Turchia: la situazione si complica
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, versione italiana a cura di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar
Ho analizzato recentemente la tensione crescente tra Sunniti e Sciiti in Medio Oriente, e le fazioni ostili le une alle altre, che sono il riflesso delle tensioni interetniche: da un lato c’è una coalizione sciita costituita da Iran, Iraq e Hezbollah, che sostiene il regime sanguinario alawita vicino agli sciiti , e dall’altro c’è la coalizione sunnita costituita da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, aiutata da molti altri paesi, in particolare da Giordania ed Egitto. E’la guerra di Gog sciita contro Magog sunnita, iniziata nel marzo 2011, sull’antica terra di Assiria, l’attuale Siria.
Soldati curdi
Oggi ci concentreremo sul triangolo turco - curdo - egiziano, fondato su interessi instabili e fluttuanti: il nemico del mio nemico non è necessariamente mio amico, l’amico di ieri può diventare il nemico di oggi, gli slogan e le minacce non si traducono forzatamente in azioni, le superpotenze regionali si minacciano a vicenda, l’economia di ieri non è l’economia di oggi e le previsioni per il futuro smentiscono i progetti del passato.
L’intero blocco regionale che Erdogan e Davutoglu avevano concepito, è crollato sulle teste dei turchi che ormai non vedono più in Erdogan l’inviato dal Dio Onipotente. Nei suoi affanni, cerca nuovi amici, ma - ahimè - si scopre che questi sono solo dei miserabili, disperatamente poveri. Dimmi chi sono i tuoi amici e ti dirò chi sei.
Il marasma siriano sta per travolgere il regime di Assad con sangue, fuoco e lacrime, ma in questo vortice potrebbe pure trascinare la Turchia. E’ chiaro a tutti che il regime di Assad cadrà, ma chi sarà lì a recuperare il più possibile di quel che resterà della Siria? Chi uscirà da questa guerra totale con il minor danno? E chi oggi scommetterebbe sul cavallo che domani potrebbe vincere o essere morto?
I curdi sono i grandi vincitori
Quando alla fine della Prima Guerra Mondiale, sotto l’influenza europea, le superpotenze avevano diviso il Medio Oriente in vari stati, i curdi furono dimenticati, trascurati e traditi. Sono stati suddivisi tra quattro stati: Iraq, Siria, Turchia e Iran. Nessuno prese sul serio le loro aspirazioni nazionali, tutti pensavano che i curdi vi avrebbero rinunciato. L’oppressione che hanno subito in questi quattro paesi, e il fatto di avere una loro lingua e una loro cultura, gli hanno permesso di conservare in un’unità etnica viva e vitale, con aspirazioni di fratellanza e indipendenza ,che si sono espresse nel corso degli anni in sanguinose battaglie per la conquista della libertà. Purtroppo il settarismo e il tribalismo esistenti tra i curdi non li ha aiutati a raggiungere quell' obiettivo comuni.
La “primavera curda” è iniziata ventidue anni fa, quando a Saddam Hussein fu imposto di rispettare la “no fly zone” sulla striscia curda dell’Iraq. Il cielo liberato dai nemici ha permesso ai curdi di sviluppare meccanismi sociali e politici che hanno portato alla creazione del Kurdistan iracheno indipendente, con la sua bandiera, i propri partiti politici, i media, le elezioni, un parlamento, un governo, un sistema economico e soprattutto, i “Peshmerga”, i temerari soldati che difendono tutto ciò che i curdi hanno raggiunto. Il Kurdistan iracheno sta vivendo da anni la propria indipendenza , sotto la protezione degli Stati Uniti, nonostante l'opposizione della Turchia. Il Kurdistan iracheno è infatti diventato la base per l’organizzazione, la formazione e l’armamento del “Partito dei lavoratori curdi”, il PKK, che conduce una guerra sanguinosa contro il governo turco.
L’indipendenza che il Kurdistan iracheno è riuscito in concreto a stabilire, soprattutto dopo la caduta di Saddam nel 2003, ha incoraggiato e incitato anche i curdi della Turchia a lottare per la propria indipendenza. Il graduale crollo del regime siriano, a partire dal marzo del 2011, ha spinto alla lotta per l' indipendenza anche i curdi di Siria, che vivono in maggioranza nella regione di al-Hasaka, a nord-est del paese, vicino al Kurdistan iraqeno.
Negli ultimi mesi molti curdi si sono trasferiti dalla Siria in Iraq, per esercitarsi e organizzarsi in unità di combattimento nei campi militari curdi (dei Peshmerga), per poi tornare in Siria a difendere le loro famiglie. Quando i curdi siriani avranno realizzato il loro sogno di libertà, Erdogan dovrà combattere su tre fronti curdi: in Iraq, in Siria e a casa sua, in Turchia. Vuole la caduta di Assad, ma trascura ciò che sta già succedendo sul campo: la disintegrazione della Siria e lo sviluppo di un altro Kurdistan, quello siriano.
La Turchia sostiene i ribelli siriani, ma Assad - per vendetta - sta aiutando i curdi turchi del PKK, che si stanno ribellando contro Erdogan. In cambio, i combattenti della resistenza curda partecipano con l’esercito siriano nella dura battaglia per Aleppo, e l’alleanza tra Assad e il PKK è per i curdi siriani una maledizione dato che vogliono rovesciarlo.
La verità viene a galla
Recep Erdogan
Fin da quando, dieci anni fa, in Turchia è arrivato al potere, il “Partito islamico di Giustizia e Sviluppo” ha incentrato tutta la politica estera turca verso Oriente: i collegamenti con la Siria, l’Iraq e l’Iran sono fioriti, e Israele ne ha pagato il prezzo. La strategia“zero conflitti” ideata dal Ministro degli Esteri, Davutoglu, avrebbe dovuto conferire alla Turchia un ruolo di grande responsabilità, quale mediatore e conciliatore a livello regionale, in grado di premiare coloro che sono sotto la sua influenza, con invitanti accordi economici . Così la Turchia aveva abrogato l’obbligo del visto per i cittadini siriani, Erdogan e Assad sono stati fotografati abbracciati e sorridenti, l’economia turca prosperò con una sorprendente crescita annuale dell’8 per cento. Tutto è andato bene, fino alla fine del 2010.
Il problema del nucleare iraniano e la catena di disastri che gli stessi popoli del Medio Oriente si sono procurati da soli, la cosiddetta “primavera araba”, hanno posto la Turchia in una situazione critica: l’Iran aggrava il suo conflitto con l’Occidente e subisce le sanzioni, ma la Turchia non riesce a mediare e a conciliare le due posizioni. Erdogan propone di stoccare l’uranio arricchito iraniano in Turchia, ma la proposta non viene presa in considerazione.
Il deterioramento della situazione in Siria aggrava le tensioni all’interno della Turchia tra curdi e turchi e tra musulmani e alawiti, inoltre l’arrivo di centomila rifugiati siriani pesa come un fardello sull’economia turca. I ripetuti appelli del governo turco di imporre alla Siria una no-fly zone sopra le città, non sono stati accolti, nessuno li ha presi sul serio. L’Iran ha minacciato di attaccare la Turchia se interviene in Siria, nonostante che società turche aiutino l’Iran ad aggirare le sanzioni internazionali .
La Russia è dalla parte dell’Iran mentre gli Stati Uniti si offrono volontariamente in aiuto alla Turchia nonostante sia governata da un partito islamista, decisendo di installare un sistema radar allo scopo di difendere l’Europa dai missili balistici iraniani. Le complicazioni con Israele, che ha rifiutato di scusarsi per l’uccisione di nove cittadini turchi sulla Mavi Marmara, mostra la debolezza del governo turco.
L’economia turca si sta indebolendo, gli investimenti dall’estero sono in calo, l’inflazione è in aumento: nell’ Europa in crisi si acquista un minor numero di prodotti turchi e il mercato arabo è scomparso. L’Iran fornisce petrolio e gas alla Turchia, ma la tensione tra loro mette in pericolo il loro rapporto economico. L’urgente necessità di energia spinge i leader turchi a rivolgersi a Israele e Cipro “affinchè prendano in considerazione la Turchia” per quanto riguarda la divisione delle riserve di gas dal fondo del Mar Mediterraneo. L’Europa non sostiene questa richiesta turca; ombre oscurano anche le relazioni tra Turchia e NATO: la Turchia non ha dimenticato nè perdonato l’Europa per non aver accettato il suo ingresso nell’Unione europea, nonostante il fatto che questo rifiuto abbia evitato alla Turchia di dover sostenere la Grecia. La Turchia non sostiene la NATO per quel che concerne il problema Afghanistan così come non ha aiutato i Paesi occidentali nell’invasione dell’Iraq nel 2003.
La crisi in Siria rivela la verità sul regime turco, all’avanguardia del fronte sunnita, contro gli sciiti e contro l’Iran. Il massacro di musulmani per mano degli alawiti preoccupa Erdogan, che ogni settimana lancia forti minacce contro Assad e il suo regime. Tuttavia, fino ad oggi, questi discorsi non sono diventati un’azione militare diretta, e l’aiuto si riduce a sostenere dietro le quinte i ribelli siriani, con la fornitura di armi, attrezzature e denaro per l’esercito siriano libero (ALS), la creazione di basi di addestramento e la trasmissione di intelligence sui movimenti dell’esercito di Assad e dei suoi piani operativi contro i ribelli.
La Turchia viene risucchiata nel vuoto di potere sempre più ampio lasciato dal regime siriano. Mentre da una parte agisce per rovesciare il regime di Assad e gli alawiti, d’altra parte non vuole la disintegraione della Siria. Erdogan, come Netanyahu, teme che le armi di distruzione di massa vadano a finire nelle mani di irresponsabili, e in questo contesto la presenza di Hezbollah e della Guardia Rivoluzionaria Iraniana in Siria lo preoccupa molto. Il parlamento turco ha dato il via libera al governo di scatenare una guerra contro il regime di Assad, e Erdogan parla della guerra contro la Siria, come se fosse imminente. L’aereo turco colpito nel mese di giugno di quest’anno, le voci di una eliminazione dei piloti a sangue freddo, incidenti di confine tra i due stati in cui sono stati uccisi civili e militari da entrambe le parti, tutto questo potrebbe degenerare facilmente in un conflitto più ampio con molte vittime, nel qual caso Assad si batterà ad oltranza come Sansone gridando “Che io muoia insieme con i Filistei”.
Ma Erdogan ha un’altra ragione per evitare un confronto con la Siria: l’esercito . Una percentuale piuttosto elevata di soldati turchi sono curdi, e potrebbero rifiutarsi di combattere o anche sabotare attrezzature militari o le azioni dei militari turchi, se ritenessero che tutto questo minacciasse gli interessi curdi.
I soldati curdi non vogliono combattere contro i loro fratelli in Siria, essendo uno stato curdo il comune obiettivo. Per cui non è chiaro se l’esercito turco è sufficientemente motivato per combattere sul suolo siriano.
L’opposizione turca accusa Erdogan di compromettere le relazioni con la Siria, fino a dichiarare una guerra, vincerla, e poi andare alle elezioni nel 2014 per conquistare la presidenza della Turchia. L’opposizione accusa anche Erdogan di aver l’intenzione di modificare la Costituzione per instaurare un regime presidenziale, che assegnerebbe al Presidente gran parte del potere esecutivo, come negli Stati Uniti o in Francia. Una guerra contro l’esausto esercito siriano dovrebbe necessariamente concludersi con la vittoria di Erdogan, sia sul campo di battaglia che alle urne. Naturalmente Erdogan nega di voler trascinare la Turchia in una guerra contro la Siria per un interesse personale.
Il ruolo dell'Egitto
Mohammed Morsi
Nel caos regionale in cui ha portato la Turchia, Erdogan cerca amici cui chiedere consiglio e sostegno. L’Egitto dei Fratelli musulmani è una scelta naturale. Le forze navali turche ed egiziane in questi giorni fanno esercitazioni comuni. Le manovre, chiamate “Mare di Amicizia” (Bahr al-Sadaqa), si svolgono in Egitto. La marina turca vi partecipa con due fregate, una nave di attacco veloce, una nave cisterna, due mezzi da sbarco, due elicotteri, un battaglione di fanteria marina e una squadra di commando della marina. Questa è la seconda volta per le forze navali egiziane e turche. Lo scopo dichiarato dell’operazione è sviluppare la cooperazione e la capacità di azione comune delle due flotte.
Pochi giorni fa, il 6 ottobre, il presidente Morsi ha parlato davanti ad un pubblico di decine di migliaia di militari, in occasione del 39 ° anniversario della vittoria (sic!) della Guerra di Ottobre (1973) e dei primi cento giorni da quando ha assunto il potere. Morsi è ben consapevole dei problemi economici dell’Egitto che lo costringono ad essere dipendente dagli aiuti altrui e di attuare una politica che non coerente con l'ideologia dei Fratelli Musulmani. Per rafforzare l’indipendenza dell’Egitto, ha chiesto e ottenuto dalla Turchia un aiuto economico di un miliardo di dollari.
Morsi ha poi presentato i suoi successi da quando è salito al potere alla fine del mese di giugno come primo Presidente d’Egitto eletto in libere elezioni, ma ha sottolineato anche le sfide che l’Egitto deve affrontare. Ma i suoi oppositori sostengono che Morsi nasconde la realtà , e che la vittoria alle elezioni non garantisce di per sè un funzionamento corretto del potere. Lo accusano di aver nominato suoi amici in base alla loro fedeltà ai Fratelli Musulmani, e non secondo le loro capacità. L’evento del 6 ottobre che comprendeva una marcia militare, nell’ambito della cerimonia per commemorare l’anniversario della guerra tra Egitto e Israele nel 1973, è stato una dimostrazione di potere dei Fratelli Musulmani, sia in Egitto che verso l’esterno.
Morsi ha detto di aver raggiunto il 70% dei suoi obiettivi. L’Egitto ha chiesto al FMI (Fondo Monetario Internazionale) un prestito di quasi 5 miliardi di dollari, al fine di contribuire a rafforzare la sua economia, ma i funzionari del FMI esigono da Morsi come una delle condizioni per il prestito, la riorganizzazione del sistema delle sovvenzioni. Ciò significa un aumento dei prezzi, che potrebbe creare tensioni tra il governo e la popolazione. Morsi preferisce ottenere dei prestiti senza imporre alla popolazione un prezzo troppo alto per i prodotti alimentari di base. Ha poi accusato il regime di Mubarak di corruzione e furto di miliardi che appartengono al popolo, ma Morsi è stato eletto per risolvere i problemi, non per piagnucolare, quindi non potrà continuare ad accusare Mubaraq a lungo.
Per Morsi, la Turchia è un modello di successo: un governo islamico, una società tradizionale, un’economia sviluppata, un esercito grande e potente, uno status internazionale e rapporti amichevoli sia con l’Oriente che con l’ Occidente. Tra Morsi e Erdogan ci sono differenze di opinione per quanto riguarda la Siria, perché Morsi sostiene da sempre che i paesi stranieri non devono intromettersi, mentre è lo stesso Erdogan che invoca un coinvolgimento internazionale. Tuttavia, per quanto riguarda ciò che sta accadendo in Siria, entrambi affrontano seriamente l’aggravarsi della situazione, partecipando con angoscia e dolore per gli orrori che vengono registrati sulle videocamere, te che utto il mondo può vedere.
Entrambi sono musulmani sunniti, leader di nazioni sunnite, e temono il ruolo che l’Iran sciita sta giocando, in Siria in particolare, e in Medio Oriente in generale. Sono preoccupati per il programma nucleare iraniano, i disordini in Iran, e la capacità iraniana di destabilizzare i regimi dall’interno, per prendere il controllo di un paese, come è successo, ad esempio, in Libano e in Iraq.
Entrambi controllano passaggi marittimi internazionali, il Canale di Suez in Egitto e il Bosforo e i Dardanelli in Turchia, ed entrambi possono bloccare il traffico marittimo della coalizione sciita e dei suoi sostenitori, Iran e Russia, in rotta verso il Mar Mediterraneo, per sostenere il regime siriano. Questo spiega chiaramente perché le manovre tra la flotta egiziana e quella turca è un’esercitazione navale, e non terrestre.
Non è chiaro se il rafforzamento del legame tra Egitto e Turchia cambierà gli equilibri di potere nella regione, ma sicuramente dovrà essere preso in considerazione se dovesse essere messo in discussione - ad esempio - il blocco navale che Israele ha imposto alla Striscia di Gaza. Che cosa farà Israele nel caso in cui Morsi e Erdogan decidessero di promuovere una spedizione di “aiuti umanitari” a Gaza utilizzando le navi delle due flotte per attirare simpatie a spese di Israele? Che cosa farà allora la NATO? E gli Stati Uniti?