Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/02/2013, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La missione a Milano del Prigioniero X per conto del Mossad ".
Guido Olimpio Ben Zygier
WASHINGTON — C'è un'operazione del Mossad a Milano dietro il giallo di Ben Zygier, il Prigioniero X morto in una prigione di Israele nel dicembre 2010? Le ultime rivelazioni della tv Abc dall'Australia, lo fanno sospettare. Zygier, cittadino israeliano e australiano, reclutato dall'intelligence di Gerusalemme, sarebbe stato mandato in Italia per aprire società attraverso le quali vendere tecnologia — probabilmente fallata — all'Iran. Un'operazione dove sono ancora tanti i misteri e che si intreccia, ma solo per coincidenza di date, con la fine drammatica di un nostro agente.
Riprendiamo da Zygier. Membro di una importante famiglia della comunità ebraica australiana, emigra in Israele e si arruola nell'esercito, quindi passa nel Mossad. Lo assumono anche se il suo profilo non è perfetto. È sempre sopra le righe, si vanta di essere una spia. Ma il suo passato — vero, in Australia — e quel documento pulito sono perfetti per la campagna ideata dall'allora capo dell'intelligence Meir Dagan. Contrario al blitz in Iran, preferisce le azioni di sabotaggio. Dirette, con esplosioni negli impianti iraniani usando degli oppositori ai mullah. Indirette, con la vendita di tecnologia che è destinata a incepparsi o a creare problemi. Materiale offerto ai mediatori di Teheran presenti in Occidente.
Ecco che Zygier — secondo le rivelazioni — si stabilisce in Italia (area di Milano), usa diversi alias, viaggia in Paesi sensibili. È lui uno dei «soldati» di un piano che porta a risultati? I siti iraniani sono colpiti da virus informatici (come il famoso Stuxnet), strani incidenti devastano basi strategiche, le macchine comprate all'Ovest hanno guai. Il controspionaggio khomeinista si sfianca, vede nemici ovunque, a volte li scopre e li manda sul patibolo. Ma ciò non ferma l'offensiva israeliana. E Zygier, sempre secondo le rivelazioni, ne è parte integrante insieme ad altri due australiani. La sua copertura salta alla fine del 2009, quando un giornalista australiano, imbeccato dagli 007 del suo Paese, viene a sapere che Zygier è un agente del Mossad. Lo affronta, lui nega. La sua posizione si fa difficile, possibile che gli australiani lo mettano alle strette. Ben — sostiene la tv — svela dettagli chiave sull'attività anti-Iran, qualcosa che è costato «anni di lavoro». Il 24 febbraio 2010 le autorità australiane scoprono che è stato rinchiuso in isolamento in un carcere di massima sicurezza in Israele. Detenzione tenuta nascosta per coprire il danno subito. Il 15 dicembre 2010 Zygier — secondo la versione ufficiale — si suicida in cella. Aveva 34 anni, lascia moglie e due bimbi. Il caso del Prigioniero X buca la cortina di ferro solo pochi giorni fa, la spy-story esplode, con l'Iran sempre a fare da sfondo.
E veniamo alla coincidenza, puramente temporale. Il 7 novembre 2010, sulla ferrovia vicino alle Capannelle (Roma) trovano il cadavere del tenente Riccardo Barba, funzionario dell'Aise, il servizio segreto militare. Si pensa al suicidio per ragioni sentimentali anche se, chi lo conosce bene, non ci crede. Fatto è che la notizia del decesso — come per Zygier — rimane riservata. Il caso dell'ufficiale riemerge con le indagini dei magistrati che accertano un elemento importante: nei polmoni di Barba ci sono tracce di gas di scarico, una quantità tale che non avrebbe permesso all'agente di camminare fino ai binari. È stato «suicidato»?
Poi si guarda al contesto. Rilevante. Barba era appena rientrato da una complessa azione a Milano per bloccare un traffico di tecnologia in favore dell'Iran. Insieme ai nostri 007 c'erano, si dice, israeliani e americani. Un intervento durante il quale — secondo il quotidiano Libero del novembre 2012 — gli agenti «perdono» un computer. O forse è stato sottratto da uno dei loro mezzi. Ombre, silenzi, interrogativi. Una storia che si specchia in quella dello 007 israeliano.
Non sappiamo se i percorsi di Zygier e Barba si sono mai incontrati. Ma è certo che i due agenti hanno camminato sui pericolosi sentieri della guerra segreta all'Iran.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante