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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.08.2012 Se è Assad a bombardare i palestinesi, Abu Mazen fa spallucce
In Siria emerge sempre di più l'inutilità dell'Onu

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Giordano Stabile - Antonio Ferrari
Titolo: «L’Onu vota contro Assad. La Russia: lo sosterremo - L'impotenza dell'Onu per la Siria»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/08/2012, a pag. 14, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " L’Onu vota contro Assad. La Russia: lo sosterremo ", preceduto dal nostro commento. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-50, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " L'impotenza dell'Onu per la Siria ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Giordano Stabile : " L’Onu vota contro Assad. La Russia: lo sosterremo "


Abu Mazen

Il commento di Abu Mazen di fronte al bombardamento di un campo profughi palestinese in Siria è stato : "  «crimine odioso» ". Solo due parole. Niente lettere all'Onu, niente proclami rumorosi. Se fosse stato Israele a fare altrettanto la reazione sarebbe stata diversa.
Anche su Repubblica e Unità articoli asettici nei quali si evita di prendere posizione. Ma come sono bravi i nostri giornalisti, e che riguardo hanno nei confronti di Abu Mazen.
E i pacifisti? Silenzio da loro, anche.
Per altro, come evidenzia Antonio Ferrari nel suo articolo pubblicato in questa pagina, anche Onu e, aggiungiamo noi, Ue sono del tutto inutili e impotenti.
La politica di Catherine Ashton fa acqua da tutte le parti e l'Onu non è stata in grado di prendere una posizione di fronte ai massacri in Siria.
Ecco il pezzo di Stabile:

Più che la difesa formale, conta l’atto concreto. Mosca; Pechino e Teheran si sono schierate a fianco di Damasco nella battaglia all’Assemblea generale dell’Onu che doveva decidere sulla mozione di condanna del regime di Bashar al Assad: alla fine è passata con 133 voti a favore su 193. Gli alleati della Siria erano in minoranza, e senza diritto di veto, nel consesso allargato delle Nazioni Unite, ma dovevano fronteggiare un atto che in ogni caso non può avere implicazioni legali come invece hanno le decisioni al Consiglio di Sicurezza (che l’Assemblea ha egualemente condannato per la sua «inazione»). Uno smacco certo per l’orgoglio del raiss, che però deve affrontare problemi pratici più pressanti: munizioni per i suoi tank e cacciabombardieri, benzina e kerosene per metterli in moto, valuta forte per le finanze disseccate.

La Siria produce 200 mila barili di petrolio al giorno, più che sufficienti per far marciare un esercito di 200 mila uomini e 3 mila tank, ma non ha raffinerie e non può esportare il greggio in Occidente, perché sotto sanzioni. La Russia si è detta disposta a fornire un prestito «nel giro di poche settimane» in valuta pregiata e a scambiare il petrolio con prodotti raffinati. Come? Attraverso il porto di Tartus, sempre più valvola d’ossigeno per tenere in vita l’alleato. Per tutto il pomeriggio era circolata anche la notizia che una piccola flotta militare russa fosse in arrivo, poi smentita da Mosca. Ma l’annuncio di ieri è più che una dichiarazione formale: il Cremlino vuole stare con Assad fino alla fine. E il ministro della Difesa Anatoliy Serdyukov ha ribadito che «nessuno, in ogni caso» può impedire alla navi russe, mercantili o militari, di fare scalo nell’unica base nel Mediterraneo della Marina di Mosca.

Il testo presentato al Palazzo di Vetro dall’Arabia Saudita prevedeva in prima battuta la richiesta di dimissioni ad Assad, poi emendata a semplice condanna dell’uso della forza «contro civili» da parte dell’esercito regolare. Russi, cinesi e iraniani hanno subito detto che il testo era «sbilanciato». E hanno puntato il dito contro Paesi del Golfo e occidentali, «colpevoli» di aver spinto il piano di pace di Kofi Annan al fallimento e l’inviato speciale dell’Onu alle dimissioni, annunciate giovedì. Dimissioni che spianerebbero la strada «a un intervento armato» di arabi e occidentali al fianco degli insorti.

Opzione ancora lontana, tanto che ieri Washington ha smentito persino «l’invio di armamenti» all’Esercito libero siriano che si sta trincerando nei quartieri di Aleppo sotto il suo controllo. Il capo degli delle missioni di pace all’Onu, Hervé Ladsous, ha detto che gli osservatori hanno verificato l’arrivo «di tank strappati alle forze regolari», mentre dal Sud «soldati trasportati sugli autobus e colonne di blindati» si stanno ammassando alle porte della città. Le forze armate governative cominciano a essere «stretched», stiracchiate su troppi fronti e la lentezza dei preparativi per riconquistare Aleppo è una spia. «Sono costretti ad usare aerei da addestramento per bombardare - nota l’analista militare Joseph Holliday, dell’Institute for the Study of War di Washington -. Segno che l’aviazione è “stressata” e non hanno sufficienti bocche da fuoco a terra».

Si combatte anche ad Hama, dove gli attivisti dell’opposizione denunciano l’uccisione di 62 civili nei bombardamenti, «compresi bambini sotto i dieci anni e donne». E si combatte nel sobborgo meridionale di Damasco Tadamon, dove «decine di tank e blindati» hanno circondato una delle ultime roccaforti dei ribelli nella capitale. Colpi di mortaio hanno colpito il vicino campo profughi palestinesi di Yarmouk, dove giovedì 21 profughi erano rimasti uccisi. Un «crimine odioso» condannato dal presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen. A Yarmoul ci sono oltre 100 mila rifugiati, 480 mila in tutta la Siria.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " L'impotenza dell'Onu per la Siria "


Antonio Ferrari

Quanto è accaduto ieri al Palazzo di vetro è davvero inaudito. Per la prima volta nella storia — se la memoria non inganna — l'Assemblea generale dell'Onu ha votato una risoluzione nella quale si deplora il braccio operativo più prestigioso delle stesse Nazioni Unite: il Consiglio di sicurezza. Il testo, presentato dall'Arabia Saudita e approvato a stragrande maggioranza (133 sì, 12 no e 31 astenuti) contiene una dura condanna del regime siriano guidato da Bashar Assad, esprime la più «grave preoccupazione» per l'escalation di violenze, chiede con forza una transizione politica in Siria, e censura il Consiglio di sicurezza. Il voto dell'Assemblea generale ha un chiaro e preciso obiettivo: spingere due dei cinque membri permanenti, Russia e Cina, ad abbandonare il veto e a consentire azioni più ruvide e decisive contro il regime di Damasco. Che nel Paese mediorientale la situazione sia disperata, era ben chiaro al Palazzo di vetro sin dal giorno prima, quando il prestigioso inviato Kofi Annan aveva deciso di rinunciare all'incarico per l'impossibilità di mettere d'accordo, sul problema siriano, le grandi potenze. Ecco perché ieri il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, parlando accoratamente dei massacri di Aleppo, non ha esitato a definirli «crimini contro l'umanità». Non solo. In un passaggio che resterà negli annali delle Nazioni Unite, ha detto che ormai il conflitto è diventato una «guerra per procura», intendendo che sul campo si confrontano e si scontrano forze per conto terzi. È il punto più delicato e sensibile, perché corrisponde ad un'amara verità. Nel terribile conflitto siriano si scontrano potenze e interessi giganteschi. Le parti che si combattono non sono più due (governativi contro ribelli) ma almeno tre. E la terza componente è quella che molti ovviamente ritengono la più pericolosa: Al Qaeda. Il New York Times, attentissimo a soppesare le informazioni dell'intelligence, ne ha scritto diffusamente spiegando appunto il «nuovo e mortale ruolo» dei qaedisti in Siria, ruolo che coinvolge anche il confinante Iraq. In quanto, secondo Baghdad, gli organizzatori della campagna di violenze e di attacchi kamikaze nei due Paesi sarebbero gli stessi. È evidente che un preoccupante scenario è quello che vede contrapposti sunniti e sciiti: i primi, guidati dall'Arabia Saudita e dal ricco e ambizioso Qatar, che si preparerebbe a comprare dalla Germania 200 carri armati Leopard; gli altri schierati con gli alauiti siriani, l'Iran e Hezbollah. Ma se il quadro si allarga, si possono raggiungere i veri protagonisti, cioè le potenze che possono muovere le varie pedine sul campo di battaglia. È chiarissimo che la Russia non è affatto disposta a rinunciare a sostenere il regime di Assad. Damasco per Mosca è un alleato strategico e poi una vittoria dei sunniti, e in particolare dei loro estremisti, produrrebbe pericolose propaggini nei Paesi musulmani del Caucaso. La Cina, che ha a cuore stabilità ed energia, non vuole modifiche dello status quo. Gli Stati Uniti, ormai vicini alle elezioni presidenziali, sono turbati dal decisionismo dei loro tradizionali alleati (Arabia Saudita in testa), vogliono fermare Assad e sostenere l'opposizione senza però firmare cambiali in bianco ai ribelli. Infine temono l'esplosione generalizzata del conflitto nell'intero Medio Oriente. E poi c'è la Turchia, che gioca abilmente su più tavoli. Sostiene gli insorti siriani ma ha canali apertissimi con Teheran, e forse con la parte più dialogante del regime di Assad. Anche Ankara teme infatti il contagio estremista alle proprie frontiere. Il premier Erdogan, di questo contagio, fece amara esperienza con i sanguinosi attentati del 2003. Mentre in Siria la gente muore, il mondo sta offrendo dunque l'immagine poco edificante della propria impotenza. Forse una soluzione potrebbe arrivare proprio dal campo di battaglia. Se Aleppo dovesse cadere in mano all'opposizione, per Assad sarebbe la fine. Ma se Aleppo tornasse sotto il totale controllo dei governativi, allora la guerra potrebbe essere ancora lunga e molto sanguinosa.

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