Roma. Nel weekend Israele ha acceso il “mobile alerts system test”, l’sms che avvertirà la popolazione in caso di attacco missilistico. Nello stato ebraico si respira la stessa aria che gli Stati Uniti hanno vissuto a ridosso della guerra preventiva contro l’Iraq di Saddam Hussein. Il giornale Yedioth Ahronoth rivela che il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak sarebbero pronti ad attaccare le installazioni nucleari iraniane in autunno, prima delle elezioni presidenziali statunitensi. Scrive Alex Fishman, analista militare di Yediot Ahronoth: “A partire da dicembre, Israele si troverà in una condizione per cui sarà totalmente dipendente da un soggetto esterno, l’America. Tutti i dirigenti dello stato di Israele, per generazioni, hanno fatto di tutto per non ritrovarsi chiusi in quest’angolo”. Il momento della verità sembra essere arrivato, dopo che anche il National Intelligence Estimate americano ha chiarito che gli iraniani sono vicini al “punto di non ritorno” nel loro programma atomico. Pubblicazioni vicine all’intelligence israeliana parlano del primo ottobre come data del possibile assemblaggio di un ordigno atomico. Scrive Ben Caspit, sul giornale Maariv: “Bluffare è prerogativa di Netanyahu e Barak, ma è ormai giunto il momento che decidano se bombardare o no gli impianti in Iran, altrimenti rischiano di non essere più presi sul serio né qui né all’estero. Comunque, deve essere chiaro: se Netanyahu e Barak decidono che è così, hanno il pieno diritto di farlo. Avranno la maggioranza nel governo e daranno avvio all’operazione. E’ così che funziona in democrazia”. Intanto si registra una campagna giornalistica e politica senza precedenti in Israele contro l’eventuale attacco. Netanyahu e Barak hanno contro i vertici del Mossad, dell’esercito, il presidente Shimon Peres ed ex primi ministri come Ehud Olmert, che ha parlato contro lo strike nel weekend. La diplomazia israeliana si muove per un “ultimatum nucleare” all’Iran, che affermi il fallimento dei negoziati e chieda a Teheran di sospendere immediatamente ogni arricchimento dell’uranio. Dopo una simile dichiarazione, se l’Iran continuerà nel programma nucleare “ogni opzione sarà sul tavolo”, ha detto al New York Times il viceministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon. Potrebbe essere decisivo l’incontro che Netanyahu e il presidente americano Obama avranno a New York il 27 settembre nell’ambito dell’Assemblea generale dell’Onu. E’ in quell’occasione che Washington e Gerusalemme potrebbero stabilire gli ultimi dettagli per l’attacco all’Iran. E gli Stati Uniti cosa faranno in caso di strike d’Israele? Sempre Maariv nel weekend ha rivelato che l’Amministrazione Obama avrebbe promesso a Israele un “ombrello protettivo” in caso Hezbollah e Hamas lanciassero sullo stato ebraico migliaia di missili. Nel 2007 Israele ha sorvolato la Turchia per distruggere il reattore siriano fuori Damasco. Quale rotta prenderanno i caccia israeliani stavolta per arrivare in Iran? E’ appena arrivata una strana dichiarazione dell’Arabia Saudita, antagonista storico dell’Iran e alleato degli Stati Uniti, secondo cui nessun aereo israeliano potrà passare nel proprio spazio aereo se diretto verso l’Iran. Una conferma-smentita dell’apertura dei cieli della Mecca agli odiati nemici ebrei? Gli obiettivi iraniani distano 2.250 chilometri da Israele, un’immensità per Gerusalemme se non accorcia la strada passando per il nord dell’Arabia Saudita. Una rotta già utilizzata nel 1981, quando una squadriglia di caccia israeliani bombardarono il sito nucleare iracheno di Osirak. Ehud Barak ha smentito la dichiarazione dei sauditi: “Non so niente di questo avvertimento”. Il New York Times a febbraio ha scritto che Israele potrebbe usare la via più rapida dall’Iraq, che non possiede difese antiaeree. Altri commentatori parlano dello spazio aereo della Giordania. Nel 2010 il Times di Londra rivelò che l’Arabia Saudita aveva testato la disattivazione dei sistemi di “scrambling”, la messa in avaria di meccanismi utili a chi viola il suo spazio. Lo scopo è consentire ai caccia con la stella di David di utilizzare lo spazio aereo dei custodi dell’islam. Per questo nel 2010 l’allora capo del Mossad, Meir Dagan, avrebbe incontrato i suoi omologhi sauditi. Si è parlato anche di una base militare israeliana già presente a otto chilometri da Tabuk, la città saudita al confine con Israele, dove sarebbe stoccato materiale militare da usare in caso di strike. Che Israele stia procedendo spedito verso la decisione fatale lo si capisce anche dalla critica, inusitata, che ufficiali israeliani hanno rivolto alla Casa Bianca. Per rassicurare Gerusalemme, il portavoce di Obama Jay Carney aveva detto che gli Stati Uniti sapranno perfettamente in tempo se e quando Teheran deciderà di assemblare un ordigno atomico. La risposta ufficiosa israeliana è stata che a Washington “non hanno previsto neppure l’11 settembre”. Tradotto: Israele farà affidamento soltanto su se stesso.
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