" Loro amano la morte, noi la vita "
Commento di Giulio Meotti
(traduzione di Yehudit Weisz)
http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/12473
Giulio Meotti
Un divario più vasto di un oceano divide il modo in cui gli israeliani guardano alla vita da quello di Hamas.
Fathi Hamed, un membro di Hamas, rivolgendosi a Israele, disse: “Noi desideriamo la morte più di quanto voi desideriate vivere”.
Questo urlo nazista sta alla radice del conflitto a Gaza e nel Medio Oriente.
“Noi vinceremo, perché essi amano la vita e noi amiamo la morte”, disse nello stesso tono il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Osama bin Laden aveva dichiarato: “Noi amiamo la morte. Gli Stati Uniti amano la vita. Questa è la grande differenza tra noi ...”
“Gli americani amano la Pepsi-Cola, noi amiamo la morte”, aveva spiegato Maulana Inyadullah, un membro operativo di Al Qaeda.
L’ayatollah Ali Khamenei aveva dichiarato: “Essere pronti a sacrificare la propria vita per servire gli interessi della propria nazione e della propria religione, è un uomo il più grande onore ”
Il braccio armato di Hamas ha dichiarato di aver disposto le proprie milizie a Gaza,per impegnare l’esercito israeliano, distribuendole in “unità suicide” anche formate da donne, . In arabo si dice “istishhadiyah”, la versione femminile del martirio.
I miei colleghi giornalisti preferiscono non vedere i dormitori, le scuole, le strade, i campi sportivi e gli eventi che l’Autorità palestinese e Hamas hanno intitolato in ricordo di queste portatrici di morte.
Finora sono 88 i casi di donne palestinesi che hanno scelto di morire per portare la morte a civili e militari israeliani. La Shin Bet, l’agenzia d’intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ha rilevato che il 33 % erano laureate; vengono chiamate“le più pure delle api”. Ahmad Yassin, il fondatore di Hamas, aveva emesso una fatwa per le donne per spiegare le loro operazioni suicide.
Kahira Saadi, madre di quattro figli, non ha mai espresso rammarico per il ruolo che aveva rivestito nell’attacco che uccise quattro israeliani, tra cui Tzipi Shemesh, madre incinta di due gemelli, e suo marito Gad.
Wafa Biss voleva diventare martire fin dall’infanzia: “Io credo nella morte, volevo uccidere 50 ebrei”, disse. Wafa cercò di farsi saltare in aria in un ospedale con nove chili di esplosivo tra le gambe. Quando un giornalista le chiese se era pronta a uccidere anche bambini, la donna rispose: “Sì, tutti, neonati e bambini ebrei”.
Ayat al Akhras aveva diciotto anni quando si è fatta esplodere in un supermercato di Gerusalemme.
Le donne terroriste-suicide hanno dotato Hamas dell’elemento sorpresa e di un modo più semplice per passare attraverso i posti di blocco israeliani. In un video registrato nel dicembre 2008, Umm Suheib, attivista di Hamas, proclama: “Giuro su Allah che darò fuoco al mio corpo in modo tale che le fiamme bruceranno i soldati di Israele”.
Una nonna palestinese di 57 anni si è fatta esplodere a Jabaliya tra un gruppo di soldati israeliani.
A Gaza oggi ci sono donne che promuovono una campagna per trovare volontari pronti a suicidarsi offrendosi quali scudi umani. Sono le “ matriarche di Hamas”, e alcune di loro hanno avuto un posto nel parlamento di Gaza. La loro leader è Jamila Shanti, la vedova di Rantisi, ex leader di Hamas.
Gaza è come la Cecenia, dove le donne hanno partecipato a missioni suicide contro i Russi. Sulla lista dei passeggeri saltati in aria sugli aerei nel 2004, c’erano i nomi di due donne cecene. Erano note come le “ vedove nere”. Altre due si sono fatte esplodere a pochi metri dal Cremlino. Nell’assedio del teatro Dubrovka a Mosca, metà dei terroristi erano donne. Dal 2000, erano compiuti da donne il 43 % degli attacchi suicidi.
Questa è la posta in gioco oggi a Gaza: i nemici degli ebrei sono pronti a morire pur di uccidere il maggior numero di nemici, i soldati israeliani invece sono pronti a morire per salvaguardare la vita di altre persone.
Nella società palestinese la persona disabile più famosa fu il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin. In Iraq, i terroristi usavano donne disabili per gli attacchi suicidi. In Israele, al contrario, giovani con la sindrome di Down possono far parte dell’esercito per farli sentire parte della società.
Questa è la storia del conflitto in Medio Oriente: il culto islamico della morte contro il diritto israeliano alla vita, ha sintetizzato il Prof. Reuven Feuerstein, il pioniere israeliano che ha dedicato la propria vita a far progredire le persone colpite dalla sindrome di Down. Ha detto che “ i cromosomi non avranno mai l’ultima parola”.
Dall’altra parte ci sono coloro che assaporano “ la sensazione forte e deliziosamente perversa del sangue versato”, come scrisse Varlam Salamov, che fu rinchiuso venti anni nei Gulag.
Nessuna società occidentale vive in maggior intimità con la morte di quella israeliana, dove troppi genitori hanno sepolto i loro figli, dove troppe vittime sono ancora in coma, dove troppo sangue è stato versato, dove persone innocenti vivono come invalidi la loro vita su una carrozzina.
Cinque guerre dalla fondazione di Israele nel 1948, hanno dato origine a migliaia di veterani disabili e superstiti civili per attacchi suicidi. Ogni mattina, queste persone si svegliano con i peggiori incubi, in contrasto con la gioia di vivere di Israele. Sono un microcosmo opposto allo spirito indomito che l’Occidente associa all’essere “israeliano”.
Io ricordo una guardia per la sicurezza del supermercato a Kiryat Hayovel, che ha perso le gambe; un poliziotto di origine australiana che ha perso una gamba a Neveh Ya’acov; una ragazza con una scheggia nel cervello per il doppio attentato nella zona pedonale di Ben-Yehuda; un bambino che ha perso la vista al ristorante Maxim di Haifa, o la poliziotta incinta, Shoshi Attiya, che ha inseguito il terrorista a Netanya.
Io penso a loro quando leggo la stampa occidentale dire che Israele è la parte più forte del conflitto, - con i soldati, la tecnologia, i soldi, la conoscenza, la capacità di usare la forza, l’alleanza con gli Stati Uniti – e che perciò deve essere compassionevole nei confronti di un popolo debole, che chiede i suoi “diritti” ed è pronto al martirio per ottenerli. Questa è la più grande menzogna che sia mai stata propinata all’opinione pubblica.
Israele sta combattendo lo stesso male che a Kigali ha abbattuto quelli che portano gli occhiali, che in Algeria taglia la gola a monaci e intellettuali e che a Tokio ha usato gas nervino nella metropolitana.
La fila delle madri israeliane che corrono con i loro figli per trovare un rifugio quando suona l’ “allarme rosso” mi fanno ricordare il bambino del ghetto di Varsavia, con il cappello troppo grande per lui, la stella gialla sul petto, le mani alzate e i piccoli puntini umani che saltavano dalle Torri Gemelle. Non dobbiamo cercare di fuggire da queste immagini.
Richard Wagner ci ha offerto lo scenario finale dei terroristi: il crepuscolo degli dei e l’incendio del pianeta. E’ nostra responsabilità che, da Gaza a Beslan, coloro che appendono bombe come ghirlande sui loro bambini, che li minacciano di morte se piangono, falliscano nel tentativo di portare a termine i loro piani criminali.
Giulio Meotti è l'autore di " Non smetteremo di danzare " (Lindau Ed.) pubblicato in inglese con il titolo " A New Shoah", scrive per Yediot Aharonot, Wall Street Journal, Arutz Sheva, FrontPage Mag,The Jerusalem Post, Il Foglio. E' in preparazione il suo nuovo libro su Israele e Vaticano.