"I problemi con la Turchia "
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav,
versione italiana a cura di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar
Recentemente, sono sorti due problemi tra Israele e la Turchia: il primo è conseguenza della vicenda della Mavi Marmara, che ha compiuto il suo secondo anniversario proprio questa settimana, il 31 maggio. La Turchia ha preparato un atto d’accusa nei confronti di quattro israeliani che durante l’operazione erano alti ufficiali dell’ IDF: Gabi Ashkenazi - capo di Stato Maggiore, Amos Yadlin - capo dei servizi segreti militari, Eliezer Marom - comandante della Marina e Avishai Levi –capo dell’Air Force Intelligence Group. Anche se queste accuse per ora sono valide solo per il tribunale turco, dove gli “accusati” non si presenteranno, la Turchia potrebbe col tempo emettere nei loro confronti un ordine di arresto internazionale, in modo che i funzionari di qualsiasi paese in cui venissero a trovarsi, potrebbero arrestarli e trasferirli in Turchia, per essere sottoposti a processo.
Il secondo problema è connesso alla produzione di gas dai giacimenti che Israele ha scoperto sul fondo del Mar Mediterraneo. La Turchia non è d'accordo sul modo in cui il gas verrà distribuito tra Israele e Cipro, e ha già minacciato tutti gli interessati di danneggiare le attrezzature di perforazione e produzione, se le sue proteste non verranno accolte.
Questi due problemi possono mettere a rischio le relazioni turco-israeliane per i prossimi anni, quindi è importante per gli israeliani comprendere la posizione dei leader turchi. La scorsa settimana, il 23 maggio, il presidente della Turchia, Abdullah Gul, ha pubblicato un articolo sul quotidiano kuwaitiano al-Jarida, in cui ha rivelato come l’élite del regime turco vede il mondo che lo circonda. Qui di seguito, c’è l’intero articolo, pubblicato in lingua originale su “Makor Rishon”, con i commenti del traduttore, Mordechai Kedar, tra parentesi.
“Il nuovo percorso della Turchia”
di Abdullah Gul
Recentemente, la Turchia è stata in prima linea nelle discussioni economiche e politiche internazionali. Da un lato, a dispetto della crisi economica che si è abbattuta sulla vicina Europa, la Turchia è al secondo posto nella crescita economica nel mondo, dopo la Cina. Dall’altra, non vi è quasi alcuna discussione sulle problematiche del mondo, dall’Iraq e Afghanistan alla Somalia, all’Iran e alla Primavera araba, e alla promozione di sviluppo del dialogo inter-culturale, su cui la Turchia non ricopra un ruolo di primo piano.
Si tratta, in una certa misura, di un fenomeno nuovo, perchè non più tardi di dieci anni fa la Turchia era considerata solo in quanto forte alleato della NATO. La situazione cominciò a cambiare nel 2002 (anno in cui l’islam è salito al potere in Turchia), quando apparve una nuova stabilità politica, che ha consentito l’emergere di un’immagine più forte della Turchia, insieme con la volontà e l’impegno per realizzarla.
Al fine di attuare questo obiettivo (islamista), i governi della Turchia dal 2002 hanno iniziato ad attuare coraggiose riforme economiche, che hanno aperto la strada ad una crescita continua e hanno creato così uno scudo protettivo contro la crisi economica scoppiata nel 2008. Il PIL turco ne risultò triplicato, e l'economia turcha è salita al 16° posto nel mondo. Inoltre, la Turchia si è avvantaggiata di un forte bilancio statale, dovuto a una politica monetaria intelligente, a una dinamica del debito controllato, a un sistema bancario organizzato e a un funzionamento equilibrato del mercato del credito.
Allo stesso tempo, abbiamo fatto in modo di ampliare la gamma delle libertà individuali (cosa dire della stampa che il regime ha imbavagliato perché lo criticava?) che erano state represse per lungo tempo (durante il regime laico) a causa di timori per la sicurezza, abbiamo agito in modo da allargare le relazioni tra esercito e cittadinanza (per soggiogare i militari al regime islamico) e abbiamo promosso diritti sociali e culturali. Abbiamo dedicato la massima attenzione ai problemi delle minoranze etniche (anche per i curdi?) e di quelle religiose (anche per i greci ortodossi?). Queste riforme hanno trasformato la Turchia in una democrazia attiva e viva, una società che vive più stabilmente in pace con sè stessa, in grado di vedere l'ambiente esterno (Europa, il mondo arabo e islamico) in un modo diverso (più che in passato).
Abbiamo semplicemente smesso di pensare alla nostra geografia e alla nostra storia (come l’impero ottomano) come una maledizione o come qualcosa di negativo, e abbiamo iniziato, al contrario, a vedere la nostra posizione in relazione con Europa, Asia e Medio Oriente, come un’opportunità per avere migliori rapporti con tutti (e diventare una potenza regionale). Come risultato, abbiamo iniziato a tendere la nostra mano agli stati vicini e lontani, nel tentativo di allargare il dialogo politico, per aprire relazioni economiche condivise e rafforzare la reciproca comprensione sociale e culturale (con una politica a zero conflitti, sviluppata dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu). Nonostante che dieci anni siano un periodo troppo breve per una valutazione approfondita di questa politica ambiziosa, in larga misura ci siamo riusciti. Per esempio, siamo riusciti a quadruplicare il nostro commercio con i nostri vicini, e molte volte abbiamo avuto un ruolo efficace nel rafforzare gli sforzi verso la riconciliazione e la pace. Tuttavia, la cosa più importante è che la Turchia sia diventata un modello di successo che molti Stati confinanti aspirano ad emulare.
Nonostante tutto questo, solo uno o due anni fa, alcuni commentatori politici si chiedevano “Chi ha perso la Turchia?” O “Dove sta andando la Turchia?” perché ritenevano che la Turchia avesse allontanato la sua politica estera dall'Occidente. La realtà è che i rapporti con l’estero della Turchia sono rimasti com’erano, perché essi dipendono dai valori turchi che sono quelli condivisi con l'Occidente, mentre ciò che è cambiato è la nostra volontà di lavorare di più per assicurare il raggiungimento di un maggior grado di stabilità e di benessere nella nostra regione, che si esprime con la nostra adesione ai valori di libertà, democrazia e responsabilità, non solo verso noi stessi ma anche verso gli altri (anche i curdi in Turchia e Iraq?).
Questa tendenza si era manifestata nel nostro atteggiamento verso la primavera araba, che la Turchia ha sostenuto con entusiasmo fin dall’inizio. Non abbiamo esitato o negato il nostro aiuto a coloro che lottano per i loro diritti e per la loro dignità, per cui la Turchia è stata percepita come il partner più attivo ed efficace nel sostegno a paesi come Tunisia, Egitto, Libia e Yemen, che stanno cercando ancora oggi di rendere effettivi i cambiamenti che erano iniziati al loro interno sul piano istituzionale. Noi non lesiniamo sforzi per aiutare questi stati, e diamo loro un sostegno tangibile sotto forma di cooperazione economica e come modello politico.
Malgrado ciò, in Siria, la rivoluzione non ha ancora dato frutti, a causa della barbara oppressione che il regime usa contro l' opposizione. Ogni giorno decine di persone che cercano soltanto dignità vengono uccise, e la Turchia investe la maggior parte dei suoi sforzi per alleviare le sofferenze del popolo siriano, ma purtroppo, l’intervento della comunità internazionale nel suo complesso, è stato fino ad ora scarso nel fornire una risposta efficace.
La posizione della Turchia in merito al progetto nucleare iraniano è stata altrettanto chiara: ci opponiamo strenuamente alla presenza di armi di distruzione di massa nella nostra zona, ed è chiaro che i tentativi di costruire queste armi o procurarsele, potrebbe dare inizio a una corsa agli armamenti su scala regionale. Ecco perché abbiamo sempre richiesto di trasformare il Medio Oriente, compreso l’Iran e Israele, in uno spazio senza armi di sitruzione di massa.
Noi sosteniamo il diritto dell’Iran a utilizzare l’energia nucleare per scopi pacifici, ma il progetto nucleare iraniano deve essere trasparente, e i suoi leader devono dimostrare alla comunità internazionale il carattere non militare del progetto. La chiave per raggiungere questo obiettivo è superare la mancanza di fiducia e preparare la strada per un dialogo efficace. In aprile abbiamo ospitato la riunione di apertura dei nuovi negoziati tra la comunità internazionale e l’Iran.
Per chiarezza su questo argomento: non esiste una soluzione militare a questo problema. L'intervento militare lo complicherebbe solo, creando nuovi livelli di conflitto, non solo nella nostra regione. La realtà è che la Turchia sta investendo grandi sforzi in questa e in altre questioni, al fine di fungere come una “forza positiva”, pronta a trovare la giusta misura tra i nostri interessi nazionali e valori come la giustizia, la democrazia e la dignità umana, e ad agire per la realizzazione dei nostri obiettivi di politica estera, ma tramite cooperazione reciproca, e non con la forza.
Un’efficace azione multilaterale è un aspetto fondamentale di questa visione, perché la Turchia è stato membro nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite negli anni 2009 - 2010, e aspira a a continuare ad esserlo in un’ altra sessione nel corso degli anni 2015-2016. Per la grande importanza degli sviluppi in corso in questa parte del mondo, la partecipazione della Turchia al Consiglio di Sicurezza avrebbe grande valore. Nel 2015, avremo anche la presidenza del Gruppo dei 20 (G-20), e investiremo la maggior parte dei nostri sforzi per trasformarlo in un meccanismo più efficace per il controllo globale.
Il cambiamento economico che la Turchia ha avuto nel corso dell’ultimo decennio, la colloca in una posizione ideale per portare efficienza a tutta la regione, e in futuro, anche alla società globale. Nonostante il fatto che abbiamo ottenuto molto, ci viene richiesto ancora di più. In vista dei cambiamenti che devono affrontare i nostri vicini (la ribellione in Siria, l’egemonia iraniana in Iraq, l’Iran e la stabilità interna a causa della pressione internazionale, Israele e le sue minacce contro l’Iran) e il ruolo centrale che la regione svolge negli affari internationali, la Turchia non esiterà ad assumersi nuove responsabilità.
Così si conclude l’articolo di Abdullah Gul, che spiega come la leadership turca pensi a sé stessa come potenza regionale. Non fa riferimento ai problemi tra la Turchia e Israele, perché - a mio parere - vede Israele come un problema troppo piccolo da prendere in considerazione. La sola menzione di Israele riguarda il contesto nucleare, con una velata critica ed equiparazione all'Iran. S’ignora il problema della pace tra Israele e i suoi vicini, sin da quando la Turchia aveva fallito nei suoi sforzi di mediazione tra Israele e Siria ai tempi di Olmert.
Gul, inoltre, non menziona il problema dell’adesione all’Unione Europea, e ha ignorato l’insulto che l’Europa aveva fatto alla Turchia, quando si rifiutò di accettarla nell’Unione. Alla luce dell’ attuale condizione economica dell’Europa, Gul, e gran parte della popolazione, sono abbastanza soddisfatti di non esser stati accettati nell'Unione Europea, perché l’ultima cosa che la Turchia vuole è quella di sostenere l’economia greca. Rispetto al disastro economico d’Europa – con una crescita economica di circa l’un per cento - la Turchia è un paradiso economico con una crescita, in tutti gli ultimi anni, di una media dell’otto per cento
Qui è opportuno riportare due risposte che sono state allegate all’articolo di Gul sul sito Internet “Elaf”.
Sotto il titolo “La Turchia e la sua democrazia” al-Batifi, che vive in Iraq, scrive: “La Turchia non ha raggiunto alcun risultato per quanto riguarda il problema del popolo (curdo) con il quale essa condivide lo stato. Inoltre, in Turchia il popolo curdo, che rappresenta la metà dei suoi abitanti, soffre di povertà, disoccupazione, oppressione etnica e repressione del libero pensiero. E mentre Erdogan invia aiuti alla Somalia e agli altri Stati africani, le vittime dei terremoti che hanno colpito Van, città curda, non avevano ricevuto alcun aiuto. Peggio ancora, l’aiuto che gli è stato inviato (dall’estero) è stato rubato lungo le strade principali sotto gli occhi del personale militare e della polizia che non hanno mosso un dito. Voi, turchi, eravate eroi quando uccidevate decine di giovani e ragazzi curdi mentre contrabbandavano cibo e carburante per le loro famiglie indigenti, e l’avete fatto usando droni americani e israeliani, finché un giornale americano non rivelò questo terribile crimine, i cui autori non sono mai stati assicurati alla giustizia, con il mondo ipocrita che vi sostiene in Occidente (Stati Uniti) e in Oriente (Russia, Iran), di fatto vostri partner. La Turchia non avrà pace e non avrà miglioramenti nello sviluppo, fino a quando la popolazione curda al suo interno, non avrà ottenuto tutti i suoi legittimi diritti.
In un’altra risposta, con il titolo “Razzismo”, Izat scrive: “Abdullah Gul affronta tutti i problemi del mondo, ma dimentica il problema di una larga parte del suo popolo, i curdi. Egli non tocca per nulla questo problema, nonostante la lotta armata avesse coinvolto decine di migliaia di persone. Questo è il razzismo turco che abita in parti uguali nei cuori dei nazionalisti (laici) e degli islamisti (religiosi) ”.
Per quanto riguarda la questione curda, su cui il presidente della Turchia elegantemente ha glissato, e di fronte alla valutazione data dai relatori sopra citati, è giusto che lo Stato di Israele faccia qualche coraggiosa autocritica. Armi israeliane, vendute in Turchia per molti anni, sono servite al regime nella guerra contro i curdi, e Israele ne era ben consapevole. E’ vero che l’organizzazione PKK è definita come un gruppo terroristico, ed è vero che la lotta violenta che ha condotto per le strade e le montagne della Turchia, ha giustificato questa definizione; ma è anche vero che noi abbiamo in parallelo il nostro problema con i palestinesi, e se i curdi si liberassero del giogo dell’oppressione turca, questo potrebbe incoraggiare la lotta dei palestinesi contro di noi. In ogni caso è opportuno che noi solleviamo la questione etica, se il prezzo che la Turchia ha pagato - e forse sta ancora pagando – per le armi israeliane, valga i nostri rimorsi di coscienza per aver sostenuto l’oppressione dei curdi.
Non pretendo che Israele debba fornire armi ai curdi, che possa incoraggiarli a iniziare una ribellione generale in cui essi potrebbero aver successo. Tuttavia è opportuno considerare la questione etica per quanto riguarda la Turchia, potenza regionale, in riferimento ai problemi che comporta l'oppressione dei curdi oggi, come avvenne con il massacro degli armeni in passato. Io non sono un fan di Yosi Sarid, e non condivido le sue opinioni, ma la sua richiesta di includere il genocidio armeno nei programmi scolastici israeliani - quando era Ministro della pubblica istruzione durante il governo Rabin dopo il 1992 - mi torna ancora alla mente. Questa proposta è stata poi ignorata in nome di “interessi”, ma ero convinto che aveva ragione. Siamo in grado di aiutare i curdi, per esempio, promuovendo azioni legali presso i tribunali internazionali, contro gli ufficiali turchi sul modo in cui trattano la popolazione curda in Turchia e in Iraq. Siamo in grado di insegnare alla Turchia una delle regole di comportamento corretto: "Chi vive in una casa di vetro non dovrebbe lanciare pietre".
La Turchia, senza dubbio, è una potenza regionale importante, e Israele deve muoversi con cautela, a causa dei cambiamenti che stanno avvenendo nella regione e alla luce delle difficoltà irrisolte con la Turchia, la flottiglia di due anni fa e il gas in futuro, e Il sostegno che la Turchia dà alla ribellione contro Assad che la pone in conflitto indiretto con l'Iran. Ma questo non impedisce l'installazione sul suo territorio di un sistema missilistico della NATO per proteggere l'Europa da missili balistici iraniani. La Turchia può svolgere un ruolo importante nella questione iraniana, non come "amore per Mordechai [Israele]", ma piuttosto per "odio per Haman [Iran]" ...
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
Collabora con Informazione Corretta.