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Il Giornale Rassegna Stampa
28.02.2013 Quel Pontefice poco mediatico che ha parlato chiaro agli ebrei
Fiamma Nirenstein intervista il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni

Testata: Il Giornale
Data: 28 febbraio 2013
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Quel Pontefice poco mediatico che ha parlato chiaro agli ebrei»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 28/02/2013, a pag. 6, l'intervista di Fiamma Nirenstein a Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, dal titolo "Quel Pontefice poco mediatico che ha parlato chiaro agli ebrei".


Fiamma Nirenstein
a destra, Benedetto XVI con Riccardo Di Segni

Nello studio al secondo piano del Tempio Maggiore, sorriso gentile: «Si rischia il cattivo gusto a interessarsi degli affari degli altri». Ma poi quelle due cupole che si guardano dalle rive del Tevere altro non possono fare che scrutarsi e discutere in un dialogo sempiterno e spinoso quanto lo è quello fra ebrei e cattolici.
Il professor Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, una sessantina d'anni molto ben portati, dotto e severo, parla con familiarità e rispetto delle dimissioni del suo coinquilino nella città in cui gli ebrei risiedono da 2000 anni. I ragazzi che incontriamo lo chiamano «morè» maestro. Il Papa è venuto qui in visita, in segno di amicizia. Di Segni è primario di radiologia diagnostica, come prescrive il dettato ebraico che vuole che i suoi saggi siano attivi nel mondo. Bioetica, rapporti interreligiosi, laicismo, speranze per il futuro: il rabbino dice sempre di più di quel che esprimono le sue brevi frasi.

Rabbino, chi loda la rivoluzionarietà del gesto del Papa, chi biasima l'abbandono. Chi ha ragione?
«Se questo Papa, e io lo ignoro, abbia sentito che gli mancava l'immensa energia per affrontare il suo lavoro immane, come biasimarlo? Forse così ha anche acceso la luce su un mondo in cui la certo ammirevole saggezza dei leader è anche accompagnata da un'età che certo è la più veneranda di quella di qualsiasi altra gerarchia. Comunque io non ho mai notato in lui particolari segni di stanchezza, ne di malattia».

Lei lo ha visto spesso. Talora ha anche lasciato capire che le si confaceva di più di Papa Woytila...
«Non ho nessuna critica su Giovanni Paolo. Ma mi piace l'aspetto ritirato, meno mediatico di questo Papa, la sua onestà intellettuale».

Non ha mai parlato molto dei «Fratelli maggiori».
«Qualche volta sì, ha ereditato il dettato del predecessore. Ma forse sa che per noi è espressione controversa. Ma ha sottolineato la continuità con l'ebraismo, e una volta che gli ho detto che ci era fastidioso l'uso ripetuto da parte dei sacerdoti del nome di Dio (noi non lo pronunciamo mai) mi disse che era "storicismus", e poi lo criticò pubblicamente. Forse una piccola polemica col protestantesimo, chissà. Ma era una forma di alleanza pratica. Mi piacque che subito dopo la sua elezione ricevetti un fax in cui mi avvertiva di essere stato eletto. Ne parlò tutto il mondo».

Un rapporto speciale
«Un rapporto chiaro. Mi pare abbia capito che il dialogo interreligioso nell'impostazione di Assisi, quello in cui da una parte c'è il mondo dei credenti, dall'altra quello dei non credenti nella parte dei cattivi, non gli si confaceva. Così, ha rifatto Assisi ma alla maniera sua, un grande incontro ma meno sincretismo».

Che ne dice?
«Il rapporto migliore non è con chi crede ma con le persone di buoni sentimenti: a noi ebrei spesso le persecuzioni sono pervenute da mondi di credenti, e tuttora l'Islam nella sua parte più estrema ce l'ha con i cristiani e con gli ebrei».

Il Papa però dopo Ratisbona andò alla Moschea Azzurra...
«Ci sono gesti che per un Pontefice sono necessari».

Il dialogo di Ratzinger con gli ebrei, non mi è parso brillantissimo da quando dichiarò che avveniva funzione dell'evangelizzazione...
«Vede, devo ancora trovare al mondo un cristiano che non pensi che sia bizzarro che gli ebrei non credano in Gesù Cristo. Il punto poi è che cosa se ne fa di questa diagnosi, se si pensa che i «perfidi giudei» debbano urgentemente essere convertiti oppure se il tema si risolve in una dimensione escatologica. Rispetto reciproco... Benedetto XVI ce ne ha dato, e anche di più: quando è stato eletto ho subito ricevuto in ufficio, e fu un gesto diretto solo a noi, un fax che diceva «Sono il nuovo Papa». Ne parlò tutto il mondo».

Quando il Papa ha citato il rabbino capo di Francia, Gilles Bernheim, che ha scritto contro i matrimoni omosessuali e l'omoparentalità, è balenata la ricerca di un fronte comune contro la secolarizzazione.
«Sì, stato molto interessante. Ma non su tutto la pensiamo allo stesso modo. Per esempio, sulla diagnosi preimpianto sull'embrione, noi siamo favorevoli... Non certo perché siamo favorevoli all'aborto, ma lo status giuridico del feto del tutto in vitro non è di completa capacità giuridica, e soprattutto occorre evitare la tragedia di una grave malattia genetica».

Ma la vita è sacra.
«Sì, il cristianesimo eredita da noi l'idea che la vita dell'uomo è sacra perché egli è creato a immagine e somiglianza di Dio. Per questo il comandamento dice 'non uccidere'. È la vita dell'uomo a essere sacra».

La laicizzazione, la mancanza di fede... Forse Ratzinger ne era assediato?
«Questo Papa non ha mai ceduto su nulla, non credo a una sua resa. Eppoi il laicismo è un problema antico, con l'Italia secolare del Risorgimento non pensa che il Papato soffrisse anche di più? Semmai è l'incoerenza interna, i compromessi, che possono averlo preoccupato».

Il Papa ha mostrato più comprensione per i Palestinesi che per Israele...
«Non fu un viaggio facile. Quel ragazzo tedesco dei tempi del nazismo quando arrivò al Soglio vide sui giornali israeliani titoli come "Il fumo bianco è diventato nero". A me è parso un personaggio assorto nella sua Chiesa, nei temi dottrinali e esegetici, e ci ha lasciato tranquilli nel rispetto teologico».

Qual è il suo auspicio per il prossimo conclave?
«I problemi per noi sono: sopravvivenza e impatto col mondo. Siamo contenti che in un periodo in cui si diffonde l'Islam radicale, la Chiesa sia invece amichevole. La Provvidenza ha creato una strana alternanza nei secoli... E l'impatto col mondo vuol dire creatività, il riconoscimento che la nostra spinta alla modernità è un fermento positivo. Dunque, un Papa non ostile che trovi con noi un'alleanza in progress».

Lei è medico, teme la scienza sfrenata, come sembrava preoccuparsene Benedetto?
«Ho un rapporto appassionato con la scienza, ma la sua applicazione deve seguire regole morali. E guai a dividere, con avvertimenti bigotti i religiosi da ipotetici stregoni laici. Anche qui funziona il buon senso e i buoni principi morali sia dei religiosi che dei laici».

C'è chi denuncia un terribile attacco giornalistico alla Chiesa...
«Il tema della corruzione della Chiesa è uno dei più classici e consumati del mondo. Non si deve esagerarne l'importanza, neanche in questi giorni drammatici».

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