E' morto Eric Hobsbawm, difensore dei gulag, del negazionismo, di Stalin e dell'occupazione sovietica dell'Europa, grande odiatore di Israele e della democrazia.
Se l'Occidente è arrivato al punto che tutti sappiamo, una ragione c'è. sono stati anche i suoi insegnamenti, i suoi libri ampiamente diffusi in tutto il mondo democratico, nei quali il concetto di libertà è strettamente collegato ai regimi dittatoriali. Una capacità l'ha avuta, è stato un grande imbonitore, tanto che sui quotidiani italiani di questa mattina, destra, centro e sinistra è tutto un brodo di elogi. Si distinguono solo Gianni Riotta sulla Stampa e Nicoletta Tiliacos sul Foglio di oggi.
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 02/10/2012, a pag. 2, l'articolo di Nicoletta Tiliacos dal titolo "La lunga illusione di Eric J. Hobsbawm, copywriter del Secolo breve".
Eric Hobsbawn
Yasser Arafat Igor Man Sandro Viola
Ora che sono diventati quattro, in un luogo ben riscaldato, possono iniziare la loro partita di poker, lo stavano aspettando..
Ecco l'articolo di Nicoletta Tiliacos:
Dello storico Eric J. Hobsbawm, morto ieri a Londra a novantacinque anni, anche i critici più severi devono riconoscere il talento di copywriter. Il titolo del suo libro più famoso, “Il secolo breve” (pubblicato da Rizzoli nel 1995) è diventato proverbiale, con la sua idea di un Novecento cominciato con l’attentato di Sarajevo e finito con il crollo del comunismo. Così come hanno fatto epoca sia l’“Invenzione della tradizione”, pubblicato da Hobsbawm con Terence Ranger nel 1983, sia i suoi studi su nazione e nazionalismi. Marxista mai pentito, tesserato del Partito comunista britannico dal 1936, nato ad Alessandria d’Egitto nell’anno della Rivoluzione d’ottobre (“appartengo alla generazione per la quale la Rivoluzione ha rappresentato la speranza del mondo”), Hobsbawm è stato l’esponente più popolare di una storiografia militante che non ha mai nascosto il pregiudizio positivo nei confronti del comunismo e dell’Urss. Lo storico Robert Conquest gli diagnosticò per questo “un massiccio rifiuto della realtà”, mentre Tony Judt, che pure di Hobsbawm lodava l’erudizione e la prosa elegante, disse che “si era provincializzato” (ma il più cattivo è stato David Evanier, che sul Weekly Standard lo ha chiamato “cheerleader di Stalin”). Sempre pronto a comprendere le ragioni del mondo comunista – anche dopo i fatti ungheresi, dopo l’invasione di Praga, dopo la caduta del Muro di Berlino – Hobsbawm riservò la propria severità ai movimenti nazionalisti. A suo giudizio, contenevano tutti, per definizione, un elemento irrazionale, terreno fertile per l’“invenzione della tradizione”. In positivo, non si può negargli l’avversione per la moda postmodernista delle università occidentali, “in particolare nei dipartimenti di Letteratura e Antropologia”, secondo la quale tutto sarebbe costruzione intellettuale, mentre “non vi sarebbe alcuna chiara differenza tra fatto e finzione. Invece c’è. E per gli storici, anche per i più accaniti anti positivisti tra noi, la capacità di distinguere tra i due è assolutamente fondamentale. Non possiamo inventare i fatti. O Elvis Presley è morto o non lo è”. Inglese di seconda generazione, un nonno ebreo arrivato a Londra da Varsavia e madre viennese, presto orfano e cresciuto con due zii in Gran Bretagna, a Cambridge Hobsbawm fu ammesso nella società segreta degli “Apostoli”, alla quale appartennero anche John Maynard Keynes, Bertrand Russell, Lytton Strachey. Radicalità politica ed elitarismo: ecco un altro tassello significativo del suo marxismo british. Quanto al segreto, l’unico osservato in seguito fu quello dello pseudonimo (Francis Newton) con cui firmò dal 1956 al 1966 le recensioni di musica jazz sul New Statesman, bibbia dei sinistrorsi inglesi. Qualcuno dei suoi fan italiani vacillò quando su Repubblica, nel marzo del 2000, Hobsbawm difese lo storico David Irving, accusato di negazionismo sull’Olocausto dall’americana Deborah Lipstadt. Irving aveva ragione a dire che non c’era una vera e propria prova del fatto che Hitler avesse ordinato personalmente la “soluzione finale”, affermava Hobsbawm. E aggiungeva che non era sbagliato sollevare dubbi sulla “retorica pubblica o versione hollywoodiana dell’Olocausto” che può trasformarsi in “mito legittimante dello stato di Israele e della sua politica”. Ancora nel 2009, lo storico sosteneva in un’intervista che “il liberalismo ha sottovalutato le aspirazioni e i successi dei movimenti comunisti. Li si è voluti gettare completamente nella spazzatura, farne dei semplici pretesti per fondare i gulag. Questa mitologia, che data dalla Guerra fredda, non è ancora morta”. Per l’inventore del “Secolo breve”, l’illusione non finì mai.
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