avvenuto in quelle amministrative del gennaio 2006) sia per il colpo di stato del giugno 2007.
Molti degli arabi che vivono in Giudea e Samaria non vogliono Hamas al potere, ma sanno che non saranno in grado di vincere in una lotta con l’organizzazione islamica esattamente come l’OLP non era riuscita a impedirne  il controllo a Gaza. La possibilità che uno Stato palestinese possa cadere nelle mani di Hamas spinge migliaia di residenti arabi di Gerusalemme Est a richiedere la cittadinanza israeliana, perché sanno che come cittadini israeliani saranno in grado di vivere liberamente nella parte est della capitale e a Gerusalemme Ovest, nel caso Israele dovesse consegnare la parte orientale della città ad uno stato palestinese.
Ai palestinesi di Giudea e Samaria invece non è possibile richiedere la cittadinanza israeliana, e quindi sono frustrati per la trappola in cui si trovano: sono legati all’ideologia della liberazione palestinese, che però potrebbe diventare un movimento agli ordini di Hamas, che imporrerà con la forza un programma islamista, che loro rifiutano.
Per più di quattro anni, Mahmoud Abbas ha rinunciato a partecipare a colloqui con il Primo Ministro di Israele Netanyahu, adducendo quale motivo la questione degli insediamenti. Ma tutti sanno che il vero motivo sta nel fatto che non è disposto a riconoscere Israele come lo Stato del popolo ebraico, non è disposto a rinunciare al diritto al ritorno dei rifugiati del 1948 da Libano, Siria, Giordania e ai territori dell’Anp in Israele, e non è disposto a lasciare nelle mani di Israele Gerusalemme Est e, soprattutto, il Monte del Tempio.
E poiché sa che Israele non metterà in pericolo la propria stessa esistenza cedendo su questi tre punti, preferisce ostacolare il processo diplomatico, non incontrare Netanyahu, anche se ha accettato di bloccare le costruzioni negli insediamenti, per non essere ricordato come colui ce ha riconosciuto Israele come lo Stato del popolo ebraico.
L’impasse diplomatica preoccupa anche l’opinione pubblica araba in Giudea e Samaria, perché, in assenza di dialogo, lo Stato tiene i detenuti in carcere e lascia al potere le persone corrotte dell’OLP, la cui legittimità è discutibile.

La visita di Obama

Le manifestazioni  arabe in Giudea e Samaria sono iniziate nel momento in cui si è saputo della visita del Presidente Obama, un’occasione d’oro per organizzarle durante la sua visita a beneficio delle telecamere di tutto il mondo. Tutti sanno che quando un canale TV opera in Giudea e Samaria, subito i giovani vi si piazzano davanti, si esibiscono in lanci di pietre, anche se intorno non ci sono veicoli israeliani contrto cui lanciarle. Uno dei giovani fa finta di essere “ferito”, grida e cade a terra, i suoi amici lo portano via: questo è l’acme dell’evento che ispira simpatia per la causa palestinese in tutto il mondo.
La visita del Presidente Obama è una manna per queste esibizioni, in particolare contro i mezzi dei soldati delle forze di difesa israeliane, che sono aumentate a dismisura in Giudea e Samaria da quando Obama ha annunciato la sua intenzione di visitare Israele.
Ma il problema è più grande di queste manifestazioni ad uso delle telecamere, perché non ho alcun dubbio che le organizzazioni terroristiche abbiano anche intenzione di arrivare ad un vero fatto di sangue.. Lo abbiamo visto in passato, durante la Seconda Intifada, ogni volta che un funzionario americano è venuto in zona, ad esempio Mitchell e Tenet, il terrorismo aumentò, spargendo molto sangue ebraico. Perciò affermo, in modo inequivocabile, che la visita di Obama potrebbe, Dio non voglia, costare molte vite di ebrei. Siamo tutti avvertiti.

L’unica soluzione possibile

A causa di tutto ciò, Israele deve cambiare le regole del gioco, riconoscere Gaza come uno stato indipendente e istituire sette emirati nelle città arabe in Giudea e Samaria: Jericho, Ramallah, Nablus, Jenin, Tul-Karem, Qalqilyya e la zona araba di Hebron, mantenendo le aree rurali sotto il controllo israeliano per sempre, per evitare che le colline di Giudea e Samaria diventino le colline di Hamas.
Questi emirati arabi si baseranno sulle varie tribù urbane, saranno omogenei dal punto di vista della composizione della popolazione e quindi saranno stabili e legittimi. Questa soluzione è descritta nel sito Internet www.palestinianemirates.com
In assenza di una soluzione, la zona potrebbe incendiarsi di nuovo, perché i giovani di 16-18 anni di età, i “combattenti” di oggi, non avevano partecipato attivamente all’ Intifada dal 2000 al 2006, perché troppo giovani. Ora, sono loro il nuovo sangue nelle vecchie vene della società araba in Giudea e Samaria, e potrebbero infiammare la zona se Israele non si comporterà correttamente. Fino ad oggi, Israele ha dimostrato di non saper cosa fare per impedire la creazione di un secondo Hamastan nei territori di Giudea e Samaria, e fino a quando il piano degli Emirati non sarà realizzato, vi è il rischio che in questi territori si instauri uno stato arabo con contiguità territoriale dalla periferia di Be’er Sheva alle colline che dominano Afula, attraverso Ashdod, Yavneh, Rehovot, Rishon le Zion, Tel Aviv, Gush Dan, Herzliya, Hasharon, Netanya, Hadera e Haifa, ognuno dei quali sarebbe a portata di razzi Kassam.
Se gli arabi di Giudea e Samaria sono determinati a sufficienza, e se Israele non risolve il problema, potrebbero realizzare il loro sogno: uno stato palestinese con contiguità territoriali, che minaccerà la stessa esistenza d’Israele.
Ma Israele è paralizzato dagli atteggiamenti della comunità internazionale e degli israeliani dal cuore troppo tenero. La Terza Intifada verrà se i risultati saranno superiori al prezzo che gli organizzatori dovranno pagare. Finora Mahmoud Abbas, il negazionista della Shoah, non incoraggia il suo popolo a combattere una guerra terroristica contro Israele.
Qualcuno potrebbe dire se lui - o il suo successore - non lo farà in futuro?
La mancanza di una soluzione è una costante minaccia per lo scoppio di una terza intifada, e poi di una quarta, una quinta e così via.
Israele deve risolvere il problema in modo che possa garantirsi una vera sicurezza, e non sulla base di accordi con persone che non conoscono neppure il significato della parola “accordo”.
La soluzione degli otto Emirati palestinesi è l’unica soluzione che potrebbe essere realizzata, se solo Israele avesse la volontà di farlo.

 Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. Link: http://eightstatesolution.com/
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