La cattura di Osama Bin Laden in un film che rende onore al cinema americano, una Kathryn Bigelow da Premio Oscar, un esempio magnifico di come la storia, quella vera, va raccontata sul grande schermo. Un film da non perdere.
Pubblichiamo dal FOGLIO di oggi, 09/02/2013, a pag. 1 e XI, due pezzi, una analisi un po' farraginosa ma comunque interessante su come gli Usa affrontano, ieri e oggi, il terrorismo, e la recenzione di Mariarosa mancuso
Il Foglio-John Yoo: " Zero dark thirty"
(John Yoo ha lavorato nell’Ufficio legale del presidente George Bush del dipartimento della Giustizia. E’ considerato uno degli architetti dei memo sulla legalità degli interrogatori della Cia ai terroristi catturati e detenuti.)
La politica antiterroristica del presidente Obama è stata oggetto di molte critiche da quando è trapelato il memo legale dell’Amministrazione che difende gli omicidi mirati anche di cittadini americani. Secondo il “white paper” del dipartimento della Giustizia, gli Stati Uniti possono uccidere un cittadino che “pianifica attacchi con continuità” per conto di Qaida, quando un funzionario “informato e di alto livello” decide che il target “pone una minaccia imminente” e la cattura “non è realizzabile”. I membri di alcune commissioni del Congresso ne sapranno di più dopo che mercoledì il governo ha permesso loro di consultare i documenti secretati che giustificano gli omicidi mirati. Ma già dai leak sappiamo qual è l’orientamento: gli americani possono anche avere diritti costituzionali, ma le realtà della guerra e il diritto all’autodifesa nazionale scavalcano i diritti individuali quando l’esecutivo sceglie alcuni obiettivi. I pacifisti di sinistra e destra stanno diventando matti. “E’ difficile credere che questa politica sia stata concepita in un sistema democratico e con un sistema di check and balance”, ha detto l’Aclu in un documento, con un inusuale understatement. Il senatore Rand Paul ha esplicitato la sua preoccupazione nel “sapere che c’è una persona nell’esecutivo che ha un mazzo di figurine e decide chi deve essere ucciso in giro per il mondo, soprattutto cittadini americani”. Nonostante l’enorme frastuono, Obama non ha affatto garantito agli 007 una licenza d’uccidere. La storia che viene fuori dai memo è un’altra: racconta che l’Amministrazione Obama sta cercando di diluire pratiche di guerra nel costrutto legale. Il suo approccio riflette l’atteggiamento mentale di un’Amministrazione piena di gente che ha passato gli anni di Bush a criticare i metodi militari allora adottati e stanno ora cercando di imporre un approccio legalistico ben più debole per combattere il terrorismo.Chi di noi ha lavorato nell’Amministrazione Bush per trovare una risposta agli attacchi dell’11 settembre ha capito che si trattava di combattere una nuova guerra, che richiedeva l’uso segreto della forza all’estero, la detenzione di terroristi a Guantanamo senza processo, gli interrogatori duri e un’ampia sorveglianza elettronica. Ma Obama e molti che sarebbero diventati poi suoi consiglieri non hanno mai accettato le decisioni difficili prese dall’Amministrazione Bush nel considerare l’11 settembre un atto di guerra. Una volta eletto, Obama ha dichiarato nel 2009: “Le decisioni che sono state prese negli ultimi otto anni costituiscono un approccio legale ad hoc per combattere il terrorismo che non è stato né efficace né sostenibile”. Le politiche di Bush non hanno “fatto riferimento alle nostre tradizioni legali e alle nostre istituzioni di lunga data” e non hanno nemmeno usato “i nostri valori come una bussola”. Questa impostazione mentale si riflette nel “white paper”. Avrebbe potuto semplicemente riferirsi a quanto era stato stabilito in precedenza: sotto la legge marziale le unità militari possono uccidere soldati stranieri in ogni momento con fucili e artiglieria, droni e missili, e anche con raggio d’azione più ridotto. La cittadinanza americana non crea uno scudo legale attorno agli americani che con l’inganno si uniscono al nemico. Come la Corte suprema ha riaffermato nella sentenza del 2004 Hamdi vs. Rumsfeld, “cittadini che si associano con armate militari di governi nemici sono ‘enemy combatant’”. Ma invece che rifarsi all’autorità tradizionale in materia di omicidi di nemici, il documento trapelato rivela che una nebbia legale minaccia di avvolgere i soldati e gli agenti americani che sono in prima linea. L’Amministrazione ha sostituito la chiarezza delle regole di guerra con un vago bilanciamento legale che è lo stesso applicato ai poliziotti nelle ronde. Il Bill of Rights stabilisce una precisa tavola di regole per la polizia. Gli ufficiali possono usare la forza in modo letale soltanto quando c’è una ragionevole probabilità che una persona sospetta possa causare immediatamente un danno fisico grave. Il sistema legale non garantisce generalmente al governo di fermare persone potenzialmente pericolose prima che commettano dei reati. La missione dell’esercito è l’opposto. Le Forze armate americane e le agenzie di intelligence esistono per prevenire attacchi, non per prendere i colpevoli dopo. I soldati devono avere il diritto di usare la forza contro nemici armati in qualsiasi momento, non soltanto nel momento prima che “un leader operativo” (sono le parole del memo del dipartimento) metta una bomba. Il memo mostra che per la prima volta nella storia dell’esercito americano, consiglieri presidenziali valuteranno i diritti degli “enemy combatant” sul campo contro gli interessi del governo, giudicando quando c’è una minaccia “imminente” di violenza e valutando se la cattura è fattibile prima di decidere uno strike. Con queste premesse, la velocità e la determinazione dell’esercito ne soffriranno, anche se comunqe l’intelligence necessaria per indentificare i target dei droni andrà prosciugandosi con il ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan. Il memo suggerisce anche che leader di al Qaida cittadini americani come Anwar al Awlaki (ucciso in uno strike con i droni in Yemen nel 2011) hanno diritto al giusto processo. Ma così si volatilizzano i diritti di chi rispetta la legge a casa. Nel suggerire che i terroristi di al Qaida hanno diritti costituzionali, il memo non lascia spazi a una revisione legale dello strike, che sarebbe invece richiesta quando si sospende il giusto processo. Tutto quel che abbiamo sono resoconti poco credibili su Obama che sceglie gli obiettivi che gli fornisce la Cia facendosi ispirare da quel che Tommaso d’Aquino scrive riguardo alla guerra giusta. Questo approccio stabilisce un precedente preoccupante riguardo al giusto processo nei casi futuri che coinvolgono cittadini americani e residenti che godono di questi diritti. Includendo i terroristi tra coloro che possono avere protezioni costituzionali la politica del presidente rischia di estenderle – rendendole più deboli per tutti gli americani. Poi c’è da chiedersi se l’approccio di Obama davvero usa “i nostri valori come una bussola”. Dopo che s’è insediato, il presidente ha fatto grande sfoggio della sua volontà di fermare gli interrogatori “enhanced”, che pure secondo la Cia avevano prodotto la maggior parte dell’intelligence usata per localizzare leader di al Qaida, incluso Osama bin Laden. L’Amministrazione Bush ha sottoposto circa cento detenuti di al Qaida a metodi duri di interrogatorio, inclusi tre sottoposti al waterboarding. Piuttosto che catturare terroristi – cosa che produceva le informazioni più importanti su al Qaida – Obama ha usato quasi esclusivamente i droni ed è riuscito a schivare le domande difficili sulla detenzione. Ma queste uccisioni dal cielo violano la libertà personale molto più di quanto abbia mai fatto il waterbording su tre leader di al Qaida.
Il Foglio-Maria Rosa Mancuso-La recensione del Film
Alla fine arrivano i nostri. Eccome se arrivano: non esiste film che dia maggiore soddisfazione, da questo punto di vista. I nostri vengono attaccati – all’inizio lo schermo è nero, si sentono soltanto le voci di chi sta per morire l’11 settembre. I nostri giurano che i terroristi non la faranno franca, dovessero nascondersi in capo al mondo e risultare insensibili alle lusinghe del denaro (l’altro Impero del Male, viene ricordato in uno scambio di battute tra agenti della Cia, non lo era affatto: “La corruzione funzionava benissimo, durante la Guerra fredda”). I nostri fanno indagini, pedinano, interrogano, se necessario ricorrono al waterboarding, reso sullo schermo con il massimo realismo da una regista che sopra ogni cosa sa girare le scene d’azione. Per la verità, invece del dibattito “il film è pro o contro la tortura?”, e pure del sottodibattito “la tortura è servita oppure no a trovare il nascondiglio di Osama bin Laden?”, sono più interessanti altri dettagli delle Enhanced Interrogation Techniques – questo il nome corretto – mostrati nel film. Il prigioniero viene appeso per le braccia e privato del sonno, a volte chiuso in una specie di bara. Ma quando finalmente decide di collaborare, l’agente Jessica Chastain si copre i capelli con un velo prima di procedere (anche offrendo un ricco pasto). Quando è lei a interrogare direttamente, ha a fianco un collega che se necessario sferra un pugno. Il film è tratto da un reportage di prima mano dello sceneggiatore Mark Boal, che già aveva scritto il copione di “The Hurt Locker” adattando un suo articolo sull’Iraq. Da qui le polemiche preventive: “Zero Dark Thirty” sarà o no uno spot a favore di Obama? Chiunque era disposto a giurare che sì: la cattura del Nemico Pubblico Numero 1 (mentre il film era stato progettato come il resoconto di una caccia senza esito) avrebbe aiutato la rielezione del presidente. In verità, lo vediamo una sola volta su uno schermo tv, mentre dichiara che “la tortura ripugna alla statura morale degli Stati Uniti” (gli agenti della Cia commentano stizziti: “L’aria è cambiata, cerca di non farti trovare con un collare in mano”). L’infaticabile e determinata creatura che indica ai nostri la pista giusta si chiama Maya, già sopravvissuta a un attentato: “Sono rimasta viva per finire il lavoro”. I nostri entrano in azione con aerei invisibili, visori notturni, un sacco per cadaveri.
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