Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 07/08/2012, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Il «nuovo Egitto» accusa Israele per la strage voluta da Al Qaida ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Per i terroristi nel Sinai “ci fidiamo di quello che farà l’Egitto”, dice Israele". Dalla STAMPA, a pag. 12, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " La maledizione del Sinai frena le ambizioni di Morsi ", preceduto dal nostro commento. Dall'UNITA', a pag. 15, la breve dal titolo " Fratelli musulmani: rivedere accordo con Israele ", preceduta dal nostro commento.
Il commento di IC è contenuto nella Cartolina da Eurabia di Ugo Volli, pubblicata in altra pagina della rassegna
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=45573
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Il «nuovo Egitto» accusa Israele per la strage voluta da Al Qaida "
Fiamma Nirenstein, Fratelli Musulmani
Tutto è tragicamente chiaro: il Sinai è preda di bande terroriste di origine qaidista che attaccano Egitto e Israele insieme. Ma con l’avvento della Fratellanza Musulmana alla prima occasione per dimostrare di saper tenere la testa sulle spalle, invece fuoriesce dal nuovo Egitto di Mohammed Morsi, il presidente che appartiene della Fratellanza, uno scriteriato proclama complottista. Che peccato, dopo i quindici morti egiziani cercare, invece dei colpevoli, il solito capro espiatorio: Israele, la seconda vittima dell’attacco col Paese delle piramidi. E invece dopo l’attacco terroristico di domenica notte lungo il confine fra Egitto e Israele a Kerem Shalom dopo che si è capito che il Sinai è un nido di terrorismo internazionale, i Fratelli Musulmani se ne sono usciti affermando che l’attacco è stato organizzato dal Mossad per mettere in difficoltà Morsi, e che questo è provato dal fatto che Israele aveva detto ai suoi compatrioti (ma quante volte negli ultimi anni!) di lasciare la vacanza in Sinai. Quindi, conclude la Fratellanza, urge rivedere il trattato di pace.
Morsi per ora tace, ma è difficile che il suo partito abbia stampato tanta risoluzione sul suo sito, assolvendo di fatto i terroristi di Al Qaida che invece mettono sottosopra l’Egitto. Basta ricordare quante volte è esploso il gasdotto fra Israele e l’Egitto, e quanto sfondo sociale ci sia alla presenza terrorista a causa della miseria. Mubarak affrontava i ribelli con durezza e piglio, Morsi invece non li sbatterà in prigione, nè li condannerà a lunghi anni in carcere: sono i suoi fratelli di ispirazione religiosa e politica, la sua folla, che ora, delusa e affamata, già lo minaccia. Il fatto che adesso l’Egitto abbia fatto chiudere il passaggio di Rafah è stato seguito da una esclamazione di rabbia di Hamas,che l’havista come una «punizione collettiva ». Ma Hamas sa bene quanti terroristi provenienti da Gaza si aggirano per il Sinai, gente di Al Qaida o di Magle Shoura al Mujahddin, che alla richiesta di non passare il confine con l’Egitto risponde «non c’è nessun confine fra i Paesi musulmani. Il Mujahaddin conosce solo i confini dati da Allah », ovvero quelli della Ummah Islamica. Qui è il nodo.
La spiegazione dell’attentato di domenica, sofisticato, ambizioso, sta tutta qui, in un disegno ideologico. Egitto e Israele hanno capito il rischio: gli egiziani danno la caccia ai miliziani con elicotteri da guerra, Israele ha chiuso i valichi ed è in massima allerta, Netanyahu è andato in visita al valico e ha detto«ci difenderemo».L’esercito egiziano, forse proprio perché ha pagato lo scotto di 16 morti scontando una palese debolezza, rimonta in sella annunciando che «il nemico della nazione va affrontato con la forza». Che sta succedendo?
Poco dopo l’uccisione di Bin Laden il nuovo capo di Al Qaida Ayman Al Zawahiri annunciò una politica di «jihad regionale». Il mezzo: attentati contro «gli eretici » locali nei vari Stati arabi. L’obiettivo: il controllo dell’intero Medio Oriente. La dimensione strategica: «avvicinarsi ai confini dell’entità sionista»circondandola. Durante l’attacco di Rafiah i terroristi indossavano divise egiziane: che ci sarebbe stato di meglio che gli israeliani uccidessero qualche egiziano? O viceversa? La guerra complessiva contro Israele è il primo sogno della Jihad islamica. E non c’è più nessuno Stato sovrano sui confini di Israele che freni l’atteggiamento comune di odio per lo Stato Ebraico e che fermi l’incitamento, come si vede dalle dichiarazioni della Fratellanza Egiziana ora al governo: le rivoluzioni arabe aiutano tutti i comportamenti estremisti.L’Egitto è nelle mani di Morsi e dei salafiti. La Siria è diventata una meta per tutte le organizzazione jihadiste. Gli Hezbollah in questo periodo hanno interesse alla maggiore confusione possibile, cui spinge anche il loro sponsor,l’Iran.Il piatto per i jihadisti estremi è molto ricco. Adesso oltre all’Egitto e a Israele ci sarebbe anche Hamas interessato a evitare che Morsi venga messo in difficoltà. Ma il suo odio per Israele è troppo grande: ha perfino dichiarato che «in qualche modo» i 16 soldati egiziani sono morti per colpa sua.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Per i terroristi nel Sinai “ci fidiamo di quello che farà l’Egitto”, dice Israele "
Daniele Raineri, Bibi Netanyahu
Roma. L’operazione di sicurezza lanciata ieri dell’esercito egiziano nel pieno della zona demilitarizzata del Sinai è possibile secondo gli accordi di Camp David del 1978, grazie a un permesso che il Cairo rinnova ogni mese, con una richiesta fatta al governo di Gerusalemme e con la sponsorizzazione degli Stati Uniti (sia il dipartimento di Stato sia il Pentagono sono coinvolti) e della Multinational Force, il contingente di osservatori nell’area. Con un soprassalto tardivo, ieri l’esercito egiziano ha annunciato una grande manovra militare (autorizzata) con elicotteri da guerra e truppe vicino al valico di Rafah. Gli egiziani danno la caccia al gruppo di terroristi che domenica sera ha ucciso 16 soldati durante la cena del Ramadan – quando la guardia è più bassa del solito – e che poi ha dato l’assalto al vicino confine con Israele a bordo di un blindato rubato e di un camion carico di esplosivo. “Quella cellula è formata in tutto da 35 elementi”, dicono i militari dal Cairo (otto sono stati uccisi dai soldati israeliani). La notizia dell’arrivo di due caccia egiziani per dare “appoggio aereo”, non potrebbero volare sul Sinai secondo il trattato di pace, è stata smentita in serata dai militari israeliani. C’è un problema di inerzia colpevole da parte del Cairo. Da mesi si sa che l’area del Sinai è pericolosa, da quando la caduta del regime di Mubarak ha spostato l’attenzione delle forze di sicurezza sulle grandi città del paese e ha lasciato scoperta la zona di confine, anche se il nuovo presidente Mohammed Morsi sfoggia tranquillità: “Il Sinai è sicuro”. L’ultimo avvertimento di Israele è arrivato giovedì scorso e intimava ai turisti di rientrare per la possibilità altissima di attacchi terroristici. Il giorno dopo i giornali egiziani, citando una fonte anonima della sicurezza, si sono inventati un complotto delle agenzie di viaggio israeliane che punterebbero a creare allarme per danneggiare il turismo in Egitto e attrarre i clienti altrove. C’è la possibilità che Israele debba occuparsi di quanto succede nella striscia infestata da gruppi ostili appena oltre il confine con una campagna simile a quella degli Stati Uniti nelle aree tribali del Pakistan occupate da al Qaida? Dopo l’attacco al confine Per il terroristi nel Sinai “ci fidiamo di quello che farà l’Egitto”, dice Israele “Abbiamo rapporti diretti con militari e intelligence del Cairo”. Comincia un’operazione nella zona demilitarizzata Il gioco di Hamas Il Pakistan è un paese alleato di Washington (come l’Egitto per Israele), che però ha dimostrato di non avere la capacità o la volontà di intervenire nelle zone a ridosso della frontiera. Il portavoce dell’esercito israeliano, Ariye Shalicar, dice al Foglio che Israele non interverrà oltre il confine con l’Egitto, “è un paese con cui abbiamo un trattato di pace e per noi quel trattato è molto importante. Non possiamo occuparci anche di quello che accade oltre la frontiera”. Il direttore del dipartimento di sicurezza regionale (specializzato in antiterrorismo) del ministero degli Esteri israeliano, Shai Cohen, che controlla l’attività dei gruppi del jihad, dice al Foglio che il governo si fida degli egiziani. “Siamo in contatto costante con loro, soprattutto con i militari con i quali abbiamo rapporti diretti da tempo. Un nome su tutti? Il generale Tantawi (Mohammed Tantawi, capo del Consiglio Supremo e attuale ministro della Difesa, ndr). Abbiamo anche rapporti proficui con i servizi di sicurezza egiziani, sia quello interno sia quello esterno”. Quindi anche con il generale Murad Muwafi, capo dell’intelligence al Cairo? “Preferisco non entrare in dettagli”. Come sono i rapporti con il nuovo governo civile del presidente Mohammed Morsi? “Non posso dire che sia già stato stabilito un contatto, perlomeno diretto come con l’esercito, ma è comprensibile, si tratta ancora di un’amministrazione nuova”. Anche Cohen esclude la necessità di intervenire con operazioni antiterrorismo nel Sinai, “nessuno ha intenzione di farlo o di parlarne, né Israele né l’America”. Se Israele si fida dell’Egitto e delega al Cairo – soprattutto alla controparte militare – la lotta antiterrorismo nel Sinai, con Hamas è l’opposto. Ieri il movimento armato che controlla la Striscia di Gaza ha condannato l’uccisione dei sedici soldati egiziani. “I gruppi salafiti che sono considerati responsabili dell’attacco di domenica si muovono tra l’Egitto e la Striscia senza problemi, alla luce del giorno attraverso Rafah oppure passando nei tunnel”, dice Cohen. “Gaza è governata da Hamas, ma ha una politica della ‘porta girevole’, un po’ arresta i radicali sunniti e un po’ li lascia liberi di fare. In questo modo tenta di conservare la propria legittimità internazionale e continua a condurre attacchi contro Israele senza assumersi la responsabilità”. Il presidente Morsi non ha esitato ad accusare il gruppo dirigente di Hamas per non avere prevenuto la strage di soldati e l’esercito egiziano parla con precisione di “appoggio d’artiglieria ai terroristi ricevuto da Gaza durante l’attacco”. Sembra inverosimile che la galassia di gruppi dell’estremismo sunnita che gravita attrono a Rafah sia diventata così pericolosa senza che Hamas, che esercita un controllo ferreo su uomini e movimenti, non abbia concesso il suo permesso. Il caso è un disastro per le relazioni di due gruppi – i Fratelli musulmani in Egitto e i palestinesi di Gaza – che sono considerati decisamente vicini e affini, anche se ieri al Cairo una nuvola di teorie del complotto confuse tentava di scagionare Hamas e incolpare il Mossad.
La STAMPA - Francesca Paci : " La maledizione del Sinai frena le ambizioni di Morsi "
Francesca Paci, Mohamed Morsi
Francesca Paci continua a riferirsi a Tel Aviv come capitale di Israele.
Essendo stata corrispondente da Gerusalemme per La Stampa è inaccettabile che faccia ancora confusione sulla capitale dello Stato ebraico.
Non la si può accusare di ignoranza, ma di essere schierata di una parte, questo sì.
Oggi chi cita Tel Aviv al posto di Gerusalemme come capitale appartiene al blocco dei delegittimatori dello Stato ebraico. Non ci sono scuse nè giustificazioni.
Ecco il pezzo:
Dopo essersi destreggiato nel post Mubarak firmando la tregua coi liberali, ammiccando all’esercito e scegliendo un governo semi-tecnico, il neo presidente egiziano Morsi s’arena in Sinai, quei 61 mila km² di deserto smilitarizzato al confine con l’arcinemico sionista che blindano gli accordi di Camp David. L’ipotesi sempre meno peregrina di un coinvolgimento di cellule palestinesi nel blitz jihadista che domenica ha ucciso 16 guardie egiziane al valico Karem Abu Salem (Kerem Shalom per Israele), mettono a dura prova l’amicizia tra i Fratelli Musulmani, di cui Mursi è membro, e gli islamisti di Hamas al potere a Gaza. E non conta che questi ultimi si siano affrettati a condannare l’attentato e puntare l’indice contro Netanyahu: la minaccia di quella che lo 007 israeliano Aviv Kochavi chiama «no man’s land» avvicina a dir poco problematicamente il Cairo a Tel Aviv.
I superstiziosi denunciano la maledizione del Sinai, ex prima linea della Guerra dei sei giorni mutatasi in oasi turistica dopo il 1982 al prezzo della vita di Sadat per cedere all’anarchia degli ultimi anni segnati dall’irredentismo beduino, la presenza qaedista e l’andirivieni dei palestinesi in cerca di sponsor. E mentre i complottisti giocano a interpretare il caos, gli studiosi confermano la deriva della penisola dove, per dire, il gasdotto che rifornisce Israele e Giordania è stato colpito 14 volte nel 2011.
I dissapori tra il Cairo e i beduini del Sinai, popolazione nomade a forte componente clanica, risalgono agli ultimi dieci anni di Mubarak e allo sviluppo turistico della regione avvenuto a scapito dei suoi abitanti, beneficiari del solo 10% dell’industria vacanziera. Complice l’umiliazione economica, l’aspirazione a una certa indipendenza e la ridotta presenza di militari imposta da Camp David, i beduini si sono specializzati nel contrabbando fino a scoprirlo una vera e propria miniera d’oro nel 2006, con l’isolamento di Gaza seguito all’ascesa di Hamas e il mercato underground sotto Rafah. Se un tunnel capiente costa 100 mila dollari, ci sono stati tempi in cui al ritmo di 400 macchine al mese vendute a Gaza sotto l’egida di Hamas l’investimento rendeva subito. Senza contare il traffico di persone e armi, quelle inviate ai palestinesi dall’Iran e quelle usate dai beduini per proteggere il ricco business.
La svolta, spiega su Foreign Policy Mohamed Fadel Fahmy, avviene dopo la rivoluzione egiziana, quandoilvuoto istituzionale e la fuga dalle prigioni cairote di 23 mila detenuti, tra cui diversi qaedisti come Ramzi Mahmoud al-Mowafi, incendiano la penisola. Da allora, con l’intensificarsi della sfida jihadista lanciata da «al Qaeda nella penisola del Sinai», «Takfir wal-Hijra», i palestinesi di «Jaish al-Islam», Egitto e Israele condividono la trincea in cui già un anno fa erano stati uccisi 8 israeliani e 5 guardie egiziane (colpite da «fuoco amico»).
Rimilitarizzare il Sinai? Il premier israeliano Netanyahu, che ieri era a Kerem Shalom come il presidente Mursi, non acconsentirebbe mai per paura di trovarsi l’esercito egiziano al confine. Washington si offre di aiutare il Cairo ma la sicurezza costa molto. Così, mentre l’Egitto dei Fratelli Musulmani si barcamena tra collaborare con il Mossad e incolparlo, il Far West mediorientale disertato dai turisti resta sospeso, cupa metafora della regione che lo ospita.
L'UNITA' - " Fratelli musulmani: rivedere accordo con Israele "
Hamas
Nella breve viene dato ampio spazio alle 'motivazioni' dei Fratelli Musulmani che incolpano, a torto, il Mossad della strage nel Sinai.
Per la risposta israeliana solo una frase, l'ultima della breve e con sfondone (dovuto a ignoranza o a malafede?) sulla capitale israeliana.
Ecco la breve:
Si svolgono oggi I funerali solenni delle 16 guardie di frontiera egiziane uccise due giorni fa nel Sinai, al confine con Israele. Alle esequie, che si ternano in una moschea del Cairo, parteciperanno il presidente egiziano Mohamed Morsi, il capo del Consiglio multare Hussein Tantawi e il capo di Stato maggiore delle forze armate egiziane, Saml Annan. L'Incidente al valico di Rafah secondo la dirigenza dei Fratelli musulmani egiziani sarebbe da addossare, cosi come dice anche il premier di Hamas a Gaza Ismall Haniye, ai servizi segreti israeliani e alle loro operazioni nella Striscia di Gaza, per cui il capo della Confraternita ieri ha attaccato il presidente Morsi e chiesto la revisione dei recentissimo accordo tra Egitto e Israele. L'accusa verso II Mossad viene respinta da Tel Aviv come «un'assurdità».
Per inviare la propria opinione a Giornale, Foglio, Stampa, Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti