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Ugo Volli
Cartoline
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L' 'occupazione' rimessa coi piedi per terra 11/07/2012

L' ”occupazione” rimessa coi piedi per terra



Cari amici,

uso la cartolina di oggi per darvi una notizia che difficilmente leggerete sui giornali italiani o occidentali, ma che a me sembra di notevole importanza. Come sapete c'è una forte campagna internazionale contro le “colonie” ebraiche, cioè gli insediamenti costruiti per lo più negli anni Settanta dai governi laburisti del tempo, nelle terre liberate dall'occupazione giordana, in cui oggi vive circa mezzo milione di israeliani: gente normale, medici, operai, contadini, studenti, che ha dissodato alcuni dei luoghi su cui si è formato il popolo ebraico 3500 anni fa, che erano disabitati e lasciati nella desolazione più assoluta e oggi invece sono cittadine, villaggi, quartieri di Gerusalemme ben tenuti, pieni di alberi e di fiori. L'Autorità Palestinese sostiene che è sua tutta al terra al di là della linea verde, che non è mai stato un confina ma era semplicemente lo schieramento delle truppe al momento della cessazione delle ostilità nel '49; la commissione Europea e l'Amministrazione Obama li hanno seguiti nell'idea, anzi Obama di testa sua ci ha messo la necessità del blocco delle costruzioni in questi insediamenti e su questa idea l'Autorità Palestinese è saltata subito a cavallo, felice di avere un pretesto per sospendere le trattative.
 
Ma qual è la base giuridica di questa pretesa? Lo Stato di Israele, che è una democrazia bene ordinata, ha deciso di accertarsene nominando, quando è scoppiata la polemica, una Commissione per l'esame dello status delle costruzioni in Giudea e Samaria. La compongono tre giuristi molto stimati e indipendenti, tutti in pensione e dunque senza ambizioni o condizionamenti: l'ex giudice della Corte Suprema Edmond Levy cher l'ha presieduta, l'ex consulente legale del Ministero degli esteri Alan Baker e l'ex vicepresidente della Corte distrettuale di Tel Aviv Tehia Shapira. Notate che si tratta non solo di personaggi personalmente indipendenti, ma di esponenti di quel sistema legale la cui indipendenza è estrema (hanno condannato un presidente della Repubblica, indagato su almeno un paio di capi del governo e innumerevoli ministri, hanno sempre dato sentenze che non guardavano affatto al comodo del momento, come quella che l'altro giorno ha assolto l'ex premier Olmert, avversario oggi di tutto il sistema politico, dopo avergli stroncato la carriera con l'incriminazione di tre anni fa. Ecco il nucleo dei risultati della Commissione (trovate il testo integrale in inglese qui: http://www.pmo.gov.il/NR/rdonlyres/42C25B01-428B-40FC-8A6B-E9B1F5315D74/0/edmundENG100712.pdf :

“La nostra conclusione fondamentale è che dal punto di vista della legge internazionale, le classiche leggi sull'”occupazione” come stabilite nelle convenzioni internazionali pertinenti non possono essere considerate applicabili alle circostranze storice e legali uniche e “sui generis” della presenza israeliana in Giudea e Samaria, che dure da decenni. Inoltre, le previsioni della quarta convenzione di Ginevra del 1949, riguardando il trasferimento di popolazione, non può essere considerata applicabile e non è mai stata intesa applicarsi al tipo di attività di insediamento intraprese da Israele in Giudea e Samaria. Perciò secondo la legge internazionale gli israeliani hanno il diritto legale di insediarsi in Giudea e Samaria e l'istituzione di insediamenti non può essere di per sé considerato illegale.”

Vale la pena di citare per esteso la spiegazione di queste conclusioni contenute in un editoriale del Jerusalem Post, il giornale israeliano pubblicato in lingua inglese (http://www.jpost.com/Opinion/Editorials/Article.aspx?id=276845):

“In primo luogo, il Mandato britannico, che è entrato in vigore nel settembre 1922 dopo essere state ratificato dalla Società delle Nazioni, aveva l'obiettivo della creazione di "un focolare nazionale per il popolo ebraico" nel territorio ad ovest del fiume Giordano, tra cui la Giudea e la Samaria. In secondo luogo, il Piano di Spartizione delle Nazioni Unite del 1947 per la Palestina del Mandato britannico non lo ha sostituito come previsto. Esso infatti è stato sì accettato dalla comunità ebraica in Palestina rappresentata dall'Agenzia ebraica, ma è stato respinto sia dal Comitato Arabo Palestinese Superiore e dagli stati appartenenti alla Lega Araba. In terzo luogo, sulla scia della Guerra di Indipendenza di Israele, quando prima le milizie locali palestinesi e più tardi gli eserciti combinati di Giordania, Egitto, Siria, Iraq e Libano provato senza riuscirci a soffocare lo Stato ebraico, la Giordania ha preso il controllo della Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e di parti di Gerusalemme, ma la sua sovranità su queste aree non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. In quarto luogo, dopo la Guerra dei Sei Giorni, quando ancora una volta gli eserciti combinati di Egitto, Siria e Giordania, con l'aiuto di numerosi altri paesi e organizzazioni - tra cui l'OLP -  ha cercato di cancellare Israele dalla carta geografica, Israele ha acquisito il controllo della Giudea, Samaria e Gaza, con la penisola del Sinai e le alture del Golan. Nel 1988, la Giordania ha ceduto i suoi crediti in Cisgiordania per l'OLP. Ma questi cosiddetti crediti erano meno sostanziali di queli di Israele per una serie di motivi. Innanzitutto, il Mandato Britannico non ha mai riconosciuto il diritto della Giordania sulle terre a ovest del fiume Giordano. Inoltre, la Giordania ha ottenuto il territorio in una guerra di aggressione contro lo stato ebraico nascente. E lo Stato giordano - essenzialmente una costruzione britannica - non aveva affatto legami storici con la Giudea e la Samaria, mentre per gli ebrei, si tratta della culla della civiltà ebraica e della statualità dell'epoca biblica.

“Lungi da essere "occupazione", lo statuto di Giudea e Samaria - anche se si è generosi per quanto riguarda le richieste palestinesi - può al massimo essere descritto come sui generis. Il territorio gode di una posizione particolare nel diritto internazionale come una terra che non è mai stata inequivocabilmente assegnata a un popolo determinato. Anche la Risoluzione 242 dell'ONU, che ha introdotto la formula "terra in cambio di pace", chiedeva a Israele di ritirarsi dai "territori" in cambio di pace con i vicini, ma non tutti i territori. Subito dopo la Guerra dei Sei Giorni era chiaro alla comunità internazionale che Israele avrebbe mantenuto una certa porzione di Giudea, Samaria e Gaza (ma poi Israele ha generosamente ceduto la Striscia di Gaza ai palestinesi).”

In sostanza dunque la commissione ribadisce quello che era già scritto a chiare lettere nei trattati di Oslo: il solo modo per arrivare a un accomodamento su Giudea e Samaria è un accordo diretto fra le parti, in cui nessuno ha il diritto di definire quel territorio come suo di diritto - anche se è chiaro che il controllo generale è detenuto da Israele in conseguenza della guerra del '67 e che da vent'anni all'Autonomia Palestinese sono stati assegnati i territori in cui vive il 98% dei palestinesi, la cosiddetta zona A.

Il Jerusalem Post conclude il suo commento dicendo che è improbabile che la deliberazione della commissione convinca coloro che continuano a parlare di “territori palestinesi occupati”. E in effetti il Dipartimento di stato americano ha immediatamente ribadito il suo disaccordo - ma senza avanzare argomenti giuridici a favore della sua posizione - per il semplice fatto che si tratta di una scelta politica e non giuridica. Ma chi ha rispetto per la democrazia israeliana e soprattutto per il suo sistema giudiziario, se è in buona fede, non potrà più parlare da oggi in termini di “territori palestinesi”, “occupazione”, “restituzione”: perché se la commissione è credibile - e certamente nel sistema giudiziario israeliano è autorevolissima - non vi è alcuna base giuridica per questi giudizi. Sarebbe interessante sentire che ne pensa quella fetta di intellighenzia di sinistra (non i pagliaccetti italiani, ma gente seria come Yehoshua e Grossmann), che ha sempre sostenuto ideologicamente il contrario.

Ugo Volli


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