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Informazione Corretta Rassegna Stampa
21.04.2012 Siria, Iraq, gli Stati del Golfo e i tentacoli dell'Iran
analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 21 aprile 2012
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Siria, Iraq, gli Stati del Golfo e i tentacoli dell'Iran»

Siria, Iraq, gli Stati del Golfo e i tentacoli dell'Iran
di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Giovanni Quer)


Mordechai Kedar

I massacri in Siria durano ormai da un anno e media li descrivono come conflitti tra "le forze di sicurezza siriane" e i "ribelli", "l'opposizione" oppure "l'esercito di liberazione siriano". Tuttavia in pochi sono a conoscenza del fatto che "le forze di sicurezza siriane" comprendono anche una vera e propria legione straniera composta da soldati libanesi di Hezbollah o iracheni sciiti addestrati dagli iraniani, inviati dai loro superiori per aiutare Bashar Assad perché rimanga al potere ad ogni costo.

All'inizio di aprile Siria e Iraq hanno firmato un accordo per il controllo del confine tra i due stati al fine di impedire il traffico di armi che i sunniti iracheni forniscono ai loro fratelli in Siria per combattere il regime alawita. Il regime siriano teme in particolare gli attivisti di Al-Qaida che potrebbero fomentare una lotta jihadista contro gli infedeli alawiti al potere in Siria perché appoggiati dai russi cristiani e dai cinesi pagani. L'appoggio di Al-Qaida ai ribelli potrebbe nuocere all'opposizione, che infatti ne ha preso le distanze, poiché il regime siriano si giustificherebbe argomentando che la repressione prende di mira gruppi terroristici.

L'Iran guarda agli eventi con profonda preoccupazione poiché la caduta di Assad comporterebbe la frantumazione dell'area di influenza iraniana nel mondo arabo, costituita da Siria, Libano e Gaza. Per questo l'Iran appoggia il regime di Assad fornendo milizie sciite irachene (chiamate Asab ahl al-haqiq, gruppi popolari della verità) già addestrate a tecniche di guerriglia terroristica che hanno finora colpito i sunniti in Iraq, ma che potrebbero ora colpire anche i sunniti siriani.

Al comando di queste milizie si trova "Abu Dara", uno dei comandanti degli squadroni della morte al soldo di Muqtada Al-Sadr, il leader sciita iracheno che ha costituito il suo esercito personale, l'esercito del Mahdi, impegnato a massacrare i sunniti. Abu Dara, al secolo Ismail Hafeth Allami, classe 1970, ha servito nell'esercito iracheno per poi arruolarsi nell'esercito del Mahdi nel 2003, facendo carriera prima nel comando di varie operazioni di esecuzione degli esponenti del regime di Saddam, e poi nelle operazioni terroristiche contro obiettivi sunniti a Baghdad, per farne una città completamente sciita - che in prospettiva islamica costituirebbe una dolce vendetta sui sunniti che hanno stabilito il loro primato col califfato abbaside nel 751 DC a scapito degli sciiti.

La partecipazione delle milizie irachene in Siria e gli accordi Iraq-Siria per il controllo dei confini dimostra come l'Iran abbia enorme influenza sull'Iraq. Già dal nel 2003, subito dopo l'inizio della guerra in Iraq, si sapeva delle attività dei Guardiani della Rivoluzione in appoggio alle milizie sciite. Tuttavia gli USA non si sono mai pronunciati sulla responsabilità dell'Iran riguardo al terrorismo sciita, poiché temevano che questo avrebbe implicato possibili scontri militari con Teheran. La poca determinazione della coalizione e il prossimo ritiro degli americani hanno facilitato il consolidamento dell'influenza iraniana in Iraq.

Grazie a questa influenza l'Iran è riuscito a convincere il governo iracheno a fornire denaro e petrolio ad Assad, che l'Iran stesso non è per ora in grado di fornire a causa della crisi economica dovuta alle sanzioni internazionali. Inoltre l'Iraq starebbe agendo come Prestanome iraniano nella lotta agli armamenti, acquistando armi ed altro materiale bellico vietati all'Iran.

Il Golfo rosso fuoco

L'Iran è riuscito a terrorizzare gli stati del Golfo Persico attivando la valvola sciita, ossia sfruttando il malcontento delle comunità sciite che vivono nell'area e utilizzandole come una quinta colonna, destabilizzando anche il Bahrain, la monarchia che governa l'isola al largo dell'Arabia Saudita, dove è situata la più grande base navale americana del Golfo e che è governata dalla minoranza sunnita. L'obiettivo è di destabilizzare gli equilibri interni e forzare il ritiro delle truppe americane, come è successo in Arabia Saudita, dove la monarchia ha chiesto agli americani di ritirarsi dalla base aerea di Dhahran per mettere a tacere la propaganda di Al-Qaida che denunciava la Casa Saudita di collaborazionismo con gli americani che contaminavano con la loro presenza il sacro suolo saudita.

I rapporti tra Iran e Stati del Golfo si sono fatti più tesi dopo la visita di Ahmadinejad alla base militare iraniana nell'isola di Abu Mussa la settimana scorsa. La visita ha reso chiaro l'intento iraniano di controllare lo Stretto di Hormuz e le altre isole del Golfo. La tensione è aumentata dalla percezione della debolezza dell'occidente che non è ritenuto in grado di poter fermare la corsa al nucleare di Teheran né di fermare un potenziale programma militare iraniano nel Golfo. Il parlamento del Kuwait ha di recente discusso la probabilità di un attacco armato iraniano e la migliore reazione - resa incondizionata o risposta armata - poiché in ogni caso l'occidente non ripeterà la guerra del 1991, quando il Kuwait fu invaso dalle truppe di Saddam.

Gli stati del Golfo non hanno un vero sistema di difesa, con eserciti composti da soldati stranieri bengalesi o baluci. L'unico stato che potrebbe opporsi militarmente all'Iran è l'Arabia Saudita, le cui forze non sono però sufficientemente addestrate per operazioni militari su larga scala e che quindi capitolerebbe senza un supporto sostanziale degli Stati Uniti. La conquista della penisola arabica è particolarmente attrattiva per gli iraniani in quando ospita le città sante dell'Islam Mecca e Medina, il che decreterebbe il governo sciita sull'Islam come ai tempi del IV Califfo, Ali Bin ABi Talib. Il controllo iraniano su larga parte del Medio Oriente avrebbe conseguenze disastrose per quanto riguarda i prezzi del petrolio, per non parlare delle sorti di Israele.

Tuttavia è improbabile che l'Iran abbia in programma un attacco immediato ad Israele, poiché anche a Teheran sanno che Israele può innervosirsi e reagire "sproporzionatamente" come ha dimostrato nel 2006 in Libano e nel 2009 a Gaza, causando severi danni anche all'Iran. Inoltre gli iraniani temono l'arsenale nucleare israeliano, che conta secondo le indiscrezioni 200-300 testate. Quindi Israele risulta nella lista degli obiettivi secondari, assieme a Turchia, Nordafrica e Europa. Per questo il dibattito su un possibile attacco israeliano serve di più per attirare l'attenzione sul problema del nucleare iraniano. In effetti Israele non ha mai condotto un dibattito pubblico su un attacco militare.

La Siria rappresenta oggi la chiave di volta per il futuro dell'Iran: se Assad vince l'Iran si sentirà più forte e continuerà nel suo programma tentacolare di conquista globale; se Assad cade, l'espansione iraniana verso occidente verrà fermata, con una crisi interna sul fallimento in Siria che potrebbe comportare il crollo dell'attuale regime. È per questo che l'Iran sta investendo così tanto in Siria appoggiando Assad.

Per combattere l'Iran bisogna appoggiare i ribelli nella lotta contro Assad. Lo hanno capito in Turchia, in Arabia Saudita e negli stati del Golfo, ma quanto ci vorrà perché anche gli europei e la Casa Bianca si convincano ad agire per fermare l'Iran?

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:  
http://eightstatesolution.com/
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