La condanna all'ergastolo di Mubarak è una delle notizie che compaiono oggi, 03/06/2012, su tutti i giornali. Riprendiamo dalla STAMPA, a pag.2, l'intervista di Maurizio Molinari a Steve Cook, analista americano al Foreign Relations di New York.
Eccola:
Hosni Mubarak, Steve Cook, Maurizio Molinari
Questo verdetto gioverà nelle urne al candidato dei Fratelli musulmani»: è questa la previsione di Steve Cook, l’arabista del Council on Foreign Relations di New York che si trovava al Cairo quando iniziarono le manifestazioni di protesta a Piazza Tahrir e vi è poi rimasto per mesi, descrivendo all’America ogni passaggio della transizione egiziana.
Perché ritiene che i Fratelli musulmani si avvantaggeranno della condanna a Mubarak?
«Per il semplice fatto che la maggioranza degli egiziani sono infuriati da questo verdetto».
Volevano la condanna a morte?
«Il processo doveva stabilire la responsabilità per le circa 800 vittime della repressione ordinata e realizzata dal regime di Hosni Mubarak durante la rivoluzione del 2011. Ma undici degli imputati sono stati assolti, i figli di Mubarak vengono rimessi a piede libero come se niente fosse avvenuto e Mubarak viene condannato all’ergastolo ovvero ha salva la vita. Certo, la piazza egiziana voleva la condanna a morte per l’ex Raiss e, più in generale, vede nel verdetto la conferma che l’ex regime continua a governare. Per chi ha avuto parenti o amici uccisi a Piazza Tahrir, imprigionati o torturati dalla polizia di Mubarak, si tratta di un'offesa collettiva. Quasi la dimostrazione che non è cambiato nulla in Egitto».
Quale è la principale debolezza del processo appena terminato?
«La credibilità del verdetto. Il fatto che il processo sia stato celebrato in un tribunale presieduto da un giudice nominato da Mubarak, coadiuvato da personaggi anch’essi nominati in passato da Mubarak. Il tutto a poco più di un anno dalla caduta del regime. Difficile non rendersi conto che per chi ha manifestato a Piazza Tahrir si tratta di uno smacco, una beffa. È come se il regime del raiss fosse ancora vivo, vegeto e ben funzionante a dispetto di milioni di persone scese nelle piazze. L’immagine di Mubarak che ascolta in silenzio la sentenza che gli salva la vita pronunciata da un giudice da lui prescelto anni fa è talmente irritante, negativa, da essere destinata a aumentare il sostegno popolare per i Fratelli musulmani al secondo turno delle elezioni presidenziali».
Ma il fatto che la sentenza contro Hosni Mubarak, proprio come avvenuto per Ben Ali in Tunisia, non preveda la condanna all’esecuzione non depone a favore del rispetto della legalità da parte dei nuovi esecutivi?
«Ciò che conta per egiziani è che Mubarak è stato uno spietato dittatore, ed era ancora al potere quando oltre 800 cittadini sono stati uccisi dalla repressione e meritava dunque di essere condannato alla pena capitale».
Che previsioni fa sull’esito della sfida presidenziale?
«Anche grazie a questa sentenza il candidato dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi, a mio avviso è in questo momento il grande favorito ma sarebbe un grave errore dare già per sconfitto Ahmed Shafiq perché è sostenuto da ciò che resta di un apparato di regime che ha governato l’Egitto per lunghissimi anni e continua ad avere radici profonde in più ambienti, assai difficili da tagliare. Proprio questo verdetto dimostra che il vecchio regime non è sconfitto. All’apertura delle urne per il secondo turno delle presidenziali potrebbero esserci delle sorprese. La transizione è tutt’altro che finita».
Per inviare alla Stampa la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante