Tanti auguri di mille altre sconfitte
due immagini del 1948
Cari amici,
ieri, 14 maggio, era il compleanno di Israele secondo il calendario civile. 64 anni, per uno stato poco più dell'adolescenza: l'Italia ha 150 anni, gli Usa quasi 230, la Spagna poco più di 500, Gran Bretagna e Francia più o meno il doppio. E' una bella giovinezza quella di Israele, piena di realizzazioni e soddisfazioni, alla faccia di tutti i nemici che lo circondano. Non è un caso che sia il paese in cui il 93 % dei cittadini, dicono le statistiche, sono soddisfatte della loro vita. Non è poco. E comunque 64 anni non sono pochi, in mezzo agli assassini che cercano di distruggerti in ogni momento: dunque, auguri: cento, mille di questi giorni!
Ma oggi, 15 maggio, è invece il giorno della Nakba, il "disastro" arabo in Israele. Termine che, spiegano i linguisti, si dovrebbe usare per gli eventi naturali come terremoti, incendi, inondazioni, ma che i "palestinesi" applicano a un fallimento politico, il loro, e che celebrano con grande intensità: contenti loro! C'è chi gioisce con la gioia e chi gioisce col lutto... Del resto l'hanno ripetuto in tutte le salse, come se fosse una superiorità: voi (israeliani e occidentali) amate la vita, noi amiamo la morte e dunque... E dunque pensano che vinceranno, ma non è vero, perché si vince con la speranza non col rancore.
Ma comunque la Nakba, il disastro, che razza di sciagura è? Già usare questo termine implica che sia stato qualcosa di subìto, come se loro non c'entrassero, qualcosa che gli hanno fatto, non che hanno fatto loro. Ma che evento ricordano gli arabi con tanto lutto? Semplice, di non essere riusciti a distruggere gli ebrei e a completare il genocidio come si proponevano. Ricapitoliamo i fatti. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione n. 181 che chiudeva il mandato britannico e lo divideva in due stati uno ebraico e uno arabo. Com'è noto gli israeliani accettarono subito e proclamarono il loro stato al momento della partenza degli inglesi, per l'appunto il 14 maggio 1948. Il 15 maggio, di cui oggi è l'anniversario, le truppe britanniche si ritirarono definitivamente dai territori del Mandato. Lo stesso giorno gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Libano e Iraq, attaccarono il neonato Stato di Israele. Il segretario generale della Lega Araba 'Abd al-Rahmān 'Azzām Pascià annunciò "una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei Mongoli e delle Crociate" (http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Israele ). In realtà la guerra era già iniziata da novembre e alla fine, dopo sforzi immensi, con la perdita dell'1 per cento della popolazione e del 10% delle forze armate, il neonato Israele ce la fece a respingerli - prima vittoria di una serie che non si è mai interrotta in tutti gli assalti successivi.
Ma questa è un'altra storia. I dirigenti dell'Anp hanno fissato il giorno della nakba proprio il 15 maggio, la data di inizio della guerra di sterminio contro Israele. Potrebbe essere un'ottima idea. Se questo volesse dire: ci siamo pentiti di aver cercato di distruggervi, viviamo a fianco a fianco e cerchiamo di collaborare come buoni vicini, rinunciamo per sempre alla violenza, be' allora questo vorrebbe dire che hanno saputo trarre le giuste lezioni dalla storia. Sarebbe bello, ma non è così. La nakba consiste nel non aver saputo realizzare gli obiettivi di quella guerra, di non essere riusciti a realizzare lo sterminio che si proponevano. Un po' come se i tedeschi facessero il lutto per la data di inizio della seconda guerra mondiale (1 settembre 1939) non per deplorare l'aggressione alle pacifiche popolazioni circostanti ma per dispiacersi di non aver potuto completare la Shoà essendo stati malauguratamente sconfitti.
Non ci fu pulizia etnica, come dicono i loro propagandisti, non ci furono stragi programmate ma combattimenti casa per casa nei villaggi che servivano da basi per l'aggressione. La popolazione araba che accolse gli appelli dei generali invasori e scappò dietro agli eserciti aggressori fu coinvolto nella loro ritirata e non poté più tornare oltre confini che restano di guerra ancora oggi. Di qui l'esilio di una parte della popolazione, che dura ancora oggi dato che gli stati circostanti fecero il possibile per NON integrarla, al fine di usarla di nuovo contro Israele.
La Nabka fu, lo ripeto, un tentativo fallito di genocidio. Un tentativo che continua ancora. E ogni volta che gli arabi cercano di distruggere Israele con un mezzo o con l'altro - le campagne belliche frontali, il terrorismo degli aerei e quello degli attentatori suicidi, i razzi e le manovre di politica internazionale - quella è di nuovo una piccola nakba. Basterebbe che la smettessero, ma sul serio, e non avrebbero più "disastri" da lamentare. Basterebbe che gli stati arabi assorbisse i profughi (come l'Italia ha fatto per istriani e dalmati, la Francia per i "pied noir", la Germania per gli abitanti di zone che oggi sono Polonia, Cechia, Russia, ecc.) Ma non lo fanno. Né i dirigenti "palestinesi" smettono di incitare al genocidio, né gli stati circostanti integrano i "rifugiati" o meglio i loro nipoti e pronipoti, tenendoli in uno stato di isolamento e mancanza di diritti. Non la smettono e continuano a cercare di inventare tattiche nuove per riuscire nel genocidio che fallirono 64 anni fa. Per cui ho un augurio anche per loro: altre cento Nakba, mille di questi giorni, altre sconfitte, altre delusioni - fin che non la smetterete.
Ugo Volli